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LIBRI S"
LUiqf ?[N£LLI
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CORRADO RICCI
I PRIMORDI
DELLO
STUDIO DI BOLOGNA
ERCOLE GONZAGA ALLO STUDIO BOLOGNESE
ORIGINI DELLO STUDIO RAVENNATE
DANTE ALLO STUDIO DI RAVENNA ECC.
SECOT^DA Eno>izio:NiE
BOLOGNA
Romagnoli Dall' Acqua editore
MDCCCLXXXVIII.
Stabii.imknto Tipografico Succ. Monti
-{"aBR A R,
Df,C 1 4 1967 )j
INDICE
I primordi dello Studio di Bologna. . . . pag. 3
Documenti .... » 75
Ercole Gonzaga allo Studio di Bologna . . >■> i8g
Origini dello Studio ravennate « 201
Dante allo Studio di Ravenna » 221
Tigrino » 239
Imelda Lambertazzi » 249
Pietro di Mattiolo e la sua cronaca di Bo-
logna » 258
Preti in gabbia » 281
Notti malinconiche - . . » 295
Povera martire » 309
I Zappata » 319
II conte Vezzani » 331
Claudio Monteverdi alla corte di Mantova . » 337
Cavalleria barocca » 357
Aggiunte e correzioni ,■> 367
k
I PRIMORDI
DELLO STUDIO DI BOLOGNA
CNiOTA STORICA
ESSUNA festa della civiltà è più de-
gna di quella, onde s' intendono
solennizzare i primordi d' uno
Studio. Infatti, mentre si suole rimproverare
alle nazioni Tuso invalso di commemorazioni,
che ricordano fatti, in paragone, di poca im-
portanza; le feste di Bruxelles, di Upsala, di
Edimbourg, di Heidelberg e di Graz, com-
memorative della fondazione di cinque Uni-
versità, furono generalmente encomiate.
Ma da Bruxelles come da Upsala, da
Edimbourg come da Heidelberg e da Graz,
un saluto ed un augurio furono mandati al
più antico Studio del mondo, a quello di
Bologna. Non può quindi V Italia vantare
maggior gloria di questa, (^onic una pic-
truzzn, gettata sullo acque iianquillc d\\u
lago, desta un moto di circoli conceniiici
che si dilTondono sino alle sponde più lon-
tane, così da Bologna, centro di coltura, si
spiegarono i moti intellettuali che abbraccia-
rono r Europa.
Sono più d' ottocento anni che, sen/.' in-
terruzione, Bologna insegna. Insegna dal pri-
mo secolo della nuova civiltà. Essa s' è de-
sta dal fosco sonno medio-evale, proprio sul-
r aurora d' una vita nuova, madre che s'alza
avanti i (ìgliuoli per preparar loro il vitto
quotidiano.
Col secolo XI si rinfranca lo spirito
dalle paure del mille. L'arte si sveglia; sul
volto dei santi dipinti torna a fiorire la vita;
mentre V elemento classico s' insinua nella
scultura. Le chiese, piccole e fosche dap-
prima, s'alzano più solenni sulle piazze e si
rivestono di colori (i).
(i) L.T pittura romanica ncU' Fimilia e gli affre-
schi sulle arche di S. Giacomo in Bologna, negli Atti
e Memorie della Deputatone di Storia Patria per le
Provincie di Romagna — Terza Serie, Voi. IV, fase I-I II,
pag. 48.
3
Non festeggiare questa gloria di otto-
cento anni, dopo V esempio dato dal Belgio,
dalla Svezia, dalT Inghilterra, dalla Germania
e dair Austria, sarebbe mancare al proprio
decoro.
Non è una festa bolognese; è una festa
nazionale che deve soddisfare e toccare il
cuore degli Italiani!
Gli studi in Bologna fiorirono rigogliosi
in breve corso d' anni. I giovani volonterosi
vi concorsero da tutte le parti del mondo
civile. Spagnuoli, Francesi, Alemanni, Brit-
tanni, Greci e di ogni altra più remota parte,
sino a raggiungere, coi nostri, il numero di
diecimila (i). Da Dante a Copernico, dal Pe-
(i) Odofredi Juris utriusque peritissimi dicaearchi,
in primam Codicis partem complectentem I, 11^ III^
un, (£• V lib. Prcelectiones ecc. {Lugduni^ M. D. LII)
carta 204 recto — Cfr. anche. Odofredi, Juris utrius-
que peritissimi dicaearchi , super tribus libris Co-
dicis^ Prcelectiones [Lugduni M. C. L.) carta 2 recto
— Il testo del primo voi. citato è: « Nani vidi hoc in
civitate istj tempore domini Ajonis quod scholares po-
terant -declinare forum in caiissa criniinali ; et erant
hic tunc temporis bene X millia scholarium ecc. « Il
irarca a (ìiovanni Ikirera. si può dire clic
la iliai^i^idl' palle ilei più cclrhii ini;ci;ni dei
secoli scorsi abbia siiidiato ed aj^pi'cso a
Bologna, o \' abbia iiisei;nal(>.
("dii imagina Bologna ira il secolo XI
ed il Xn'? — Qi'^i '-'^11 P<^po e con Trncrio,
con (ìra/.iano e con Accursio si ristaura a
poco a poco lo studio delT antica i^iurispiu-
dcn/a, si rientra più esattamente nello spi-
rito delle leggi raccolte da Giustiniano. Qua
col Guinizelli s' inizia nella poesia il dolce
stil nuovo (i). La necessità di fornire di
libri gli studiosi fa sorgere una scuola di
miniatori e d' amanuensi. Anche le donne
si mettono a copiar codici, che sono re-
Sarti, varia di poco nelle parole, ma il passo è piut-
tosto diverso nel Muratori, che forse ha tolta la ci-
tazione da qualche altra lezione: « Vidi ego Bonouice
celate Donini Azonis, quiuii scholares poterant vitare
Forum in caussa criminali, et aderjiit eo tempore fer-
me decem millia scholarium. »
(i) Ernksto Monaci esprime l'opinione che la
nuova scuola poetica sia sorta in Bologna prima an-
cora che in Palermo. Vedi la Nuova Antolo£ria: Se-
conda serie. Voi. XIA'I. p. 612.
Celti alle scuole dai servi che seguono gli
scolari (i).
Si narra che alcuni dottori insegnassero
sulle pubbliche piazze, ed è credibile. Quale
scuola avrebbe potuto capire sei o sette mila
scolari? E infatti anche San Francesco parlò
agli studenti bolognesi sulla piazza. Tom-
maso da Spalatro lo trovò lercio ed esaltato,
ma due scolari gettarono il lucco alle ortiche
e indossarono la rude tonaca.
II.
Anche il fiume alT origine non è che un
piccolo ruscello, ma a poco a poco pel con-
corso di delicate vene d' acqua, d' altri ru-
scelli, e man mano di canali e torrenti, si
amplia e scorre solennemente per le cam-
pagne e le rende fertili ed ubertose.
(i) Mauro Sarti. De claris Archigymncisii Bono-
niensis Professoribus a sceciilo XI usque ad sceculum
XIV (Bologna, 1769). T. I, parte I, pag. 186 — Vedi
anche la Memoria di Luciano Scarabelli « Delle an-
tiche discipline e riforme dell' antico Studio bolognese
(Piacenza, 1876). A p. 179 riproduce le citazioni del
Sarti.
Ma i ^co^^atì non si contentano Ji se-
lunare sulle carie il luoi^o do\c il lìiime è
già formalo. Kssi salgono per le nude vette
o tra le selve intralciate, seguendo il suo
letto su su. lìn do\e consiste in un filo d'ac-
qua, che geme da uno scoglio, e se potessero
frangere lo scoglio e scoprire le latebre dove
s' ascondono le prime goccie, sen/.a dubbio
segnerebbero Torigine del lìume a quel punto.
Nessuno del pari può credere che uno
Studio nasca e cresca in un giorno. Esso
segue la legge, delT evoluzione a cui tutte le
cose sono sottomesse. Come, quindi, si può
pensare che la Scuola bolognese potesse sa-
lire alla altezza, cui giunse fra il secolo XI
e il XII, senza ammettere che il diritto giu-
stinianeo non fosse durato nella pratica a tra-
verso i secoli? anzi senza ammettere che fosse
durato quale oggetto di studio e di scuola?
Perocché, se il Savigny (i) conclude
soltanto in favore della prima parte, aller-
(i) Storia del Diritto Romano ucl medio evo per
F. Carlo de Savigny — Traduzione in ital. di Eni.
Bollati. (Torino, 1854) — Voi. I, cap. XXI, pag. 545
e seg. e voi. II, cap. XXVII. pag. 9 e seg.
— 9 —
mando che V ii.^o pratico del diritto romano
persistette nel Medio Evo, il Pitting a sua
volta sostiene con valida serie di ragioni
che, oltre a ciò che opina il Savign}', si deve
aggiungere che, con lo stesso Diritto, « deve
avere resistito alT urto della barbarie anche
la scienza giuridica, » (i)
Il Pitting trova una continuità d' inse-
gnamento, e questo serve almeno a mitigare
le esagerate affermazioni, per le quali si pre-
tendeva da molti che fin dalT esordio del
medio-evo non fossero sorvissuti del diritto
romano se non deboli e laceri avanzi. Il
Chiappelli seguendo il Pitting scrive: «La
tradizione scientifica non si è mai spenta
in Italia anche nelle più fitte tenebre del
Medioevo, ed il vivo splendore della scuola
dei Glossatori non potrebbe spiegarsi se la
loro dottrina non fosse stata il frutto di una
lunga evoluzione storica, come non può pen-
sarsi nel mondo organico ad una vita fio-
(i) Luigi Chiappelli: La glossa pistoiese al codice
giustinianeo tratta dal manoscritto capitolare di Pi-
stoia. (Torino, Loescher. 1885). Capo IV. p. 22.
reme spuntata a un iiaito, e nella scicn/.a
storica a passa^i^i rapidi e immediati che
escludano le irablurnia/ioni lente e ben ma-
turate. i> (lì
Per tal modo si comprende Io sviluppo
d'una Scuola bt^loirnese durevole: si com-
prende mei^lio come il suo costituirsi debba
essere stato progressivo, mentre dapprima
si voleva presentare miracoloso e come do-
vuto al vivo balenare della mente d' Inierio:
si comprende quanto tutto ciò sia impor-
tante per risalire ai primordi della Scuola
bolognese.
Intanto giova avvertir subito che i fatti
dispersi nei documenti e nelle storie con-
fermano pienamente che anche nei secoli
antecedenti al mille e ad Irnerio, si prepa-
rava il terreno perchè V attività sua potesse
esercitarvisi. Il Ficker con le sue ricerche
inclinò a confermare questa opinione che
ebbe validi sostenitori nel Stintzing, nel
Rivier e nel Landsberg. (2)
(i) Lj glossa pistoiese ecc. IV, 22.
{2) Seguo sempre 1' opuscolo del Chiappiìu.i : La
glossa pistoiese qcc.
Alla tesi del Pitting però è sorto un op-
positore, il Conrat. Questi non tarda a rico-
noscere che nel medioevo durò certo una
trattazione pratica del diritto romano, ma
nega assolutamente che sia perdurata la scien-
za del giure. « Anzi paragonando la fin qui
detta letteratura prebolognese con quella
dei Glossatori, esso trova più straordinario
far derivare questa da quella tanto differente,
che ammettere un progresso indipendente
della ^ienza bolognese, resultante dal ri-
torno allo studio diretto delle fonti (i). »
Nullameno anche quest' autorevole scrittore
fa risalire il risorgimento scientifico alla
metà del secolo A'/, e poiché il Pitting basa
le sue osservazioni su scritture da lui rite-
nute prebolognesi, egli finisce per sostenere
con vari argomenti che questa opinione è
più fittizia che reale.
Allo scritto del Conrat rispose il Pitting
con un nuovo corredo di documenti, inteso
a togliere ogni dubbio circa a questi punti:
esser state le fonti del diritto romano, com-
(i) Chiappkm.i. Gap. IV. p. 23.
preso il Digesto, conosciute da tutto il Medio-
evo, o sia dair età giustinianea sino ai pri-
mordi della Scu(>la bolognese e specialniciiie
nei secoli X e XI essersene data no/Jone
insieme alle arti liberali. Però durante i se-
coli più foschi, Tesisten/.a della scienza giu-
ridica s' era ridotta a un li lo e lo stesso
Pitting non disconosce che solo nel pi-ùicipio
del secolo XI s' arveì-lì il ci'epiiscolo del ri-
sorgimento.
III.
Se nei secoli \'l e \'II ardeva, secondo
Cassiodorio, T amore degli studi (i), come
avrebbe potuto T invasione dei Longobardi
spegnere a un tratto ogni fiamma di coltura?
E d'altronde, non doveva, appena cessati i
danni delle grandi invasioni, vivere di nuovo?
— Le scuole infatti non risorgevano solo
nella capitale longobarda, ma anche in città
(i) Cassiodorii Opera oniiiia (Venezia 1729) Tom.
II ; De institutione T>ivi)ìarum Liiterarum. Pag. 508
e seg.
italiane d'assai minore importanza, pur con-
servando sempre,, più che nelle altre nazioni,
caratteri spiccatamente laicali.
Sarebbe assai lungo e fuori di proposito
enumerare qui tutta la serie dei maestri dei
quali s'è rinvenuta qualche traccia.
Il seme di tali ricerche, oggi fiorenti in
terreno germanico, fu gettato dagli italiani
nel secolo scorso. Il Muratori nella Disser-
tazione XLIV parlò della fortuna delle let-
tere in Italia dopo Tanno iioo (i). Più
diffusamente e risalendo a più remoto tempo,
trattò lo stesso argomento Girolamo Tira-
boschi (2), e più di recente lo svolsero ancora
il Giesebrecht, T Ozanam e il Ficker (3).
Che infatti lo studio delle leggi rifiorisse
suir esordio del secolo XI, lo provano me-
morie preziose di due scrittori stranieri :
(i) Antiquitates ìtalicce medii oevi, sive Dìsserta-
tiones ecc. (Milano, 1741) Tom. Ili, col. 881 e seg.
(2) Storia della Letteratura italiana. (Modena, 1787)
Tom. Ili, lib. IV,- pag. 413.
(3) Forschungen zur Reichs-und Rechtsgeschichte
Italiens von D.' Julius F"icki-.r (Innsbruck, 186S-70).
III. cap. XXXV.
W'^ippoiìc che scrisse un panegiiico in lode
di Arrigo 11, e Miloiie (Pispino che iieUa
\ita di S. LanlVanco vescovo di C^aiiioi hery
lasciò ricordo come questi alle obiezioni
di Bonolìiio opponesse un passo delle ///-
sii tu la di (ii Listi ni a no.
Così Anselmo il reripatetico. c(MUem-
poraneo di LanlVanco, mentre dimostra di
conoscere alcuni dettami dcllantica sapienza
giuridica, scrive che a suoi tempi fiorivano
uomini instrutti nelle leggi romane, ma che
però r insegnamento del diritto non si se-
parava mai da' quello della grammatica.
Il Muratori (i), il Savigny (4), il Fi-
cker (3) ed altri minori danno anche un'im-
portanza notevolissima alla Scuola di Ra-
venna, durata dal finire del regno teodoriciano
a tutto il sec. XIV circa. Dalla testimonianza
d' un documento del 7(37 (4) e dall' afVerma-
(i) Muratori. Dissert. XLIV, col. 893.
(2) Savigny. Op. cit. II, 23 e seg.
{3) FicKER. Op. cit. Ili: cap. XXXV, pag. 83 e seg.
(4) Muratori Dissert. XLIV, col. 889-92 « Donatio
complurium bonorum facta ab Eudochia Scinctimoniale
Moììjsterio Sanctj.' Maria.' in CusnicJin, Raycnne sito;
Anno 767. "
— '5 —
zione di Pier Damiano che sapienti ravennati
mandarono una decisione, sopra una con-
troversia dei gradi di parentela, ai Fioren-
tini (i), si fa palese che uno Studio a ba-
stanza notevole crebbe in Ravenna nei secoli
di mezzo (2).
Giovanni Merckcl rintracciò le prove di
un' altra scuola giuridica, quella di Pavia,
sorta sin dallo scorcio del sec. X e fiorita
nella prima metà del secolo successivo. La
quale, benché si occupasse più specialmente
di diritto longobardo, non dimenticò il ro-
mano, cui anzi attribuì valore di gius gene-
rale, inteso a riempire le lacune e a mettere
luce nelle oscurità del diritto longobardo.
Anche qui, come in altri casi e come per
(i) S. Petri Damiani. Opera omnia (Bassano, 1783).
Tomo III, Opuscolo Vili, col. 179.
(2) GiNANNi P, P. Dissertazione epistolare sulla
letteratura ravennate (Ravenna, 1749) pag. 38 e seg.
— Atti e memorie della R. Deputazione di Storia
Patria per le provincie di Romagna : Serie terza. Voi. I
pag. 40. Origini dello Studio ravennate di C. R. —
Negli stessi Atti e nella stessa Serie al voi. IV, p. 29
è un articolo del can. Antonio Tarlazzi sulla Scuola
del Diritto Romano in Ravenna ed in Bologna.
— li) —
Inurio, lo studio della 1cì;i;c sct;iii quello
della grammatica. 11 INlcickcl voricbbc lar
risalire rorii;ine della scuola al tempo dì
Ottone I, mciuro il lioreiius ed il Fickcr
sostengono che è meno remota.
(ili antichi giuristi pavesi, dopo gli
studi d' interpretazione, cominciarono ad il-
lustrare le leggi con maggiori commentari; e
a questo fine introdussero non pochi Tram-
menti di diritto romano, sostituendo man
mano una vera giurisprudenza al vecchio
diritto popolare allora moribondo.
Ma poiché effettivamente fino allora a-
veva predominato a Pavia il diritto longo-
bardo, questa Scuola era destinata a cadere
pel declinare delTautorità degli Arrighi quan-
do appunto sorgeva la Scuola bolognese.
Forse le scuole di Ravenna e di Pavia
ebbero influenza su quella di Bologna, ma
è certo che la cultura giuridica in Bologna
rimonta molto più indietro di quanto fino
ad ora si è pensato.
Di Pavia sopravvivono tuttora alcuni
lavori giuridici, sui quali è dato rilevare
come il metodo delle citazioni, delle glosse
»7
e dei commenti fosse pressoché uguale a
quello di Bologna: mentre di Ravenna si
rinvennero esplicite memorie che bastarono
a convincere il Savigny (i), il Ficker (2) e
il Padelletti (3) di ciò che avevano esposto il
Muratori, il Tiraboschi e il Ginanni.
E poiché non è a dimenticare che fra
Ravenna e Pavia le relazioni furono nei se-
coli di mezzo frequentissime (4), non è forse
strano pensare che fra le due Scuole esi-
(i) Op. cit Voi. II, cap. XXII.
(2) Op. cit. Ili, p. 83 e seg.
(3) Guido Padelletti. Dissertazione su Nuovi
studi sulla storia del Diritto nell' Archivio Giuridico,
Voi. VII (Bologna 1881) A p. 271. — Il Pitting rite-
neva che molte memorie oggi attribuite alla scuola di
Ravenna, riguardassero invece ad una scuola ch'egli
argomentava fiorita in Roma.
(4) Epistolce codicis Carolini nel Muratorl Rerum
hai. Script. Voi. Ili, part. II. col. 75 — A.nt. Zirar-
DiNi, Antichi edifici profani di Ravenna (Faenza 1762)
p. 146 e 247 — Muratori. Annali^ IV, 253 — Carlo
Dandolo, Chronicen, nel Muratori Rer. Ital. Script.,
XII, col. 134. — Pauli, Historia Longobarclorum nel
voi. XVI dei Monumenta Germania^ Historica {Han-
nover, 1878), a p. 165 ecc.
— iS —
stesse una qualche C(ìmunaii/.a d'iJec e che,
ainendue esauste, cedessero in parte, se non
tutta, la h)r() \italilà scientitìca a H()l()<;na
che sorge\'a Ira eh loro !
La Scuola di Bologna cresceva infatti
mentre quella di Ra\cnna declina\a. l''ra le
tante cause non si deve dimenticare la po-
stui'a di Bologna: tia le Romagnc, le Marche,
la Toscana, la Lombaidia e il Veneto.
Se un giorno Ravenna, per le sue pa-
ludi, aveva olTerto un luogo di sicui'e//,a
alla \iltà di (^norif) e di Valcntiniano. più
tardi per le stesse paludi e per la remota
sua sede, sul mare, doveva cadere. Dalla sua
ruina emanava la fortuna di due grandi
città: Venezia e Bologna.
Una derivazione romagnola è infatti Ta-
diettivo causidico. Dalla Romagna ascende
alla Toscana. Il Ficker (i) dice che tutto ciò
dimostra chiaramente V influenza esercitata
da Ravenna, influenza che durò anche quando
le scuole di 15ologna e di Nonantola pren-
devano o avevano preso il sopravvento. Non
(i) Op. cit. Ili § 487.
— 19 —
è quindi da farsi alcuna maraviglia se anche
più tardi, in alcuni tribunali di Toscana,
troviamo dei Romagnoli, (i)
Ad ogni modo, nella seconda metà del
sec. XI appaiono le traccie d' alcune auto-
rità giuridiche, che il Ficker trasse in gran
parte da libri a stampa, ed alle quali oggi
posso aggiungere parecchi nomi raccolti nelle
antiche pergamene delT Archivio di Stato di
Bologna, Rinunzio volontieri alla carta, che
ritengo inedita, dell'anno 982, dove si trova
notato un leo notai^ius et index (2), perchè
né il documento né la storia lasciano intra-
veder cosa alcuna di quel remolo giudice,
cui la critica non può dar peso.
Ma dal 10(37 i'^ P^i le notizie appaiono
a bastanza frequenti, in documenti che il
Savioli, il Sarti e altri ricordano solo, e che
stimo utile pubblicare integralmente in ap-
pendice. In uno (3) è scritto: « Ego Albertus
(1) Op. cit. Ili §. 488.
(2) Archivio di Stato — Archivio degli Etiti Au-
tonomi — Abbadia di Santo Stefano e di S. Barto-
lomeo di Musiano, busta 967' doc. n. <).
(3) Vedi, in fine, il doc. I.
'.it
/i'Uis Jor/or /mie yai^inc infcr/'iii ci manii nu\i
siibsct'ipsi. nai;li stessi sioiici, ora citati, e
mentovato, sulla fede di «.lue carte sinoi-a
inedite 1 1\ un Iniiiul/'iis che nel maggio 107Ò
si segna Icu^is iiocior e nel loS^ t7///ct' rc'/,'/"t'
index. A questo iriudice aggiungo un Petrus
index di cui ho trovato ricordo in un rogito
del 23 ottobre 1070 delT Archivio (2), e un
Riislicìis le2Ìs doc/iis ricordato in un docu-
mento del 108S; il qual Rustico è indub-
biamente il Riisticìis legis doclus che appare
in un documento di sei anni appresso edito
dal F'icker (3}.
IV.
a Clini stiidiiun essel destnictnm Rome,
libri legales fiierunt deportati ad Civitatem
Ravenne et de Rarenna ad civitatem istam
(Bologna). Quidam dominns 'Pepo cepit auto-
ritate sua legere in legibus, tamen, quidqiiid
(i) Documenti IV e VII.
(2) Doc. VI.
(3) Documenti Vili e IX.
fiierit de scientia sua, niillius nominis fuit.
Sed douiimis Ynieriiis, diim doceret in artibiis
in civitate ista, ciun fuerwit deportati libri
legales, cepit per se stadere in libris nostris,
et studendo cepit docere in legibiis; et ipse
fuit niaximi nominis et fuit primus illumi-
nator scientie nostre, et quia primus fuit qui
fecit glosas in libris nostris vocamus eum
lucernam iuris (i). »>
Nulla prima del 1781, oltre questo ce-
lebre passo d' Odofredo, ricordava Pepo.
L' autorità dello stesso Odofredo poteva
essere scossa dal dubbio che quel legis doctor
non fosse mai esistito. Ma per amore di
campanile la nostra storia si guardò bene
dal sacrificare un antico studioso; e questo
bastò a salvarlo dalT essere vittima della cri-
tica che vorrebbe distruggere ciò che oggi
sfugge alla sua competenza.
NuUameno V asserzione d' uno storico
bolognese, proprio negli anni in cui lo Studio
(i) Z)o;«/«/ Odofredi in iure absolutissimi matura,
diligentissimeque repetita interpretatio ecc. (Lione
1550). Carta 7 recto. — De Jus/itia et Jure.
i.ii\ curava oggetto ^li Imiouc l'icorclvj, gettò
buio e confusione sul passo citato d' ()-
dolVedo.
Questo storico lu Nicolò Pasquali A-
lidosi che nel Hvio stampò : « Peppo ()8o.
Fu il primo che cominciasse ad csponcre
le leggi. Scrisse alcune glose sopra i testi,
come ne fa mcniione Odofredo, il quale
attesta essere stato il primo, che le comin-
ciasse a glosare, e non fu Irnerio, perchè
fu dopo lui circa 150 anni; ben è vero che
Irnerio fu il primo, che le cominciasse ad
interpretare pubblicamente con autorità
imperiale (1). »
Il Bumaldi nelle Miìicìiwilia venti anni
dopo notava: « Aìiìi. g8o, Peppiis Philoso-
plius primiiin, dciude Juris Glossatorum pi'i-
nius (2) ».
Gli errori crescono, e crescono ancora
per virtù del Dolfi, che, avendogli il Bumaldi
(1) Nicolò Pasquali Alidosi : Li dottori bolognesi
di legge canonica e civile (Bologna, 1620) p. 178.
(2) Giovanni Ant. Bu.maldi (Ovidio Montalbani)
Minervalia Bonon. Civiiim Anademaia, seu Biblio-
theca Bunoniensis. (P)olo,^'na l'^i), p. 187.
•^3
dato buon giuoco con ricordare Pepo come
fondatore della casa Pepoli (i), scrisse: « Al-
cuni hanno detto derivare (la casa) da Pepo
dosatore antichissimo fino del 980. »
Non mancherà certo qualche critico che
troverà come questi scrittori si considerino
oramai destituiti di qualsiasi autorità. Ora,
invece, a me sembra che per ispiegare la
perpetuazione delT errore e delle false con-
seguenze che da questo derivarono, fosse
indispensabile discendere anche ai più me-
diocri. Non è per constatare il loro valore
di storici, ma è per dileguare un errore che
minaccia di diffondessi per mezzo degli scrit-
.tori di secondo, terzo e magari ultimissimo
ordine, i quali sono in contatto quasi im-
mediato con la maggior parte dei lettori.
Infatti dair Alidosi, dal Bumaldi e dal Dolfi,
che chiamerò, se si vuole, autorità negative,
è nata la falsa opinione, che tuttora non
cessa d' essere seguita da molti, del tempo
in cui visse Pepo.
(i) Pompeo Scipione Dolfi: Cronologia delle fa-
miglie nobili di Bologna (Bologna, 1670) p. 5S4.
— 24 -
Ma proscgiu) in ordine.
Mauro Sai'ii. ^iuaniiMU|uc si sL"r\isse
molt(ì spesso clcUo schede di (ìaelano Monti ( i )
citandole molto di rado, pure \a lodato per
un' opera '.■!) utile nel complesso e tenuta
l>ei" autore\'oIe dai dotti italiani e straniei^i.
Ora, basia\'a che il Sarti a\esse un'idea
più esatta dello stato in cui si tro\ava la
coltura i^iuridica avanti il mille, e non cieca
lede nel miracolo S Irncrio, perchè avesse
ragione a dubitare di quel Pepo ricordato
solo da Odofrcdo e rimandato, da storici
senza valore, al qSo. Non tardò inlatti a
scrivere che Odofredo registra un certo
Pepo, di cui. scn/.a quel ricordo, sarebbe
perita ogni memoria e tinisce dettando " Sed
hidiiiit aliqiii in Pcponis nomine, quasi hoc
ipso nomine eius ìnscitia et tardilas ingenii
notaretiir (3). »
Il Tiraboschi non cercò più in là. e
(i) Si conservano nella R. Biblioteca Universitaria
di Bologna fra i mss. col numero 1404-
(2) De Claris ecc.
(3) Op. cit. a p. 7. A questo punto riconferma con
ragione la falsità d' una medaglia col ritratto di Pepo.
25
sulla sua fede e sul passo di Odofredo lasciò
nel 1787 che si ditfondesse la credenza che
V infelice Pepo fosse vissuto avanti il mille (i).
Non era adunque valso che Prospero
Ferdinando Fossi pubblicasse nel 1781 un
documento che gettava la luce su Pepo; né
valse che Lodovico Savioli lo ripubblicasse
nel 1784. Giovanni Fantuzzi, che stampò le
Notizie degli scrittori bolognesi (2) dopo il
Fossi e il Savioli, non avvertì quel docu-
mento e scrisse che se Pepo fiorì cento-
cinquanta anni prima d' Irnerio, dev' esser
vissuto intorno V anno 963 « lo che, con-
tinua, non ha grandissima discrepanza dal
980 assegnatogli dall' Alidosi; e può quindi
conchiudersi, che V Alidosi in questo punto
eziandio non si demeriti la nostra credenza. »
Ed ecco intanto ribadito T errore ; fatto
anzi più grave. Non bastava adunque che
si credesse che Pepo fiorì nel 980, che il
Fantuzzi lo manda ancor più lontano, al 963
(i) Op. cit. Ili, 42S. Cfr. anche il Voi. II, 17.
(2) Giovanni Fantuzzi : Notizie degli scrittori
bolognesi (Bologna 1788). Tom. VI, pag. 368.
— 2(1 —
rcspiiiiTendo poi, per una siiaiia Loiiiiaddi-
zione, lo frasi onde il Sarti sembra far poco
conto di Pepo, (.jii.isi (.piasi iMiiipioNeraiulo^li
di non a\erne fallo tiitlo quel ca^o clic polca
farscìic.
Nò meno adunque il bioi^rafodi Pepo vide
il documento di cui si parlerà in appresso.
Per cui, ecco una nuova serie di scrittori
farsi seguaci (oltreché delT Alidosi) del Fan-
lu/./.i e del Tiraboschi e ripeterne, nel caso
nostro, gli errori. Seratino Mazzetti nel 1847
mette Pepo sempre nel secolo X, e cita il
Fantuzzi (r). Salvatore Muz/.i nelle S/ofic e
ritraili d^ uoìiiiìii illush'i all'erma: « Prima
al cerio del inille un Pepone fra noi inse-
gnava la giurisprudenza (2). » Luciano Sca-
(1) Repertorio di tutti i professori antichi e mo-
derni della famosa Università e del celebre Istituto
delle Sciente di Bologna (Bologna, 1847), pag 240.
{2) Storia e Ritratti di uomini utili e benefattori
dell' umana famiglia e di tutti i paesi e di tutte le
condizioni. (Bologna, Marsigli, s. d.) Voi. II. Biografia
d' Irnerio scritta d:i Salv. Muzzi, il quale ne inserì altra
più breve a pag. 83 dell' Iride. Albo Felsineo per
l'anno I833 (Bologna, tip. della Volpe).
— 27 —
rabclli stampa nel 1876: " Parlavasi di un
Peponc discepolo di Chiliano e sarebbe stato
nel secolo decimo (3). » Finalmente, nel 1886,
si può ancor leggere: « Chi salisse fino a
Pepone, espositore delle leggi romane e glos-
satore del testo, pubblico insegnatore, ed in-
terprete per autorità imperiale, porterebbe
il principio dello Studio bolognese agli ul-
timi anni del secolo X (4) >• !
Non mi dilungo con altre ricerche in-
torno a questo punto; non discuto l'autorità
deijli storici citati, benché non siano tutti
da confondere insieme, che anzi alcuni
sono autorevoli assai, ma credo che questo
esame fosse indispensabile per comprendere
come non sia stata mai giudicata a dovere
r importanza di Pepo e come la critica facile
e a buon mercato abbia finora tentennato
a credere ad Odofredo.
(3) Delle Costituponi, Discipline e Riforme del-
l' antico Studio bolognese ecc. a p. 17.
(4) Lo Studio bologjiese art. inserito nella /?J5-
segna na^iionale {V'ivenzQ^ 1S86). Anno Vili, voi. XXXII
p. 137.
•x
V.
Mi sembra però che il Fantu/./.i abbia
acutamente osservato che « Odofredo con-
fronta r uno coir altro, Pepone ed Irncrio;
dice deir uno e dell' altro, che in questa sua
patria insegnarono le leggi; discende al para-
gone della lama delT uno colla lama delT al-
tro, e di Pepone decide che luilliiis noìninis
Jiiìf, e d' Irncpio decide che ipse fui/ ì?iaximl
nomiiiis. (i) ') Con ciò determina la supre-
mazia d' Irnerio su Pepo, come lece Dante
nel confronto di Oderisi con Foraneo bolo-
gnese, di Cimabue con Giotto, di Guido
Cavalcanti con Guido Guinizelli e forse di
sé con gli ultimi due (2),
Ma questi confronti sono senza verun
dubbio immediati: si parla di artisti, di let-
terati e di dotti, che iniziano tutti un'era
(1) Scrittori bolognesi. VI, 368.
fi) Divina Comedia. Purgatorio, cant. XI, v. 78-84
e 94-99
— 29 —
nuova, nella pittura, nella scienza giuridica
e nella poesia. Non è il caso d' un ravvici-
namento comparativo fra persone vissute in
varie civiltà, o a certa distanza di tempo, ma
è un accenno determinante un progresso che
senza sosta si va svolgendo col risorgimento.
Certo, quando la critica è sussidiata dai
documenti, tutte le cose appaiono più chiare,
più facili. Nullameno male si spiega come
non sia sorto subito il dubbio esser la data,
prodotta dalTAlidosi e seguita da moltissimi,
per avventura erronea.
Ma, come ho detto, nelT anno 1781 il
Fossi stampa un documento del 1076 (si
noti), dove è nominato Pepo legis doctoì\
documento che tosto il Savioli riproduce (i).
(i) Vedi le citazioni bibl. al doc. II. Oltre al
Fossi e al Savioli, ha pubblicato questo doc. il Ca-
mici (Serie croiiologico-diploììicttica degli aiìliclii Duchi
e Marchesi di Toscana del capitano Cosimo della Rena
con supplemento e note dell' ab. Ippolito Camici r.'or-
dinata e pubblicata dall' abate Agostino Cesaretti —
Firenze 1799 — Voi. Ili, p. 78) ma con errori ed omis-
sioni incredibili fra le quali è notevole quella dei
nomi di Guglielmo e dello stesso Pepo.
Inlaui, questo documento ha cosi buon
valore, che benché T a\essero };ià pubbli-
cato il Fossi e il Sa\Toli. il b'ickei^ volle
rijMibblicarlo per la tei/.a volta nella sua
storia. Si l; nardi perciò come a conforto di
quanto dissi più su taholta un errore possa
superare, al pari delle verità più sicure, qual-
siasi ostacolo. Dal Fossi, dal Savioli e dal
Savi^ny (i), salvi il Del \'ecchio (2), il Fi-
cker (3), il Gloria (4), il Gozzadini (5) e il De-
li) Savigny. 4, 416.
(2) Ai.BiiRTO DEL Vecchio nell'opuscolo Di Irnerio
e della sua scuola (Pisa 1869) a p. 13. — Colgo
quest'occasione per ringraziarlo degli schiarimenti
onde mi è stato cortese ed al suo nome aggiungo
quello dei professori Vittorio Rugarli e Giuseppe
Brini, che mi diedero notizie ed aiuto.
(3) Op. et loc. cit.
(4) Monumenti dell' Università di Padova raccolti
dal M. E. Andrea Gloria. (Venezia 1885) p. 332.
« Certamente Pepone innanzi Irnerio insegnò le leggi
in Bologna. »
(5) // Pala^jo detto di Accursio memoria di Gio-
vanni Gozzadini inserta negli Atti e memorie della
R. Deputatone di Storia Patria per le Provincie di
Romagna Serie IH. voi. I, pag. 427.
3'
nilie, nessun altro forse tenne più in conto
o avvertì o lesse quel documento.
Il Fossi ne scrisse così : « La carta del
mese di Marzo 1075 , scritta in Marturi
presso Poggibonsi territorio Fiorentino, e
allor Diocesi per sin di Firenze, ove non
può cadere equivoco alcuno , e da cui
consta che non solo i Digesti erano noti in
quel tempo in Toscana, ma che ancor si
decidevano e sriudicavan le liti a norma dei
medesimi. consiste in un giudicato
per cui Nordillo Messo Regio della contessa
Beatrice, Guglielmo Giudice, e Pepone dottor
di Legge con molti altri restituiscono al
Monastero di Marturi, oltre ad alcune terre,
la chiesa di S. Andrea di Papuiano spo-
gliandone Sigizone di Firenze, che allegava
la prescrizione del possesso quadragenario
appoggiando la loro decisione sulla legge
delle Pandette Lib. \\\ Tit. VI. Ex quibus
causis maiores 25 annorum in integrimi
restituantur Leg. § 26. sed et si ait Prcetor
ivi sed et si magistratus copia non fuit, labeo
ait restitutionem facieudam, nel qual testo si
tratta di restituzione in intcL>:rum contro la
•> •)
prcscri/ionc . come e il caso della (lana.
nella quale si lef^gono le sei^ueiiti parole;
I/is yi'i\}c/is siipradic/ns Nordillus pfcdic/c
domine Ih'alì'icis Missiis I. Digesforitnt lilvis
iìiscr/a coiisido'j/a per qiiMìi copiani Ma-
'p;ish\ìlus non liabcnlibus, rcslilutioncin in inle-
gì-uìu Pì-clor polli:ctHr, rcsliliiit in in/ci>'rnni
Eccli'sijni et Monasterinni S. Michaelis de
ciccione oìiinique iure quod aniiserai eie. (i). »
(i) Congetture di un Socio Etrusco [civv. Miguo-
ROTTO MaccionO sopra una carta papiracea dell' Ar-
chivio diplomatico di sua alte^^a reale il serenissimo
Pietro Leopoldo Arciduca d'Austria Granduca di
Toscana ecc. ecc. con la prefazione dell' editore
(Prospero Ff.rdinando Fossi) (Firenze 1781). A pa-
gina XXXI li. — In altri due documenti (vedi nel-
r Appendice i numeri II e V). 1' uno del 1072, l'altro del
1078, si trova nominato un Pepo avvocato del convento
di S. Salvatore di Monte Amiato, in due cause trattate
alla presenza della duchessa Beatrice e della contessa
Matilde. Il Fìcker{Op.cit. IV, 104) scrive laconicamente
che questo Pepo non può essere lo stesso col giurecon-
sulto ricordato da Odofredo e nel doc. III. — Senza
punto discutere 1' affermazione dello storico tedesco,
non posso nullameno omettere alcune considerazioni.
Questo Pepo advocatus o advocator s'\ trova nello stesso
•1 '^ì
Che questo Pepo sia appunto quello
indicato da Odofrcdo , come primo maestro
di Diritto in Bologna, non si può metter
in dubbio; e che « malgrado la sua com-
parsa in un tribunale toscano, egli non fosse
un giurisperito toscano, lo prova la desi-
gnazione, non mai usata per un giurista
toscano, di legis doctor^ usata invece ed
esclusivamente in Romagna. » Come i giu-
reconsulti di Ravenna e di Nonantola, pensa
il Ficker, egli sarà stato in Toscana per
professare la sua dottrina giuridica. E ri-
guardo a questo atto il Savigny scrive :
« Questo documento si distingue sugli altri
della stessa età per buona logica e scienza
vera di legge (i). »
decennio, negli stessi luoghi e presso lo stesso tribu-
nale, in cui si trova il Pepo legis doctor. Il suo titolo
di advocatus determinò, forse, 1' opinione del F"icker,
ma è notevole che documenti editi dallo stesso (num. 72
e 78) provano come il monastero di S. Salvatore
avesse anche un secondo avvocato (appunto nel giudi-
zio di Beatrice) e come talora un memhro del tribu-
nale potesse fungere da avvocato per una delle parti,
(i) Op. cit. I, 4 II).
Con questa carta adunque si viene a
mietermi naie in modo assoluto clie Pepo non
è un figlio deir imairina/ione d' Odofredo,
ma è \issuto veramente; che non fu ante-
riore ad Irnerio di cento cinquant' anni ,
ma gli lu contemporaneo , quantunque Pepo
fosse adulto qur.ndo Irnerio era giovine
d'almeno vent' anni, e che in lui era cultura
giuridica in buona parte di i,'7'//,s' romano.
Le quali cose non furono considerate a
dovere riguardo alla loro importanza (ij cui
accennò lo stesso Ficker, quantunque dopo
il Savign}', alcuni, togliendosi dalla volgare
schiera, stabilissero l'esistenza di Pepo in-
torno al 1076.
Ad un insegnamento saltuario, a scuole
tenute a tutto agio da dottori di legge , come
crede il Denitle (2), e come poterono forse
tenere i citati Alberto, Iginulfo, Rustico ecc.
senza nessun dubbio siamo tutti indotti a
(i) Ettore Coppi: Le Università italiane nel Me-
dio Evo (Firenze i88ó),
(2) Die Universi tiiten des Ali t telai ters bis 1400 von
P. Heinrich Denifi.e (Berlino, 1886). A p. 44, nota 16.
— 35 —
pensare. Ma non sembra troppo ardito spin-
gere questa congettura a Pepo che Odofredo
indica tanto distintamente?
Adunque, riguardo a questo dottore di
legge, per le notizie finora esaminate, Odo-
fredo acquista diritto alla fede degli storici.
Egli d'altri dottori di legge, come inse-
gnanti, non fa parola; e mentre afferma
invece che Pepo cepit auctoritate sua legere
in legibus e che Irnerio lo superò in celebrità,
i documenti confortano il suo asserto, sia
rispetto alla data storica, sia rispetto a un
sensibile progresso giuridico.
Odofredo narra dapprima del tanto di-
scusso trasporto dei libri legali da Roma a
Ravenna e da Ravenna a Bologna. Il Sarti
trova tutto ciò favoloso, (i) ma il Tiraboschi,
più sapiente e prudente, mitiga le denega-
zioni deir altro e scrive : « Io penso che il
buon dottore Odofredo abbia qui voluto
usare il senso allegorico non il letterale;
e che sotto V idea del trasporto de' libri altro
(i) Op. cit. p. f).
— ■:,(] —
non miciula (Jì;1ì \cr;uncnic che il trasporlo
dello Studio ilj. .)
Le parole del 'l'iraboschi non hanno
certo un' assoluta conferma storica. Ad ogni
modo la critica moderna ammette che, intima
di Bologna, Ravenna vantava scuole giuri-
diche e che anzi esercitò una inliucn/.a no-
tevolissima su Bologna. Si dia, se si vuole
largo campo a\V allcirorìa, ma resterà sempre
il fatto che Odofrcdo diede cenno della pre-
minenza cronologica di Ravenna.
Da una glossa inedita di Azonc s' argo-
menta anche che Pepo non ha lasciato scritto
nulla (2). E non può esser questa la causa
che spinse Odofredo a scrivere le parole
nidlius nomiìiis fiiit ?
VI.
Dopo quanto si è detto. V opera d' Ir-
nerio non parrà più così miracolosa, come
si e preteso per lungo tempo. Egli ha, come
(i) Op. cit. Ili, 427.
(2) Savigny, Op. cit. II, 17.
— 37 —
tutti i grandi, i suoi precursori. E ben vero
che, seguendo V evoluzione de' suoi tempi,
per la potenza delT ingegno 1' aiuta forte-
mente a procedere ; ma tutto è piano, è na-
turale. Lo studio del diritto romano, che a-
veva con istento traversato il medioevo, con
raccostarsi del mille accenna a rifiorire nelle
scuole di Pavia, di Nonantola e di Ravenna.
Bologna intanto risorge: risorge poli-
ticamente, artisticamente e intellettualmente.
In Bologna appaiono giureconsulti dalla
metà del secolo XI, che si vanno addensando
man mano che si procede verso la fine del
secolo stesso. Ne ricordai alcuni contempo-
ranei a Pepo ; ne aggiungo parecchi altri
contemporanei ad Irnerio.
Nel 1103, in un giudizio tenuto dalla
contessa Matilde (1) si trovano i causidici
(i) M'.'inorie della gran Contessa Matilde . . .
di Franc. Maria Fiorentini, sec. ediz. illustrata con
note critiche, e con V aggiunta di molti documenti
appartenenti a Matilda, ed alla di lei casa^ da Gian
Domenico Mansi ([.ucca, 1756), Tom. II, pag. 187-188.
Cfr. M. Sarti, Op. cit. I. 8; e G. Ficker. Op. cit.
Voi. Ili, p. 133, S488. — Vedi in AppcnJiceii.doc. XI n.
- sS -
Joanncs lìoniis e ^L^^\•hisL'lllts. i ^|iiali lasciano
pensare clic la scuola niuiidica di Boloi^na
i;odcssc uià d' mìa certa noniinan/.a. In un
documento del dicembre delP anno se-
guente, che riassume un i^indi/.io del pari
matildico. si tro\a il passo: Joaiiiie Bono el
MArcìiiscUo Boìioiiit'iisihus (i), al quale atto
oggi posso aggiungere una terza pergamena
del luglio 1 104 iìrmata : « Ego iohanes Bonus
causidicus (2). »
Il Ficker avverte che di un quarto cau-
sidico per nome Anselmo, testimonio presso
Matilde nello stesso 1104, non è possibile
stabilire la patria (3). Si può invece ritener
bolognese un Gandolfo al scrvi/.io della Con-
tessa nel 1103 (4), il quale del iii() è chia-
mato Gandolfi iiidicìs de Ai^ gelata (5), pae-
(1) Ferdinando Ughelli , Italia sacra. (Vene-
zia, 1718) Tom. III. col. 711. — Cfr. Ficker. Op. et
loc. cit. — Vedi in App. il doc. XV.
(2) Doc. XIV.
(3) Op. et loc. cit.
(4) Fiorentini, Op. cit. II, 188 — Doc. XIII.
(3) Doc. XXVI.
— 39 —
setto a pochi chilometri da Bologna verso
Ferrara.
Nel settembre iioy s' ha ricordo di un
Pietro legis doctor di Monte Armato (i).
Nel giudizio di Matilde del 1113 (2) al
nome d'Irnerio sono aggiunti quelli d'un
Lamberto e d' un Alberto. Lamberto si trova
anche in un placito del 11 13 dove è chia-
mato esplicitamente causidicus de Bononia (3).
Il nome d'Alberto ricorre in parecchi do-
cumenti e spesso insieme a quello d'Irnerio,
ma forse si tratta di più persone, mentre
i nomi d'altri sono da ritenere ripetuti in
parecchie carte, quantunque manchino gli
elementi per identificarli (4). Nel documento
del 1113 riappaiono anche i nomi di Marchi-
sello e di Rolando, del quale s' ha forse
memoria del 1 1 16.
(1) Doc. XVI.
(2) Doc. XVII.
(3) Doc. XVIII.
(4) FiCKER. Op. cit III, 134 5 488. — Vedi pel
nome Alberto i doc. X, XI, XVII, XXII, XXVI,
XXVIII, XXXIII e XXXVI.
I)
Agli sicssi anni circa, il Saxioli (i)
ricorda anche un (iuido di Rolando e un
Raimondo da Zcna , villaggio sui niouii a
20 chilometri da Bologna. Questo Raimondo
è il medesimo causidico che si trova chia-
mato l->oloij;}iesc con Irnerio nel 1125 (2).
Si firma esrouiet raniniiiìidus lci>is lator ed
è detto de Gena, in una carta inedita del-
l' Archivio del 1127 (3) e Rainiìiìidiis de Al-
giii{a) causidicus in un doc. del 11 18 (4).
A questi nomi ne aggiungo altri tratti
dalle pergamene dell' Archivio di Stato di
Bologna. Del 1115 si trova un Tegrimiis
tabellio atque causidicus (3); del 11 17, un
Fanlinus causidicus et tabellio (()). In un
documento del 1118 sono ricordati un riso
judex e un Angelus causidicus (7), il quale
ultimo riappare in atti del 11 io, 1121,
(i) Op. cit. Voi. I. p. I, p. 133
(2) Doc. XXXIV.
(3) Doc. XXXV.
(4) Doc. XXX.
(5) Doc. XIX.
(6) Doc XXIX.
(7) Doc. XXX.
— 41 —
1124. Ili»), ii3'^i I 145 ^'cc. (i); e finalmente
air anno 1123 un Gcrardus caiisidiciis et
tabellio (2).
Neir atto citato, dove si trova memoria
di Lamberto al 11 13, è fatto cenno anche
di un Albertus gramaticiis de sancto marino ,
che torna ad essere nominato nel 1130 (3)
fra molti laici bolognesi: Albei^to maistro
de Sancto Mainino, Nel libro del Ficker si
riscontrano le inesattezze del documento
secondo la pubblicazione del Savioli. Ol-
tracciò , il S. Marino di Alberto bolognese,
non è molto probabilmente (come pretende
il Ficker) il « S. Marino ai confini della
Pentapoli , » ossia la solitaria repubblica,
ma un S. Marino a dieci chilometri da
Bologna, fuori di porta Galliera.
Non si creda, ripeto, che con tutti questi
giuristi pretenda insinuare V idea d' uno
(i) Archivio di Stato — Archivio degli Enti Au-
tonomi — Abazia di S. Stefano e di S. Bartolomeo
di Musiano.
(2) Doc XXXI 1.
(3) Doc. XXXVI.
studici delle le^gi lìoi-entissiino. Mi limito
solo ad otìrii'iie i nomi e :i notare come
alcuni S essi si tro\ino a t^iiKlicare insieme,
in \ari giudi/i, con Irnerio sin dal 1113,
senza dubbio, con uguali criteri. Non discuto
la superiorità d' Irnerio , ma non posso a
meno di avvertire, come allo sviluppo in-
tellettuale di lui si fosse in tal modo pre-
parato un buon letto. Per tale abbondanza
di dottori di leiT£TC o causidici mi sembra
che si abbiano mille ragioni a credere ad
un precedente, notevole insegnamento e a
credere inoltre che parte dei nominati pos-
sano essere usciti dalla scuola di Pepo.
VII.
D' Irnerio si è scritto molto. Chi ha cer-
cato di portar luce nella sua biografia, chi
di determinare T importanza dell' opera sua.
Ad ogni modo, giova notare che tutti con-
vengono sul valore giuridico d' Irnerio. Ed
anche il Chiappclli, ultimamente, in un
dotto opuscolo sopra alcune glosse ti' Irnerio
e della sua scuola, scrive: « Alle scarse
— 43 —
notizie sopra Irncrio e la sua attività scien-
tifica, le quali ci sono offerte dalla compi-
lazione deir Accursio, dalla letteratura giu-
ridica bolognese e dal glossario raccolto
dal Savigny, poco aggiungono le glosse da
noi trovate nel manoscritto pistoiese... Esse
non ci rivelano il valore, che certamente
ebbe Irnerio nel commento delle leggi, ma
danno una conferma della estesa conoscenza
che egli possedeva delle varie parti delle
f Oliti (i) »
Enrico Denifle scrive che, con l'appa-
rire d' Irnerio, in Bologna la cosa si muta,
e al nome d' Irnerio si legano, non certo
i principi! della scuola di Diritto, come il
Savigny crede , ma la stabilità della scuola
giuridica che oscurò le altre (2).
(i) Glosse d' Irnerio e della sua scuola tratte
dal Manoscritto capitolare pistoiese dell' Authenticiim
con un introdupone storica dell' Avv. Luigi Chiap-
PEtxi — Estratto dalle Memorie della Classe di sciente
morali, storiche e filologiche della Regia Accademia
dei Lincei. — Anno CCLXXXIII (18S3-86. Serie IV.
Voi. II). A p. 12.
(2) Op cit p. 4v
La disiiii/ioiic e lilla, ne i;i()\a discu-
terla. Nella sostan/.a non crea ostacolo alle
nostre opinicìiii, perocché r sicuro che il
periodo di formazione dello S/iidio bolognese
non dev'essere stato ne improvviso né rapido.
Per conto mio, il passo d' Odo/redo, mi con-
vince che la stabilità della scuola giuridica
risale a Pepo; e così anche doveva in cuore
parere al Ficker quando dettava che, nel
senso d'una congiunzione del metodo e
della scienza dei giuristi longobardi con
una più estesiv conoscenza delle fonti del
diritto romano, la fama della scuola di
Bologna deve risalire a prima d'Irnerio, e
che forse i tentativi antecedenti a lui, annun-
ziati dalla presenza di Pepo, non furono così
insignificanti come pretendono molti (i).
Della vita d' Irnerio si conosce più
tosto poco, anche dopo un documento, sco-
perto dal Ficker, e le congetture del Gloria.
Ma conviene star contenti a quelle povere
traccie, sulle quali è pur dato disegnar
qualche cosa.
(0 Op. cil. IH. 14^. S 493.
— 43 —
La forte e serena critica italiana del
secolo scorso ha già eliminato i più gravi
errori. Pel nome scritto variamente Irnerius,
Yrnerius, Wernerius, Warnerius, Guarne-
rius, Gernerius ecc. alcuni avevano supposto
che il giureconsulto fosse tedesco. Il Sarti
per primo (i) e quindi il Tiraboschi (2)
stabilirono , sulla fede dei documenti , ch'egli
era bolognese, togliendo per tal modo anche
il dubbio di altri che lo volevano di Milano.
E fa sorpresa, come gli storici posteriori,
massime tedeschi, non abbiano rimessa la
polemica in campo!
Di poi si disse che Irnerio aveva studiato
legge a Ravenna, ma il Savigny notò che
il D'Asti, che ciò sostenne, in luogo di
« studiiim fiiil Rai^enUiV » lesse erroneamente
in Odofredo « studium fecit Ravennce (3). »
E pure altri, cui forse le scuole di Ravenna
parevano troppo vicine, lo mandarono senz'al-
tro a studiare a Costantinopoli ; ma il
(i) Op. cit. Tom. I, p. I. pag. 12.
(2) Op. cit. Tom. Ili, lib. IV, 428.
(3) Savigny. Op. cit. II. p. 21 e 27, nota b.
K»
Sarti (i), il Tiraboschi (i), il Savigii}' (3)
ed alili lo fecero rimanere sempre a Bologna,
grammatico prima, quindi giuieconsulto ;
passaggio che s'è \isto in alni ancoi'a.
Mutato di scolaro in dottore, le favole
lo seguono sen/.a posa. Dapprima lo si fa
professore in Ravenna ed in seguito a
Roma (4;. Ricondotto da altri in Bologna,
Roberto da Monte, nei 1032 (sic) gli dà per
compagno nelT insegnamento il vescovo Lan-
franco (5). Ma il Muratori, con una critica
che può sembrare ovvia, dice che l'autorità
di quel cronista a questo punto gli casca
assai, tanto è inverosimile che Irnerio , sano
e attivo del 11 16, potesse insegnare nel
1032 (6). Questa opinione fu sviluppata con
(i) Op. cit. I, part. I. p. 12.
(2) Op. cit. Ili, 428
(3) Op. cit. II. 26.
(4) Op. et loc. cit.
(5) Roberti de Monte, Accessiones ad Sigeberti
Gemblacensis chronicon in appendice alle opere di
Guiberto da Novigento : (Parigi, 1G51) e. 721. — Sa-
viGNY, II, 20.
(6) .\nt. ital. Diss. XXIV. Voi. III, col. 880.
— 47 —
nuovi criteri dal Savigny « Dicono ciie
Irnerio fosse collega di San Lanfranco; il
quale ultimo avrebbe poscia rinunziato alla
giurisprudenza e lasciata V Italia. Questo
racconto poggia sopra V antichissima autorità
di Roberto da Monte; ma, secondo costui,
Irnerio sarebbe vissuto forse un mezzo secolo
prima; poiché Lanfranco morì nell'anno 1089
e la carica di professore deve averla eser-
citata in gioventù. Siccome dunque sì fatto
racconto è in contraddizione coi documenti,
colla cronaca dell' Abate di Usperga e ( si
notino queste parole del Savigny) colla im-
mediala anleceden^a di Pepane^ vuol essere
rigettato come erroneo (i). »
Il Sarti procurò di salvare una parte
della notizia di Roberto da Monte, dicendo,
che, se anche Lanfranco non è stato contem-
poraneo, può nullameno avere insegnato be-
nissimo da sé in Bologna (2); ma il Tiraboschi
dimostrò chiaramente che tanto la notizia
di Roberto_, quanto l' opinione del Sarti,
(i) Op. cit. II, 25.
(2) Op. cit. Tom. I, part. I, pag. 4 e seg.
_ ,s _
non erano Cdiilormi al xcro, e clic Miloiic
(h'ispino, vissuto nello stesso monastero e
assai più prossimo a Lanlianco, non lasciò
ricordo che dcW insegnamenlo fatto da lui
in Pavia sua patria (i).
Vili.
Il DcniHc fa risalire una vera stabilità
di scuola giuridica in Bologna ai primi anni
del secolo XII, riconoscendo sotto questo
aspetto il merito d' Irnerio (2).
Egli sostiene che le scuole furono dap-
prima come private, e che tanto a Parigi
che a Bologna a nessun dottore riuscì di
formare una scuola durevole prima dell'e-
sordio del sec. XII (3).
E come si spiegano, chiede il Denitle,
questi fatti ? « Non è verosimile che la sola
(i) Op. cit. Ili, 424.
(2) Denifle. op. et loc. cit. I, p. 34"4''-
(3) Op. cit. II, 2. — Del resto lo stesso Denifle
non è alieno dal credere che i primordi dello Studio
bolognese possano risalire al sec. XI.
— 4'J —
fama di un maestro e il desiderio suscitato
nei giovani di ascoltarlo abbiamo potuto
produrre scuole permanenti. Qui debbono
esserci stati altri fattori attivi. Per non
andare errati s' ha da distinguere tra il pri-
mo fiorire di queste scuole e il loro svi-
luppo durevole. Parigi e Bologna si segna-
larono quasi improvvisamente su tutte le
altre scuole, quasi nello stesso tempo, cioè
a dire nei primordi del sec. XII, perchè in
quei luoghi una speciale disciplina venne
trattata da uno o più maestri con un metodo
corrispondente ai nuovi bisogni del tempo
e quasi ignorato dai contemporanei, di guisa
che sorse una nuova era della ricerca scien-
tifica. Questo nuovo metodo possedeva at-
trattiva per maestri e discepoli di paesi di-
versi. I discepoli spesso viaggiarono mezza
Europa con lo scopo di associarsi ad un
maestro, che insegnava secondo le loro idee;
di questa guisa a Parigi e a Bologna venne
posto il fondamento a stabili istituti della
scienza. Il numero ognor più crescente de-
gli scolari, fece crescere V attività dei maestri.
L' emulazione scientifica degli uni e degli
altri fu svegliata. » 4
"ì->
— so —
Come s' è veduto, anche avendo ferma
opinione che la slabiliià deUa scuohi giuridica
debba risalire a Pepo, seguendo il parere
del Denille. la cosa, nella sua sostanza, non
\ienc a muiar punio, massime se si accet-
tano le ultime congettiu'e del (ìloria.
Le varietà susseguitesi nelT ordine degli
studi, a traverso lo svolgersi dei secoli e
delle idee, non tolgono che i primordi del
nostro studio non risalgano a Pepo e ad
Irnerio, senza interruzione, o pure, con in-
terruzioni brevissime. E può sembrare quasi
inutile frugrare altri argomenti a sostegno
di tutto questo. Le scienze sono andate
progredendo, secolo per secolo, e direi quasi
lustro per lustro, ed hanno quindi inevita-
bilmente obbligato gf istituti a modificarsi
con loro e per loro, assumendo anche una
varietà di nomi.
IX.
Sino a pochi anni fa i documenti, che
si citavano a proposito d' Irnerio erano sette
dal iii3 al 1118. Oggi se ne conoscono
tredici.
5f
Dei due discussi dal Gloria parlerò poi.
Intanto registro gli altri.
Il primo consiste in un placito tenuto
dalla contessa Matilde nel 1113. — Irnerio è
ricordato innanzi a tutti gli altri causidici (i).
Il secondo è un'investitura di un monastero
padovano fatta per placito di Enrico nel
giorno 18 marzo 11 16 (2). Col ter-{o (22 marzo
II 16) Enrico prende sotto la sua protezione
il monastero di San Michele di Candiana (3)
Col quarto (8 aprile 1116) lo stesso Enrico
conferma una sentenza a favore della chiesa
di Parma (4). Il quinto è un documento in
favore del monastero di Pomposa firmato
da Irnerio per lo stesso sovrano nello stesso
anno, ma del 6 maggio (5). Il sesto^ contiene
una donazione di terra fatta dallo stesso En-
rico al monastero di Polirone (12 maggio
1116) (6). Il settimo^ del 15 maggio 11 16, la
•
(i) Doc. XVII.
(2) Doc. XX.
(3) Doc. XXI.
(4) Doc. XXII.
(5) Doc. XXIII.
(6) Doc. XXIV.
cui autenticità dal MurattM^i è messa, forse
a torto, in dubbio, contiene un {privilegio
concesso da Enrico al popolo bolognese (i).
[.' oì/lìì'o del is novembre iii('» è un atto
di donazione del conte Smilo o Milo di Pa-
nico (2). Il Jiono e il decimo sono due atti,
r uno del 1117 e F alti^o del iiiX, dell' Im-
peratore. Gol pi'imo Ivnrico prende in pro-
te/ione i Canonici regolari di Corte Melara;
col secondo concede T immunità ad un ospe-
dale (3). Il (ice/;;/ ojt7r/;«o finalmente, del 1125
riguarda una lite tra i conventi di S. Bene-
detto di Polironc e di S. Zenone in \^e-
rona (4).
Ora, si guardino quali induzioni bio-
grafiche se ne sono tratte o possono trarre.
Se nel 11 13 la fama dMrncrio era già
fondata e diflusa al punto di consigliare Ma-
tilde a metterlo in testa a tutti gli altri
(i) Doc. XXV. Vedi nella Tavola dei Documenti
al numero rispettivo, le ragioni per io quali lo ri-
tengo autentico.
(2) Doc. XXVI I.
(3) Doc.'' XXVIII e XXXI.
(4) Doc. XXXIV.
~ 53 —
causìdici per un placito di molta importanza,
bisojrna logicamente rimandare indietro di
parecchi anni il primo insegnamento d' Ir-
nerio. Come infatti avrebbe potuto in breve
acquistarsi tanta autorità in una scienza
che richiedeva speciali speculazioni e ricer-
che, proprio in quei tempi, in cui la fama,
per le condizioni peculiari della società, a
diffondersi procedeva lentissima?
Ma rimandando le congetture e le illazioni
a suo tempo, raccolgo poche altre notizie
sopra Irnerio. Landolfo nella Storia di Mi-
lano all'anno iiiS scrive: ^^ Magister Giiar-
nerius de Bononia et pliires legis Periti po-
pulum T^omanum ad eligeìidiim Papam convenite
et quidam expeditus lector in pulpito S. Petri
per prolixam lectionem decreta Pontijicum
de substituendo Papa explicavit (i) » D' Ir-
nerio^ che allora mise ai piedi d' Enrico la
propria autorità perchè fosse eletto V anti-
papa Burdino contro Gelasio II, il Muratori
(i) l.ANDULPHi /zm/om Hist. Mediai, edita dal Mu-
ratori ne' Rer. hai. Scrip. V, pag. 502.
- M —
si lamenta (i), e lo accusa di servilità e quasi
quasi ne discute il sapere. Ma, non man-
cando il Tirabosclìi di spendere buone pa-
role per Irnerio {2), la cosa si quietò e la
critica tacque.
Due altre piccole ed ultime notizie ri-
mangono a registrarsi. Alcuni dissero che
irnerio prese ad insegnare legge per consiglio
di Lotario. Questa notizia è presto smentita,
perchè, quando Lotario diventò imperatore,
Irnerio già insegnava da parecchi lustri.
L'altra è di (]!orrado abate Urspergense che
fra il 1 125 e il 1 13(8 scrisse : « Eisdem quoque
temporibus dominus Wenierius libros Icgum,
qui dudum neglecli fucraut, nec qiiisquam
in cis sluduerat, ad petitionem Malìiildcu Co-
jniliss.v renopavit. » Perdonata al vecchio cro-
nista la confusione delle date (3), gli storici
in genere non ebbero alcuna difficoltà a cre-
(1) Annali d' Italia (Milano, 1744). Tom. VI, 391.
Vedi anche a p. 383.
(2) Op. cit. Ili, 430
(3) Matilde morì nel luglio del 11 15.
— OD —
dergli;cdal Sigonio in poi (i) nessuno più
sorse a contrastare, se non forse il Sarti (2)
e il Savigny (3), ma senza energia e non
alieni dal supporre un qualche incita-
mento o semplice richiesta di Matilde, « non
essendo la città di Bologna sotto la sua si-
gnoria. » Ma poiché alcuni critici più re-
centi non vollero menar buono l'argomento
a favore di Matilde, e sostennero che prima
del 1(13, data del placito ricordato, Matilde
non conobbe Irnerio, Leonardo Leonardi (4)
per dimostrare che i vecchi storici avevano
ragione stabilì che Matilde fu a Bologna
nel 1102 quando Enrico IV V espugnò, e
che vi tornò nel 1106 per l'arrivo di papa
Pasquale, e che potè ben conoscere Irnerio
(i) Caroli Sigonii Hist. Bononiensium. (Bolo-
gna, 1578) Lib. II. pag. 81. — Dapprima, nell'altra
sua opera De regno Italice, Lib. XI, aveva negata fede
air abate Urspergense.
(2) Op. cit. I, parte I, pag. 26.
(3) Op. cit. p. 41.
(4) Intorno ad Irnerio ed alla sua scuola^ Disser-
razione. Atti dell' Accademia di Lucca. Voi. XVII. —
Cfr. Del Vf.cchio Op. cit. 42.
— u,(, —
Ili quci^li anni. 0:;ì;Ì le ()ssci"\a/.i(ini del
(ìloria tcndLTchbcro a scnolcrc anclic t;li
arnonicnii del Leonaidi. Nnllanieno a sue
pare che non si dovesse accettare per nessun
modo la testimonianza dell' abate Usper-
gense, non tanto per le ragioni esposte dal
Del "W'cchio (i), quanto per uno strano pa-
radosso che spesso inganna critici e lettori.
Infatti, che Matilde invochi il consiglio di
un giureconsulto quando è già divenuto fa-
moso, si capisce: ma non si capisce eh' ella
cerchi persone ignote o quasi, per dir loro
che studino o diritto o lilosoria o astro-
logia !
X.
Su buona parte delle notizie esposte
si è venuta formando un' opinione appros-
simativa del tempo, in cui si svilupparono
le prime forme dello Studio bolognese.
u) Op. cit. 43.
Ar atterrò solo agli scrittori assai auto-
revoli, o che almeno presentano una certa
serietà, tanto da essere o letti o consultati
ancora.
Il Sigonio, che mette V insegnamento
d' Irnerio al 1 102 (i) è seguito da Giov. Fran-
cesco Negri (2). Il Del Vecchio (3) scrive:
« Se nel i 1 14 si aveva già di lui sì alta
stima da chiamarlo ne' placiti, e da porlo
primo ad ognuno, bisogna credere che fino
dal cominciare del sec. XII egli si fosse ri-
volto allo studio delle ìts,s,ì. »
La maggior parte opina senz'altro che
la predetta scuola sia sorta nello scorcio
del sec. XI.
Leggo nel Muratori : « Hanc ergo laudem
primam sibi procuravit Bononiensis Civitas
Sceciilo Undecimo, nempe Scholam Romani
Jiiris illustrem aperire, qiialem ceterce antea
mimquam habuerat » (4), e nel Sarti (5) : « Sed
(1) Hist. Boìwn. lib. II, 81.
(2) Annali di Bologna^ ms. nella Biblioteca Uni-
versitaria di Bologna: Tom. I, carta 4 verso e 5 recto.
(3) Op. cit. 25.
(^4) Antiquit. Dissert. XLIV. Voi III, col. 893.
(3) Op. cit. Voi. I. part. I, 23.
- e>« -
j,i fcDìfits c///Oif allinei, qnamqnaìii ccflis nio-
nuniciilìs UDII liccal, ììoii innnihiis lanicii co-
nicc/iuis Jrìicn\ìiLV sclioLv cj:(H-lhvn fiacre
licci cit'Cii fiìiciìi XI Scvcitli, ani ììììIìuiìì XII. »
(iirolanio Tiraboschi, a sua volta scrive:
« Da' iiK^numcnti sopraccennali l'accogiiesi
ancor« il tempo, a cui Irnerio fiorì, cioè al
principio del sec. XII, ed è perciò verosimile,
che fin dagli ultimi anni del secolo precedente
ei cominciasse a tenere in Bologna la scuola
di giurisprudenza (i) » K altrove: » Tali
furono fin dal secolo XI, i tenui principi
deir Università di Bologna. Ma j'oso la fine
del secolo sfesso e al cominciar del seguente
assai maggior fama ella ottenne per lo stu-
dio delle leggi che ivi cominciò a risor-
gere (2). »
Omesse le testimonianze di quanti altri
nel secolo scorso seguirono il Muratori, il
Sarti e il Tiraboschi, riproduco un passo
del Savigny: « Or queste faccende di Stato
e di Curia non potendo Irnerio avere con^
(i) Storia della Lett. III. 431.
(2) Op. cit. III. 426.
— 59 —
dotte quand'egli era grammatico in Bologna,
ma poiché s' ebbe procacciato fama e au-
torità coir insegnare leggi, ne segue che la
origine della scuola bolognese è di gran
lunga anteriore alla data di quei docu-
menti : vien, cioè_, naturalmente a collocarsi
fra lo scorcio dell' undicesimo e il principio
del duodecimo secolo (i). »
Pel nostro secolo bastino i nomi del
Ficker e del Gloria, di cui il primo non
dubita, sin prima d' Irnerio esser fiorita in
Bologna una serie di giuristi superiori, e
fatte le distinzioni, cui sopra accennai, con-
clude dicendo che, nel senso già stabi-
lito, la fama della scuola di Bologna deve
esser stata fondata già prima d' Irnerio e
che i tentativi di Pepo sono piuttosto da
prendersi in considerazione (2).
In seguito a tutto ciò Andrea Gloria
ha scritto: « Vogliono gli scrittori che Ir-
nerio abbia tenuto scuola nella fine del se-
colo XI o nel principio del XII, ma pare a
(i) Op. cit. Ili, 23.
(2) Op cit. Ili ;• 193. p. 144-
— (»() —
me. per le notizie e considerazioni seguenti
che uià nella line «.lei secolo XI a\esse ei;li
acquistato col suo inse^nanienio la <;i\mde
fama predetta (i). »
E noto che Knrico IV, dopo la clamo-
rosa sua sommissione di Canossa, fu libc-
nedetto nel gennaio del loyl); che poco dopo
tornò contrario al papa; che, scomunicato
di nuovo nel 1080, sollevò contro Oregorio
l'arcivescovo ravennate Giberto, quale an-
tipapa, ed altri vescovi ed altre città, mas-
sime dopo espugnata Mantova (loyi); è noto
che restò in Italia sino al 1097, in cui tornò
in Germania, dove, dopo alcuni anni, errò
vittima d'ogni avversa fortuna sino alla morte
avvenuta a Liegi nel 1 106.
Il Gloria ripresenta nel suo Codice diplo-
matico Padovano due documenti, nei quali ei
crede di trovare «forti indizi di servigi prestati
dalrnerio ed Enrico IV. » Il primo documento
riferito al iioo riassume la questione d'un
(i) Memorie del R. Istituto Veneto. Voi. XXII,
p. II. — Monumenti della R. Università di Padova^
raccolti da Andrka Gloria. Pag. 353 e seg.
— Gì —
certo pallio o zendado, che il monasterio di
S. Zaccaria (i) doveva o no dare ad ogni
nuovo governatore. Il secondo documento
è un memoriale d' un placito del 25 mag-
gio iioo, e dichiara che Guarnerio Messo
deir Imperatore era in Monselice a render
giusti\ia (2).
« E ora sorge la domanda (scrive il Glo-
ria, dopo aver risolta una difficoltà del docu-
mento ed implicitamente discussa una breve
obiezione del Ficker) chi fu quel Guarnerio
personaggio cotanto distinto, che abbia me-
ritato l'alto ufficio di Messo imperiale? I
documenti e gli scrittori di quel tempo da
me esaminati non ci danno che Guarnerio
marchese della Marca d'Ancona e il giure-
consulto Guarnerio o Irnerio (3). » Ma poi-
ché il primo è sempre distinto col titolo
di marchese, e poiché il Messo fu mandato
a definire serie questioni legali, « io, con-
(i) Doc. XII.
(2) Doc. XI.
(3) Of. cit. 338. Pel Warnerio marchese vedi il
doc. IX.
02
elude il Ciloria, sono lortcmcntc sospetto
che il messo imperiale ameJciio sia sialo
il giureconsulto Irnerio Per la t-nial j^ro-
babiliià adunque che Irnerio abbia a\'uto
sì alto onore nelTanno i loo, credo iiiiclic
probabile c7/Vo7/ se lo aì'cssc ìiicrilalo ìn-
iiaii\ì col ixraìidc uouic, che secondo Odo-
iVedo ci si acquistò mercè la sua scuola del
romano diritto. Quindi reputo probabile pure
che il principio di questa scuola per la ri-
nomanza del suo maestro debba essere stata
popolata da scolari italiani e stranieri. »
Se quando non si conosceva documento
d' Irnerio più antico del 1113, il suo inse-
gnanienio era per congettura, che chianìc-
rei iìievitabilc^ respinto nel secolo XI, natu-
ralmente qualora il Gloria abbia veramente
trovato che Irnerio era già famoso nel-
r anno iioo, bisognerà per lo stesso crite-
rio rimandarlo più indietro e fermare nel
modo più assoluto che a quel secolo risal-
gono i primordi del nostro Studio. Su che,
del resto, non può nascere dubbio, come
questo argomento non può lasciare alcun
appiglio se non a chi non si faccia riguardo
— Q-i —
d' offendere la logica più elementare e di-
struggere le autorità storiche più ricono-
sciute.
Per questo complesso intanto mi pare
che si possa determinare con maggior sicu-
rezza il tempo in cui visse Irnerio. S' egli
insegnò grammatica prima che scienze giu-
ridiche, e se, come è quasi certo, cominciò
il nuovo insegnamento intorno al 1090, è in-
dispensabile ritenere che la sua nascita sia
avvenuta poco oltre la metà del secolo XI,
circa al 1060. Su questa data le disparità
sono poche, ma non sono poche sulla data
della sua morte. Non mancò chi la disse av-
venuta del 1120 circa (i), chi del 1126 (2),
chi del 1 140 (3). Il Diplovataccio e il Pan-
droli fecero finalmente risalire la morte
d' Irnerio al 1 190!
L' opinione che più mi sembra tener
del vero è che sia morto poco oltre il 1125,
(i) TiRABoscHi, III, 431.
(2) Fantuzzi, Op. cit. IV, 364.
(3) Sarti, Op. cit. Tom. I, part. I, p. 26 — Del
Vecchio, Op. cit., 28
— (][ -
perocché non si può i-iciisarc che d' un uumo
ciotto e ;uitoic\(>lc. come hii, possano scom-
parir le ti'accie in un momento. Noi tio-
viamo di hii: due presunte prove del i loo,
LUI doc. del 1 I is, sei del i i K), uno del 1117
uno del I I iS e V ultimo del i \2^. Tutte que-
ste date, se si pensa all' antichità S Irnerio
e alle s\enture de' nostri archivi, debbono
parere più tosto dense. Come mai, s' egli
fosse vissuto ancora assai in lungo, aumen-
tando naturalmente di coltura e di autorità,
sarebbero poi dileguate tiiUc le sue memorie
anziché crescere ? (i)
(t) La congettura, per la quale si pretende che
r insegnamento d' Irnerio debba esser stato posteriore
al novanta, perchè i quattro giureconsulti bolognesi,
che intervennero alla Dieta di Roncaglia furono suoi
discepoli, non ha base logica. Infatti, dato anche per
sicurissimo che fossero suoi discepoli, resta a provarsi
se furono dei primi o degli ultimi discepoli. Oltracciò
ognuno può giudicare da sé, quando sappia che la
Dieta di Roncaglia fu del 11 58, e che Bulgaro morì
decrepito tutta! più nel 1 167, che Martino fioriva
nel 1140, che Jacopo morì vecchissimo nel iij^e
che finalmente Ugo insegnava nel 1141.
- 05
XI.
A questo punto avrei finito, ma bramo
dilungarmi ancora un poco per raccogliere
poche altre notizie che comprovano V anti-
chità dello Studio bolognese, e avanti tutte
metto il privilegio di Teodosio!
Chi sa mai quanti, a questa dichiara-
razione, inarcheranno le ciglia e apriranno
la bocca! — Come? c'è chi crede ancora
nel privilegio di Teodosio?
Si, per r appunto: e' è ancora chi crede
che lo Studio nostro possa risalire al z|43,
ed io stesso ho letto opuscoli ed articoli
che tentano provarlo neir anno di grazia
1886. Per loro, Celestino Petracchi (i), il
(1) Della insigne abballale Basilica di S. Stefano
in Bologna. Libri due (Bologna, 1747) Gap. IV., n. 8,
pag. 30 e seg. Per la confutazione del privilegio teo-
dosiano, il Petracchi ebbe una lettera dal Muratori,
edita da C. Malagola., Della vita e delle opere di An-
tonio Urceo detto Codro (Bologna, 1878) a p. i2<\.
— (>(■) —
Muratori, il Tirabosclii e cento altri hanno
discusso indarno.
Ma per fortuna, a sìmWc frirola impo-
stura oggi nessuno che studi sul serio presta
più fede, né quindi credo utile sfondare
le porte aperte.
Il privilegio di Teodosio è falso, falsis-
simo ; ma nuUameno ha una storia consi-
derevole e una bibliografìa degna di studio,
e io m' auguro che qualche dotta persona
se ne occupi con accuratezza e con passione.
Nella Biblioteca dclT Università di Bo-
logna e altrove ne esistono parecchie copie
del sec. XV, ma nelT Archivio di Stato si
trova prodotto in testa al Regislro nuovo, co-
piatovi in forma autentica « sub anno do-
mini millesimo ducentesimo quinquegesimo se-
ptimo. indictione quintadecima, (i) » Queste,
ed altre prove raccolte dal Savioli (2) e dal
(i) Doc. XXXVII.
(2) Annali boi. Voi. III. p. I pag. 30S e 315; p. II,
p. 489 e seg. Il Savioli scrive : « Rolandino de' Passeg-
gieri Maestro d" Arte notarla custodiva allora gli ar-
cani pubblici, né posso conseguentemente astenermi
dal sospettarlo partecipe dell'impostura, se non a caso
il fabbricatore » !
-67-
Savigny (i) stabiliscono clic quel pri\ilci;io
fu falsificato nel sec. XIII e che dovette certo
diffondersi sollecitamente ad utile dello stato
bolognese. Infatti in un libro di Provvisioni
deir Archivio trovo scritto in data del 1321.
« Qitia Seneiises ut acquirant honoreìii studii
Cii'itatis bononie et quem (bononienses) obti-
nuerunt ferre Mille annis decursis cum magno
honore et augmento status bononiensis e.cc. (2);
dove senza dubbio le parole « mille annis
decursis » debbono essere scritte sulla fede
del privilegio teodosiano.
Ma però mi domando come simile docu-
mento sarebbe stato ritenuto autentico sin
dalla metà circa del sec. XIII, se T antichità
dello Studio non avesse per lo meno oltrepas-
sato, verso Tantico, tutto il secolo precedente.
Si può in buona fede, ed anche basandosi sulla
tradizione più che sulle carte autentiche,
credere che, se T Università di Bologna fosse
sorta nel secolo scorso, si potesse fingere
oggi un documento fosse pure del sec. XV
o XVI ?
(i) Op. cit. I, 531-532.
(2) Doc. XXXVIH.
— ("iS —
11 pri\ilcgio, ripcio. e apocrifo, ma è na-
turale inferire clic V anliehiià della sua fal-
sifica/ione resta sempre a provare V anti-
chità dello Suidio.
Un secondo argomento me T oltre il pri-
vilegio di Federico I che tjeneraimcnte si
ritiene concesso dapprima alla Scuola bolo-
gnese, (i) Un carme, scritto per quelT im-
peratore, narra che quando questi nella Pen-
tecoste del II 55 si trovava accampato presso
Bologna, gli uscirono incontro cittadini ,
scolarle dottori, i quali ultimi dichiararono
d'essere contenti in genere, ma che però li
tormentava qualche piccola disposizione o
esigenza a loro danno. Continua dicendo
che Federico, dopo avere richiesto qualche
consiglio, promulgò un privilegio per gli
scolari.
lamque super Renum^ quo darci Bononia fulget,
Castra locat paucisque placet recreare diebus
Agmina fessa nimis fractasque resumere vires.
llicet egreditur populus servire paratus,
Quem Guido, vir prudens, solus tunc rite regebat.
(I) Savigny, I, 553.
- 69 -
Occiirrunt cives Friderico dona ferentes,
Agminibus [qué] simul datur in gens copia rerum.
Procediint pariter doctores discipulique
Omnes Romanitm ciipientes visere regem,
Quorum te numerosa, Bononia, turba colebat,
Artibus in variis noctuque dieque laborans.
Quos placide recipit venientes rex Fridericus
Alloquiturque simul perquirens multa benigne.
Querit enim, quibus urbe modis habeantur [in ista\
Cur magis hec placcai, quam quelibet altera tellus,
An cives aliqua sint illis parte molesti,
Ant teneant promissa dolo firmata remoto,
Si caros habeant, si servent hospita iura.
Doctor ad hec doctus respondens ordine quidam
Discentum mores recitat vitamque beatavi:
Nos, ait, liane terram colimus, rex magne, refertam
Rebus ad utendum multumque legentibus aptam.
Confiuit huc variis lectiim de partibus orbis
Discere turba volens, auri argentique talenta
Huc ferimus dites nummos quoque, pallia, vestes.
Urbe domos media nobis conducimus aptas,
Res emimus insto predo quibus utimur omnes
Preter aquas, usus quariim communis habetur.
Nocte die studiis intenta mente vacamus:
Tempore quo sumiis hic dulcis labor iste videtur.
In multis, fateor, cives nos urbis ìionorant.
Qui tamen hac una sunt re quandoque molesti,
Cum cogant aliquem, quod non acceperit ipse,
Solvere, tollentes propter non debita pignus.
7"
yjtnqnc djttiiii )i(>stris viciiiis jc.v ulirninii
A nobis repctiiiit qui nullo iure Iciiciiiur.
Vndo, pjtcr, pclimus pcrì'crsuììi corrii^n' tìiorciii,
Lege tu.i lici\U tiiios liic esse legentes . —
l'uììc rc.w yriìiciyiluis eousultis ordine cunctis,
Lei^eiii yroiniil^jt, qite sit tutela leL;eiitiiiìK
Scilicel ut )ienu) studi uni exercere vulentes
Impediat stantes noe entens ncc redeutites,
Nec prn vicino qui nullo iure tenetur
Solvere cogatur^ quod non dedissc proba tur,
Inde rogat cives, ut honorent urbe scolares,
Hospita iiira dolis servent illesa renio tis,
Postque dies paiicos repara tis viri bus inde
Castra movens diictor Tuscorum visitat urbes. (i)
Questo poemetto fu riassunto, nella
parte che ci riguarda, anche dal Denille, (2)
il quale aggiunge che il Oiesebrecht e quindi
il "\\''inkelniann pensano che il Privilegio
(I ) Zeitschrift der S>avigny-Stiftung Jìlr Reehtsge-
scliichte — Romanistische Abtheilung (Weimar, 1880)
\'ol. 1, fase. II, p. 8. — Ilo riprodotti i versi da que-
sto periodico non avendo potuto avere il fase, dei
Sitpingsberichten der M'ùnchener Akademie (histo-
rische Klasse iSjcj, 2 Heft 3) dove furono pubbli-
cati prima.
(2) Op. cit. I, 48 e seg.
— 71 —
nel IIS5 fosse etìettivamente concesso a Bo-
logna, ma che nel novembre 1 158, alla Dieta
di Roncaglia sia stato rifuso ed esteso a tutte
le scuole nella forma di una legge dell' im-
pero, spiegandosi come nella cosidetta Au-
thentica Habita, quale si legge nel Corpus^
non si faccia più menzione di Bologna, ma
si parli generalmente di tutte le scuole, al
che, se non erro non s' oppone lo stesso
Denifle. (i)
Da tutto ciò, nullameno, sembrando
provato che la prima scuola protetta da un
privilegio è stata quella di Bologna, s' ha_,
mi pare, sufficiente ragione a pensare an-
che che fosse la più antica.
A questa testimonianza ne aggiungo
un' ultima già citata da parecchi storici e
che parrà più d'ogni altra validissima. L'au-
tore anonimo che narrò in un poema la
guerra mossa da Milano a Como nel 11 18
e finita nove anni dopo, ricordando i col-
(i) Op. cit. I, 30 e 51. Il Denifle fa anche notare
che i Dottori bolognesi mostrano di non conoscere
privilegiò imperiale antecedente al 11 58.
lci;ati che Milano aveva spinio contro la
città nemica, al i i h ) sci'ive:
Docta siias seenni diixìl Bononìa lef!;es,
e neir anno i i 27
/>(h7c7 Tioìioìiia vcììil ci line cnm Ici^ihns una.
E se prima del 1130 circa, Bologna go-
deva di già presso le altre città del titolo di
dotta nelle /i'ì;^/, non è ogli indispensabile
pensare che già da molto tempo fosse il suo
Studio iniziato ? (i)
XII.
Mi sembra inutile fare qui una sintesi
di quanto ho già scritto. Essa del resto, a
mio parere, si riassume in poche parole :
« ÌA) stndio bolognese per eonsonan^a di
docnmenti, di fatti e d' opinioni sembra ri-
salire evidentemente al secolo XI. »
(i) De Bello et excidio urbis Comensis ed. dal
Muratori, Rcr. hai. Scriptorcs. V, p. 41S, vers. 211 —
p, 433, vers. 1848.
73
Questo mio scritto ha titolo di ilota
storica nò io intendo di farlo valere di più.
Tornando quindi alT immagine dell'origine
di un fiume, pensi il lettore eh' io ne sia an-
dato alla ricerca. Le prime sorgive mormo-
rano nascoste fra gli scogli, poi a un tratto
luccica fra l'erba un filo d'acqua^ che
scompare di nuovo per riapparire più in
là fatto maggiore.
Nessuno ha rinvenuto le date prime e
sicure della fondazione della nostra scuola
giuridica, e nessuno, nella penuria dei docu-
menti e per la natura stessa dei fatti, potrà
forse trovarle. Io perciò mi limito a quelle
approssimativamente fornite dai documenti.
Questi mi ricordano Pepo nel 1076; questi
mi fanno a fil di logica rimandare 1' inse-
gnamento d' Irnerio a circa il iioo e forse
prima, e queste due date, dico, sono per
noi le due prime memorie.
DOCUMENTI
AVVERTENZA
Raccolgo in appendice alla noia storica
su 1 primordi dello Studio di Bologna / do-
ciimenti che mlianno servito e che riguardano
ai primi giuristi bolognesi e ad Irnerio.
Questi documenti sono in parte inediti^
in parte editi, ma dispersi in tanti volumi da
tornare piuttosto malagevole cercarli e trovarli.
Gli inediti, tratti dall' Archivio di Stato
di Bologna, quantunque non contengano sco-
perte peregrine, non mancano d'importanza.
Nella compilaiione di questa appendice
e nelle ti^ascririoni degli originali mi fu di
validissimo aiuto il chiar.mo canonico D. Luigi
^reventani, alla cui dottrina e cortesia mi
sento oltremodo obbligato.
TAVOLA DEI DOCUMENTI
I. — 1067; gennaio, 27 — I coniugi Anardo
e Maria di Borgo Galliera vendono una vigna
nella pieve di San Vincen\o — • Vi è la firma
autografa di Alberto legis doctor. Il docu-
mento è inedito, ma conosciuto dal Sarti,
che ne riproduce un brano con inesatlewe
[De claris q.cc. Voi I, p. I, pag. 7, in nota).
La sua citazione è seguita dal Savioli {An-
nali^ Voi, I, p. L pag. 162), dal Ficker [For-
schungefi qcc. Voi. Ili, 136) ecc. — L'originale
su cui si pubblica, si conserva neW Archivio
di Staio di Bologna, nella busta 1-4133, e
apparteneva aXV Archivio di San Francesco.
II. — 1072; giugno 7 — Placito tenuto
dalla duchessa Beatrice con Matilde, sua fi-
glia, nel contado di Chiusi — Vi si ricorda
Pepo advocatus — Edito dal Muratori {Ant.
ìtal. Il, col. <J54), dal F^iorentini {Memorie di
— -N
Miì/ildL\ \'()K li. p. ti;^i e dal (damici (Rena:
Sci-ic •.it'gli aìitichi ditelli di Toscana, ly-'^o;
- III. I, Wl).
III. — i<)7'>; mar/o . . — Xordilo messo
di I)ca/rice duchessa ai>\^'iiidica al nioua-
stero dì S. Michele, nel castello di Mai-liiì'i,
alcuni possedinteii/i occupati da Sii^lyOtie fio-
rentiuo — Contiene il nome di Pepo leu;is
doctor — Fu .siampato prima dal (>amici
nella seconda ediz, delTopera del Rena: Seì'ie
degli antichi' duchi e marchesi di Toscana
(Firenze, i7()4). nia per noi inutilmente, per-
chè senza il nome di Pepo, come nelTediz.
del 1789; poi integralmente dal Fossi {Con-
getture di un socio etrusco ecc. p. XXXIII),
dal Savioli (Annali, voi. I, p. II, pag. 123)
e dal Ficker {Forschungen ecc., IV, qg). Il
Fossi aggiunge un fac-simile di alcune li-
nee. Ho seguita la lezione d'una copia fatta
suir originale esistente ncW Archivio di Stato
di Firenze « Sezione del Diplomatico, prove-
nienza di T^onifa^io » , chiudendo alcune la-
cune colla lezione del Ficker. Gli scrittori
in genere lo riportano al 1075, data scritta
— 79 —
nel documento stesso; ma, risolvendo lo
stile fiorentino e secondo T indizione, deve
mettersi al 1076.
IV. — 1076; maggio, 31 — Enfiteusi con-
ceduta da Moranda, vedova di Agimo, e da
Lamberto suo figlio a Pietro chierico, per
una metà, e ad Alberto e Bona coniugi, per
r altra — Vi è nominato Iginulfo legis do-
ctor. — Inedito ma, ricordato dal Savioli
(Voi. I, p. I, pag. 162) — L'originale è nel-
V Archivio di Stato boi. busta 2-938. Appar-
teneva aW Abazia di S. Stefano.
V. — 1078; febbraio, 19 — L'Abate
di S. Salvatore di Monte Amiata, innanzi a
Matilde contessa, esige dal conte Ugo la ri-
nun-yia a tutte le pretese sui possessi del mo-
nastero. Vi si nomina Pepo advocator —
Edito dal Ficker {Forschungen ecc. IV, 103)
sull'originale àtW Archivio di Stato di Siena.
VI. — 1079; ottobre, 18 — Teucia, ve-
dova di Romano ed il figlio Giovanni, auto-
ridato dal tutore, cedono al Monastero di
• — N,) —
N. S/c/[ììi<) iìlciiiii posscdinii'ti/i del loro rispcl-
lii'o )iil1ì-ìI(ì e padì'c. (loiiiiciic hi liiiiia aiiio-
grala di Pieno index — Inedito. L'originale
si trova neir .lrt7///70 di Stato boi. busta
33-i)()2 e proviene dall' /l/'a^/J di S. Stefano.
VII. — loX^; maggio, 5 — Alberto dona
al monastero dei Ss. Apollinare e Gregoi'io
in Campo, la chiesa dei Ss. Giopanni e Paolo
in l^oloiTìia con tutte le pertinente — Porta
la firma di Igi nullo auLv renie index — Ine-
dito, ma rico-rdato dal Savioli {Annali, I,
part. I, pag. i()2). L'originale, conservato nel-
r Archivio di Stato boi. busta 3-939 appar-
teneva aW Abazia di S. Stefano — Nel doc.
si trova che la chiesa dei Ss. Giovanni e
Paolo era sita in Poiale, e s'aggiunge que
diciturvA-MTEO. Questo documento appartiene
alla serie delle carte, non ancora studiate a
dovere, sulle quali sarà dato stabilire la Bo-
logna antica posta per l'appunto presso pia
Poggiale. (Cfr. le Cose notabili della città di
Bologna, di Giuseppe Guidicini — Bologna,
18G8 — Voi. I, p. 12).
— S( —
vili. — 1088; agosto, 12 — ì\'>idila di
una casa ìiel castello di Medicina — Reca
il nome di Rustico leo-is doctus — Inedito —
L'originale è noXV Archivio di Stato boi. bu-
sta 3-()<39, e appartenev^a alT Aba-:^ia di S.
Stefano.
IX. — 1094; marzo ... — Giudizio te-
nuto dal conte Bernolfo messo del duca IVar-
nerio nel territorio di Séni ga glia N'x è nominato
Rustico legis doctus. Edito negli Annali Ca-
maldolesi (Venezia, 1773 — Voi. IX, p, i(3)
e dal Ficker {Forschuugen ecc. IV. 134) —
La data 1093 del doc. , per le ragioni alle-
gate al doc. Ili, è stata portata al 1094.
X. — 1098; luglio, 5 — Memoria della
contesa fra il Monastero di S. Prospero di
Reggio e il Comune della Valle , per beni
posti nel territorio di Nasela, e del duello
fra i loro campioni — Vi è ricordato Alberto
causidicus , che il Ficker {Forschuugen ecc.
Ili, 134) ritiene di Bologna riferendosi ad
un documento del 11 18 edito dal Savioli
{Annali.. Voi. I, p. II. pag. i()X). Lo stesso
6
Alberto è forse quello che appare ni un pla-
cito della contessa Matilde del i 107, pub-
blicato dal Muratori ^Aii/. ìlal. I, e. (jyi; e,
con Irnerio, nel placito del 1113 (\edi al
n. W'Il) — \'edi anche nei ^V^c. XI, XII,
Wll. XW'I. XW'II, XXXllI e XXXV. —
l"u edito dal Muratori [Aìit. i/al. II L e. <)47),
da Camillo Alfa rosi [Notizie storiche della città
di Reggio di Lombardia — Padova, 1755 —
Append. di documenti, pag. VII) e dal Ficker
[Forschungen (zcc. IV, 135). Dove nel testo
niuratoriano si leg2;e III A^o;/<:75 .//////, T Affa-
rosi ha /;/ Non. Julii. Il doc. sarebbe così
posposto di due giorni, ma il Ficker segue
il xMuratori.
XI. — II 00; maggio, 23 — JVarnerio,
messo imperiale, esaminati., i documenti man-
tiene al monastero di S. Zaccaria di Venezia
il possesso della cappella di S Tommaso. —
Fu pubblicato dal Muratori {Ant. ital. I,
e. 475), da Flaminio Cornelio {Ecclesia.' ve-
neta^ antiquis monumentis nunc etiam primum
editis illustrata^ — Venezia, 1749 — Decade
XII, parte ultima, p. 366), da Francesco Dondi
- 83 -
Dall' Orologio [Disserta\ione Qiiarta sopra
V istoria ecclesiastica di Padova — Padova,
1807 — Doc. XXXI, a p, 41) e finalmente
dal Gloria ( Codice diplomatico padopano
dal secolo sesto a tutto l' widecimo — Ve-
nezia, 1877 — doc. n. 334, a p. 356) il quale
in altro volume {Codice diplomatico padovano
dell'anno noi alla pace di Costanza — Vene-
zia, 1881 — Part. II, p. 503, n. 1529) reca
parecchie varianti prese dalT originale, va-
rianti che ho introdotte nel testo.
XII. — iioo (?) . , : — Guarnerio, messo
imperiale, giudica che il Podestà di Monse-
lice non può pretendere dal monastero di S.
Zaccaria nessun pallio o zendado — Fu pub-
blicato dal Cornelio {Ecclesice venetce ecc. de-
cad. XIII, parte ultinia, p. 367) e dal Gloria
Codice dipi. pad. dal sec. sesto a tutto l' iin-
decimo, n. 332, a p. 355) che offre altrove {Co-
dice dipi pad. dall'anno noi ecc. Part. II.
p. 502, n. 1528) alcune varianti prese da una
copia del doc. del sec. XII, da me introdotte
nel testo, salva Y omissione (certo delT ama-
nuense) della firma del giudice Alberto. Il
- S., -
nome Ji (ìiiarncrio, ricordalo ben cinque
volte nel doc, solo nell" ullinia si noxa pre-
ceduto dal titolo di coincs^ mentre secondo
r liso, il Comes doviebbe essere stato ripe-
tuto sempre. Il (jhìria dubita quindi, e molto
ragionevolmente, che si tratti d'un ei'i^oi'e
deir amanuense. Infatti anche nel doc. pre-
cedente, con la data sicura del 25 maggio
1 100, il nome d' linerio non è preceduto
da titolo alcuno.
XIII. — 1103; novembre, 11, — Resli-
tuiione di beni all' abate di S. Pieifo in Po-
theoli (Passeveri) fa/la per precello della
contessa Matilde in un giudizio tenuto a Mar-
turi. — W sono ric(~)rdati Gandolfo index,
Giovanni Bono e Marchisello causidici —
Edito dal Fiorentini [Memorie (ice. Voi. II,
p. 187) e dal Camici (Rena: Serie ecc. IV, I, 88).
XIV. 1104; luglio, 17. — Guido e Pietro
cugini, in Bologna, cedono la chiesa di S.
Maria in Buita al monastero di S. .Uberto
nell'isola Pereo presso il Po. — Contiene
la firma di Giovanni \^ono causidicus — Ine-
- 85 -
dito. I/originale, già appartenente alle mona-
che di S. AgJiese di Bologna, si conserva
nellMrf/nr/'o di Siato boi. busta 1-5591.
XV. — 1 104; dicembre, 28. — La contessa
Matilde investe il vescovo di Populonia dei
beni offerti alla chiesa di S. Gerbone — Vi
sono nominati Giovanni Bono e Marchisello
causidici come bolognesi, ed Anselmo caiisi-
dicus. Fu pubblicato dall' Ughelli [Italia Sa-
cra — Venezia, Coleti, 17 18 — Tom. Ili,
col. 711) e dal Fiorentini {Memorie ecc. II,
199). — Per errore di stampa nelT Ughelli
si legge 1404 invece di 1104.
XVI. — II OC); settembre, 27 — Dona-
zione fatta al monastero di S. Cristina di
Pasleno, presso 0:iyano^ dai fratelli Manfredo,
Ubaldo e Guido di Bisano, di alcuni beni
posti in Sassonero. — Vi si trova Pietro da
Monte Armato legis doctor — Fu stampato
dal Mittarelli {Annales Gamaldulenses — Ve-
nezia, 1758 — Tom. III, col. 221 dQÌV ap-
pendice). Il Sarti ne riproduce un brano
[De claris ecc. Voi. I, p. I, pag. 7) e lo ri-
cordano il Savioli e il Ficker — Si ripub-
— St". —
Mica siiir (^rii^inalc ci^nscrxaio iicll' . Irt7///'.
lÌì SIlI/o boi. busta i)-2X~<), che apparteneva
al com'entt) «.li S. C^ristiiìa. Il Mitiaielli,
invece di di\i ^cm/n'cc nos/ì-a, ha letto, ac/a
gCìlClì'ÌCC ÌU)Slì\ì.
W\\. — 111;-;; magf^io La
contessa Matilde, udita la domanda di Sichel-
mo, sentenzia in suo fai'ore iìitoiiio a beni
dati in enfiteusi dal monastero di S. Andrea
di Ravenna. — \^i sono ricordali Warncrio
de Bononia, L^imberto, Alberto, March isello,
Rolando, Gislezonc q.cc. — Fu pubblicato
da Girolanio Rossi [Ilist. Rav. — ^Y'ne/.ia. i 5'S()
— lib. V, p. 31S) ma non compiutamente.
Infatti aggiunge: Atque hactenus habet for-
mula, cui Mathildis ipsa, circa Crucem lineis
designatam, in lume nioduni subscribit: Ma-
tilda Dei gratia sie]uid est, mox reliqui Ju-
dices, postremo Dominicus sacri palatii nota-
rius. » 11 Rossi, che sono costretto a seguire,
non è forse scrupolosamente esatto. Dove
porge : Domina Matilda , grandis Ducatrix
Q.CC. deve certo leggersi Domina Matilda gra-
tia Dei Ducatrix ì:.cc. Quel grandis non si
-87 -
trova fra i titoli di Matilde, e la risoluzione
paleografica in grafia Dei è evidente. Anche
invece di g'isle Zone deve leggersi Gisle-{one,
forse lo stesso che si trova nel decreto di
Bombiano (doc. XXXI) — Il Savioli ripub-
blica il doc. [Annali, Voi. I, p. II, pag. 151)
con gli stessi errori. Fu edito anche dal
Camici ( Rena: Ser/<? q.cc. IV, II, 92). Cfr. il
Savigny [Storia del D. R. II, 21).
XVIII, — 1113; giugno, 7 — In pre-
senta della contessa Matilde si risolve una
lite con sentenza favorevole al monastero di
S. Prospero di Reggio. — Ricorda Lam-
berto causidicus de Bononia e Alberto s^ra-
tnaticus de Sancto Marino. — Fu edito da
Girolamo Tiraboschi [Memorie storiche mo-
denesi — Modena, 1793 — Voi. II, pag. 80
del Codice diplomatico., doc. n. CCCXII).
XIX. — II 15; dicembre, 29 — Il conte
Uberto, figlio del conte Alberto, dichiara di
aver ricevuto il pre\\o dei beni da lui dati
in feudo nella corte di Pianoro. Contiene il
nome di Tegrimo tabellio atque causidicus —
— 8S —
Kdito dal Savioli {Aìiìi.ìIi\ \'()1. I. p. II, pag. 154.)
ma sopra una copia fatta da Tendo iiotaro
nel 1 1 1.3. e portato ciToncamcntc al 1 1 1 4. —
L' originale si conserva ncWArcìili'io di Stato
boi. busta 34-1)70 e serve a questa edizione;
ma perchè presenta \aiMe lacune si compie
sulla copia conosciuta dal Saxioli e conser-
vata nello stesso Archivio caps. 7-<)4;-;. H
notevole il passo nel quale Uberto dichiara:
« Trofcssiis siim, ex natioiie inea, lege l'i-
ì'ere romaìia » perchè dal doc. XX\'I sem-
bra che il conte Uberto fosse di Bolo<rna.
— La parte del doc, compresa fra le pa-
role Hactitni iìi antiqua e la line, si trova sol-
tanto nella copia.
XX. ir 1(3; mar/o, 18 — Enrico V (IV
imperatore di questo nome) concede all'aba-
dessa del monastero di S. Stefano di Padova
i investitura di alcuni beni che erano con-
trastati — Vi si ricorda Warnerio. — Fu
pubblicato dal Gloria ( Cod. dipi. pad. del-
l' anno noi tee. part. I, pag. 05, doc. n. 79.
— Cfr: la Disserta-ionc p. XII e XCVIII).
~ 89 -
XXI. — li 16; marzo, 22. — L impera-
tore Enrico emetle un bando per proteggere
il Monastero di S. Michele di Candiana —
Ricorda Warnerio, e fu pubblicato dal Glo-
ria {Cod. dip. pad. dall' anno noi qcc. part. I,
pag. 66, doc. n. 80).
XXII. — 1 [ 16; aprile, 8 — L' imperatore
Enrico.^ richiesto dall' arcidiacono di Parma.,
fa restituire Mar\alia nel Modenese alla Chiesa
di Tarvna. — Vi si ricordano Warnerio de
Canonia e Lamberto de Bononia. — Fu edito
dal Tiraboschi [Meni. Si. Mod. Voi. II, p. 85
del Cod. dipi, doc. CCCXXII).
XXIII. II 16; maggio, ó — Placito, te-
nuto a Governolo da Enrico F, e sentenza
a favore del monastero di S. Maria di 'Pom-
posa — Contiene il nome di Wernerio bo-
noniensis — Fu pubblicato dal Muratori {Ant.
ital. IV, col. 685) e in parte dal Tiraboschi
{Meni. St. Mod. Voi. II, p. 88 del Cod. dipi.
doc. CCCXXIV).
XXIV. — II 1(5; maggio, 13 — Dona-
zione di Enrico V. al monastero di S. Be-
— .).) —
ìicAcllo di Po/iroiìL' e iilla chiesti dì S. lìoic-
dcllo (ìoii-.ii^iì. — Reca il nome di \\'arncrio
— Tu edito dal Muratori (.1;//. i/al. 1, col.(k)i).
XXV. — 1 1 if); maggio, 15. — Fìiì'Ìco K,
prende sotlo la sua pì'ote\ionc i ciltadini di
'Bolo(>ìia e concede ampli privilegi alla città.
— \'i è il nome di Warncrio — 1/ origi-
nale di questo doc. è smarrito, ma se ne
conserva copia nel fol. i. del Registro Grosso
{Archivio di Stato boi.) della prima metà del
sec. XIII, dal, quale ne sono tratte altre an-
cora, come quella del Registro nuovo del
1257 (cart. 3 recto) (ìcc. — Ne produce un
passo, a modo suo, il Sigonio [Hist. 'TSon.
lib. II, pag. ()o). Altri storici bolognesi lo ci-
tano. — Lo pubblicò integralmente il Mu-
ratori {Ant. i/al. I, 601) che dubitò della
sua autenticità per le note cronologiche, che
si usano al principio dei diplomi imperiali ;
pel titolo Cassar Augustus, e finalmente per
r adiettivo amici dato ai Bolognesi. Ai due
primi dubbi sembra rispondere implicita-
mente il Ficker {Forschungen ^cc. Ili, 156,
nota 12). Per la parola amici T obiezione
— (Jl —
cade da sé, perchè dove il Muratori ha letto
provide amicorum civiinn Bononiensium, il
testo porta proinde cunctorum acc. — Lo
stesso storico lascia in bianco il nome del
Cancelliere, mentre V apografo del Registro
Grosso ha un B. che certo è V iniziale di
^urcardo vescovo monasteriense il quale è
nominato come cancelliere nel iiii (Bene-
detto Bacchini, Dell' Istoria del monastero di
S. Benedetto di Polir one. — Modena, 1696 —
pag. 91 della part. II, ossia Raccolta di do-
cumenti principali)^ nello stesso 11 16 nel do-
cumento XX, e in un documento antecedente
al nostro di soli cinque giorni edito dal Mu-
ratori [Ant. ital. IV, col. 25) — Questo pri-
vilegio fu ripubblicato dal Savioli {Annali,
Voi. I, p. II, pag. 153) ma con molti errori.
XXVI. — 1116; maggio, 15 (?) — Po-
stilla al priinlegio antecedente, in cui si fa
memoria del perdono^ conceduto dalP Impera-
tore ai bolognesi, delle o/fese a lui fatte spe-
cialmente con la distruzione della l'òcca. —
Vi è ricordato Gandolfo index de Argelata,
Rolando e Uberto conte di Bologna (vedi
— [Vi —
il doc. XIXl — Kii edito dal MuratDrj e dal
Savioli ai luoghi citati pel precedente.
XW'II. — iii(); no\-embre i S- — Milo
o Sìiiilo, coiì/c Ji Panico doim a Ma/ildc, fi -
i>liuola Ji Wllcì-ìio, Lì sua par/c di Panico
{esclusa Laniola) e dei castelli presso Panico
ossia Montasiffo, ]''i<^nola e Intriireta (forse
Vitrigeta oggi V^edegheto). Vi si nominano
Warnerio index, Lamberto causidicus , Ro-
lando, Tegrimo, Alberto ecc. — Fu pub-
blicato dal i^avioli [Annali^ \o\. I, p. II,
P'^S- '59)-
XXMII. — 1117; maggio, 15 — Placito
tenuto a Governolo dall' Imperatore che in
forma di bando concede la sua protezione ai
canonici di Corte Melar a. — Vi è ricordato
Warnerio index e bononiensis. — Fu edito
dal Muratori {Ant. ital. II. 945).
XXIX. — 1 1 17; dicembre, \2. — Enfiteusi
di alcuni beni ceduti da Matilde priora del
monastero di S. Cristina in Pasteno. Vi è la
— 93 —
firma di Fantino causidiciis et tabellìo —
Inedito — L'originale si conserva v\<t\V Ar-
chivio di Stato boi., busta 12-2873.
XXX. II 18; maggio, 3. — Donazione di
IDI molino in Savena all' aba-{ia di S. Stefano.
Contiene il nome di Ugo index, d'un Rai-
mondo de Algin.... causidicns e di Angelo
causidicus che qui si firma coi versi:
Angelus his metris causidicus ista peregi
Notarli signo subscribens robore summo.
Più comunemente, come si ha anche al
doc. XXVII, sottoscriveva:
Angelus his metris causidicus ista peregi
Notarli signo subscribens more benigno.
Gli stessi versi con la stessa firma d'An-
gelo, si trovano in parecchi altri documenti
degli anni 1121 (aprile 17), 1 124 (aprile 14;,
1129 (ottobre ó), 1129 (novembre ....),
1132 (marzo . . . ), 1132 (ottobre 19), 1145
(maggio ....), contenuti nelle buste del-
— ()l —
V Archii\ Ji S/j/o hai., S-()44. e i)-()43, rico-
noscibili facilmente per la scrittura uguale
e inagnitìca. La sua liriiia e una sua postilla
coir indizione VII si trovano aggiunti a un
documento di Bonando notaio, del ino,
indizione ili. — Inedito — L'originale si
trova n^WArchii'iu di Sialo boi., busta 34-()7o
e apparteneva alTyl/'a^/a di S. Slcfaìio.
XXXI. — I I iK; giugno, 2 1 — Knrico F,
a Bombidiio, pronuncia un precetto o bando
d' immunità, in favore dell' ospedale costrutto
presso il Reità in e urte Marchionis detto
piano della corte, assicurandogli le donayioni
della Contessa Matilde. Vi si nomina (]er-
nerio index. — Fu pubblicato dal Muratori
(Aìit. ital. Ili, e. 579), dal Camici (Rena:
Serie qcc. IV, II, 103) e dal Savioli (Annali:,
Voi. I, p. II, pag. 163). Le indicazioni del
doc. si danno compiute sopra un altro doc.
edito del pari dal Muratori [Op. et loc. cit.),
dal Camici (Rena: Serie ecc. Ili, IV, 77)
e dal Savioli {Op. et poi. cit. pag. 139).
XXXII. — 1 123; maggio, 2 — Raimondo
arciprete di S. Giovanni in Persicelo concede
— MS —
liceiiya all' abaie di S. Maria in strata, di
officiare la chiesa di S. Maria del castello di
Basrno. Il notaio è Girardo causidicus et ta-
bellio. — L' originale, che si conserva nel-
V Archivio di Stato boi busta 1-2 173, appar-
teneva al monastero di Michele in Bosco.
XXXIII. — II 24; giugno, 13. — Offerta
e donaiione di Gotefredo di Rolando abi-
tante di Canetolo all' aba-ia S. Maria in
strata. — Fra i testimoni è nominato Al-
berto di Canetolo causidicus. — L'originale
è noiV Archivio di Stato boi, busta 34-970
ed era ne.WAba'^ia di S. Stefano. — U Impe-
ratore è, in questa carta, detto Enrico ter'^o
come nel doc. XIX è detto figlio di Enrico
secondo. Quest' errore si trova anche in un
doc. edito dal Savioli (Annali, Voi, I, p. II,
pag. 161 n. CI.) il quale per questa cagione
suppone il doc. alterato, mentre accetta senza
discussione il doc. descritto al n. XIX.
XXXIV. — 1125; dicembre, io. — Gli
arbitri decidono una questione fra il mona-
stero di S. Benedetto e quello di S. Zeno in
ì'croiiiì. — y\ sono ricordali Wanicrio e
Raimondo iudices boiioiiiciiscs. — Vu pub-
blicato dal b'ickcr {Forschungoi ecc. IV, 143,
n. ()()) che lo trasse dall' Archivio di Slulo
di Milano « pì^ovcìiicii\a di S. lìcncdcllo di
Mantova. »
XXXV. - 1127; luglio, 4. — Alberto
di Fraudo del castello di Sassoleone divide
i suoi beili asseguandoìie una metà ai pro-
pri figli. — y\ si trova fra i testimoni Rai-
mondo causijdicus de Gena, il quale interpose
fra due altre tìrme, la propria : /:,'^^o;«e/ /?^-
gimuudus legis lator. — L'originale si con-
serva nel TArc/z/V/o di Stato boi.., busta 1-2 173
e proviene dal monastero di S. Michele in
Bosco. Per Raimondo vedi anche i doc, XI,
XXX e XXXIV.
XXXVI. — 1130; aprile, 13. — Gual-
tiero arciv. di 'J(avenna andato a S. Gio-
vanni in Persicelo, pei' consacrare Enrico eletto
al vescovato di Bologna, per una questione
insorta, sospende /' ordinazione e non la com-
pie se non dopo che è stato riconosciuto che
la chiesa di Bologna dev' essere sotto V obe-
dieii\a di quella di Rapenna. — Vi ò ricor-
dato Alberto iiiaistro de Sanato Marino. —
Fu pubblicato dal Savioli, {Annali, Voi. I,
p. II. pag. 175) e da Marco Fantuzzi [Mo-
numenti Ravennati dei secoli di me\io. —
Venezia 1802. — Voi. IV, p, 247), ma con
un' infinità di errori. — Lo ripubblico sulla
pergamena esistente no-W Archivio arcive-
scovile di Ravenna, la quale non è certo l'o-
riginale del II 30, ma con molta probabilità
una copia del sec. XIII. Il Savioli e il Fan-
tuzzi errarono sino nelT indicare V ubica-
zione d' essa : il primo infatti scrisse « Ca-
ps. F, num. igi2 », e il secondo « Caps. F,
nuni. igi8 » invece di « Caps. F, num. igi4^> . Il
Savioli inoltre ha parecchie lacune non in-
dicate, e Bualello, Gilio Ramberti de Geremia
invece di bualello figlio ramberti de geremia;
Barignola invece di Bangarola metatesi
forse di Bagnarola ; ScugUyaprete invece di
Scugu\aparte ; Alberto Musso de S. Marino
invece di Alberto maistro de sancto Marino;
Alderico invece di Olderico ; hominum in-
vece di omnium; orta invece di mota; alios
— ,)S —
L'iecfos invece di illins clccti; iiihil /nì'is lia-
l\TC/ imece di iiicìiil i\Ui()iìis liabcì-ciìl ecc.
Il Fantu/./i a sua volta lesse MlIiìiio invece
di Martiiìo; Bertibcllo invece di Ihialcllo ;
Barigìiolo in\ece di Baìi ij; arala ; ScaL:;ii\a-
pai'tc invece di Scuij;ii\apartc \ Alho'to Ma-
gislì^o de Spercto Marino invece di Alberto
ìiiaistro de sancto marino; habeant invece di
haberent; sue mairi invece di sicut mairi
Qcc. — Ho riportato questa serie d' errori
perchè si vegga quale sia il lavoro di colla-
zione dei vecchi documenti. Il Ficker ha
seguita la lezione peggiore, ossia quella del
Savioli, ricordando Alberto Musso (For^c/zz/;/-
gen ecc. Ili, 134.)
XXXVII. — 1257; .... — Intestatura
inedita del Reu-islro Nuovo ó.q\V Archiv. di
sialo boi. e Privilegio Teodosiano. — Su
questo privilegio esiste una letteratura. Fu
edito per la prima volta nel raro Privilegium
tolum aureum ianidiu coucesswn . . . per Lu-
dovicum Johaìinis de bologninis de Bononia,
in Bologna, da Platone dei Benedetti, nel 1491.
— 99 —
XXXVIil. — 1321; ottobre, 7. — 'Peli-
■{ioiic del Rettore e dell' Università degli sco-
lari al Comune di Bologna perchè siano me-
glio stipendiati i Dottori e specialmente per-
chè sia provveduto alla lettura straordinaria
delle Decretali^ e riformaiione del Consiglio.
Il doc. si trova nel libro delle Provigioni
lett. C, carta LVI verso. — Inedito.
n\
DOCUMENTI
— «xJI^Bxy.-
I.
1067; gennaio S7
>5< In nomine sancte et Indiuidue trinitatis, anni
ab Incarnacione domini nostri Ihu xpi milesimo se-
xagesimo septimo, regnante enricus rex filius quondam
enfici Imperatoris anno undecimo, die quinto exiente
mense lanuarii, Indictione quinta, saltus plano epi-
scopio bolonensis ludicaiia motinensis. Constat nos
anardo et maria lugale de burgo galeria uenditore
uendidisse et uendidimus atque tradidisse et tradidimus
a presente die tibi urso tignoso et maria iugale em-
tore tuisque heredibus In perpetuum prò futuro pos-
sidendum Idest Infra plebe sancti uincenti In fundo
reno una pecia terra uineata quod est centonario uno
cum introito et exito suo usque in uia plubica uel
cum ommia super se et Infra se habente In Integrum.
finis eius da uno latere possidente eheredes quondam
martino de gano, et Ioannes faber, da aliis duobus
lateribus possidente heredes quondam martino guinda.
quarto latere possidente Ioannes scurlito uel si quis
|()2
alio sunt adfines. homnia qualiter supra Ici^itur In
Intcgrum a presento die uendimus et tradamus et per
presente carta ucndicionis tibi prcdicte emptorc nel
a tuis hcredihus confirmo potestatcm possidendi In
perpctLium ad Iiira propria et quia reccpimus nos
predicti uenditori precium prò iam dieta pccia terra
iiincata qualiter supra legitur da libi predicto emptorc
per specie ualiente in argentum solidos sex denariorum
ueronensium totum finitum precium coram testibus.
quatenus modo ab odierna die da nos predicti uen-
ditori uel da nostris hcredihus distolimus potestatem
sed tibi predicto emptorc uel a tuis heredibus confir-
mamus potestatem possidendi In perpetuum ad iura
propria, et spop(ì.ndimus nos predicti uenditoris uel
nostris heredibus iam dieta pecia terra uineata qua-
liter supra legitur In Integrum, uobis predicti urso
et maria lugale emptoris uel a uestris heredibus omni
tempore ab omni homine defensare e auctorizare
promittimus. dannas litis omnia sustinere et si minime
defensare potuerimus aut centra liane cartam vendi-
cionis da nobis In uobis facta aliquando prò quo-
cumque Ingenio quod humanu sensu capere potest
agere aut causare presumserimus et non permanse-
rimus In ea omnia qualiter supra legitur In Integrum
dupla bonis condicionibus rem quoque meliorata sub
estimacione sicut in tempore fuerit In consimili loco
tibi urso et maria iugale vel a tuis heredibus resti-
tuamus In duplo actum in predicto burgo galeria, In-
dictione predieta, quinta.
— i03 -
j Signum manii predicti anardo et maria lugale
uenditoris qui hanc cartam uendicionis fieri rogaui,
et testes adfirmare precepit et eis relectum est.
j- Kgo albertus legis doctor huic pagine interfui
et manu mea subscripsi.
f Signum manibus petrus plano . martinus de
Ihoannes cauco. gandulfus. petrus. de martino de
florani . leo qui uocatur rusticus guilelmo rogatis
testes et eis relectum est.
7 Ioannes qui uocatur peretheus huius burgo ga-
leria scriptpr huius pagina uendicionis post robora-
cione testium sicut supra legitur tradita compleuit et
absoluit.
(A Tergo) mbrana uendicionis facte anardo et
maria iugale ad urso et suis heredis de uno centenario
de uinea que est posita In fundo reno da uno latere
etc. In perpetuum ad iura propria, die quinto mensis
lanuarii, Indictione quinta . testes petrus plano . mar-
tinus . Ihonnes caoca . gandulfus . petrus de martino
de florani . leo qui uocatur rusticus guuilelmo . al-
bertus legis doctor.
II.
lOTS; giugno, 7
Dum in Dei nomine in loco, qui vocatur Calce-
raki, resideret Domna Beatrix Comitissa ac Ducatrix,
et Matilda eius filia, ibique aderat Raginerius, et Ber-
nardus Gomites ipsius Comitatus Clusini, et Episco-
— I..J —
pus Clusinus, iK-c non et Seiìensis Episcopus, atquc
Ardericus .Index, et Ubertus, scu Girardus, atque Jo-
hannes, et Rolandus, et Petrus, atque Adelbertus Judices,
seu Adei;eiius, et Johannes, et iloium Johannes Cau-
sidicus, et Payanus de Corscna, et Ildehrandus lìlius
Widonis, atque Hugo lìlius Supe, et Tegizo, et Saxo
filii quondam Ildebrandi. et Ubertus fìlius i^olci, et
reliqui plures. Ibi in eorum presentia venit Mauriis
Habas de Ecclesia Sancti Salvatoris de Monte Amiate,
una cum Pepo Avocato 5mo, et retulit : Habeo et teneo
Rocam de Scanzano, una cum omnibus pertinenciis
et ajacensiis ad Curtem predicte Roce, et ad proprie-
tatem a parte Ecclesie Sancti Salvatoris Et si aliquis
homo adversus rios de predicta Roca et ej us pertinenciis
aliquit dicere vult, paratus sum cum eo ad racionem
dicere et legiptime finiendum. Et quod plus est, que-
rimus, si Lanfrancus Episcopus Cluxinus, et Bonizo
Abas de Sancto Petro de Campo, una cum Rolando
Avocato suo aliquit de jam dieta Roca, et suis per-
tinenciis, ut supra legitur, adversus nos dicere, aut
subtraere aliquit querat, an non, dicant. Tunc cum
jam dictus Maurus Habas cum suo Avocato taliter
retulissent ad hec predictus Episcopus Clusinus, et
jam nominatus Bonizo Habas cum predicto Rolando
Avocato suo responderunt: Vere jam dieta Roca cum suis
pertinenciis, qualiter supra legitur, propria est parti Ec-
clesieSancti Salvatoris, nec vobiseam contradicimus, nec
contradicere querimus, quia cum lega non possumus,
eo quod propria est Ecclesie Sancti Salvatoris, et cum
— 105 —
ege esse debet. Noe scriptum, aut aliqualiter mutare
habemus, per quam possimus adversus vos exinde a-
gere aut causare cum lege. Et insuper spondemus et
obligamus nos jam dictus Lanfranchus Episcopus, et
Abas. una cum nostro Avocato, ut si unquam in tem-
pore nos aut nostros subcessores agere, aut causare
presumpserimus, vel exinde omni tempore taciti et
contenti non permanserimus, vel si apparuerit uUum
datum aut factum vel quodlibet scriptum, quod nos
exinde in aliam partem fecissemus, et dare factum
fuerit, tunc componere promittimus nos, qui supra
Lanfrancus Episcopus, et jam dictus Bonizo Abas ad
tibi jam dicto Mauro Abate, tuisque successoribus a
parte supradicti Monasterii Sancii Salvatoris, pene no-
mine argenti Libras ducentum, et suprascriptas res
in duplum, qualiter prò tempore fuerint meliorate,
aut valuerit in consimilibus locis. Et ad hanc tran-
shactionem confìrmandam haccepimus nos, qui supra
Lanfrancus Episcopus, et Bonizo Habas exinde Lau-
nachild annuUum aureum, et insuper Libras treginta
denariorum Lucensium. His actis rectum predictis Ju-
dicibus, et Auditoribus quoniam esse comparuit, ju-
dicaverunt, ut iusta professionem Episcopi Lanfranci,
et Bonizonis Habatis, et Rolandi Avocati eorum, e-
xiiide predicta Roca et suis pertinenciis taciti et contenti
esse debent ipse Lanfranchus Episcopus, et Bonizo
Abas, et eorum successores, cum eorum Avocato a
parte sue Ecclesie, et predictus Maurus Habas et sui
successores ex inde dehent esse securi, soluti, et idem-
— I ()( I —
pnes ornili tempore a parte prcdicti Monasterii Sancii
Salvatoris. l'ost hoc jam nominatus Maiirus Ahas
Clini suo Avocato dixit Donine Coniitissc ac Duca-
tricis, et Domni Rai^inerii, et Bernardi (^ornitcs : que-
rimus, ut propter I)cuni, et aniniani Domni Inijie-
ratoris ac vcstri merccdem, mittatis Banniim super
nos, et parteni nostri Monasterii, et super predictis
Rocam cum omnibus suis pertinenciis, ut nulkis (.]uis-
libet homo de ipsis rebus nos, et partem nostre Ec-
clesie siile legali judicio disvestire presumat. Cum
ipse Maurus Abas, et ejus Avocatus taliter retulissent,
tunc jam nominate Ducatrices, et predicti Comites
miserunt Bannuni suum super eundem Maurum Aba-
teni, et suum Avocptum et parte predicte Ecclesie
Sancti Salvatoris, et super predictam Kocam cum
suis pertinenciis , ut nullus quislibet homo vos et
partem predicte Ecclesie Sancti Salvatoris de predictis
rebus sine legali judicio disvestire presumat. Qu
vero fccerit, presentiat se compoxilurum ducentum
Libras optimi arienti, medietatem Camere Domni
Regis, et medietate parte predicti Monasterii Sancti
Salvatoris.
Quidem et ego Ardecio Notarius sacri Palaci ex
jussione supradictarum Ducatricum, et Comitum, et
Judicum amonicione, hanc paginam Notitie scripsi
Anno Dominice Incarnationis Milleximo Septuace-
ximo Secundo, Septimo Idus Junii, Indicatione Decima.
t
©
©
®
107
Ego Ardericus Judex interfui et subscripsi.
Ego Ubertus Judex Domni Imperatoris interfui.
Ego Petrus Judex sacri Palacii interfui et sub-
scripsi.
Ego Rollandus Judex sacri Palacii interfui et
subscripsi.
Ego Joannes Judex Domni Imperatoris interfui
et subscripsi,
Subscripsi dictis presens Adhierius istis.
Ego qui supra Ardecio Notarius sacri Palacii
scripsi et compievi imperacionis supradictarum Du-
catrix, et Comitum, et Judicum in hoc ato.
III.
1076 ; marzo . . .
In XPI nomine breuis recordazionis [prò futju-
ris temporibus ad memoriam habendam Vel reti-
nendam qualiter in presentia Nordilli miss; domine
beatricis ductricis et marchionisste et iohannis uice co-
mitis[... p d] in iudicio cum eis residentibus guillielmo
iudice et popone legis doctore. et rodulfo iìlio bone
memorie segnori et rolando filio bone memorie ru-
stici et alberto filio bone memorie baruncelli et Ste-
fano filio bone memorie petroni et benzo filio bone
memorie benzi et segnoritto filio bone memorie bo-
niti. et reliquis pluribus proclamauit iohannes aduo-
catus ecclesie et monasterio sancti michaelis site in
— loX -
castello qui uocatur ni;irtuli una ciim picposiius gc-
lardo eiusJem ecclesie et monasterii adversus sigi-
zoneiii de tlorentia de quibusJani teiris et de ecclesia
sancti aiulreic sitis in loco papaiano i.]uc fuciunt V'ui-
nizonis bone memorie Vgonis et estendi ft cartulam]
perquam predicto Vuinizo res [istas Ugoni] marchioni
concessit et quandam aliam qua continebatur Vgonem
marchionem easdem res prefacto monasterio dedisse.
Hvic intenzioni prefatus sigizo temporis prescriptionem
obiecit. dicens inter se suumque patrem predictas res
per quadrainta annoi um curricula esse possessas, Quam
sigizonis excepzionem pars suprascripti cenobii aliata
replicaziono>infirmavit. affirmans infra prefata tempora
huius litis factnm esse proclationem. et tribus idoneis
hominibus productis silicet iohanne predicte ecclesie
aduocato. et Stefano tilio bone memorie petroni et
aldiberto filio bone memorie baruncelli dixerunt a-
batem iohannem de predictis [rebus] marchioni bo-
nifazio et guidricum abatem duci gotifredo et comi-
tisse beatrici proclamasse et ita se iuraturos promi-
serunt et insuper predictus iohannes aduocatus tactis
sacrosaiitis euangeliis iuravit [ut supra] Stefano quoque
et aldiberto fsuprascriptis] iurare uolentibus. Vtraque
pars consensit aduocati sacramentum sufficere. His
peractis supradictus nordillus predicte domine beatricis
missus lege digestorum libris inserta considerata per
quam copiam magistratus non habentibus restitutio-
nem in integrum pretor poUicetur. Restituii in inte-
grum ecclesiam et monasterium sancti michaelis de
— 10() —
aczione omnique iure quod amiserat de terris et rebus
illis que fuerunt Vuinizonis de papaiano quas ipse
Vgoni marchioni tribuit. et Vgo marchio in ecclesiam
sancti michaelis contulit. Actum est hoc anno ab in-
carnatione domini ihu xpi septuagesimo quinto post
mille mense marzio indizione quartadecima f[eliciter]
factum est hoc intus burgum qui uocatur martuli
prope plebem sancte marie territurio fiorentino
f[eliciter].
Addo fidem dictis scribens ego nordilus istis.
IV.
lO^e ; maggio 31
>5< In nomine Sancte et Indiuidue trinitatis, anni
ab incarnatione domini nostri Ihu xpi millesimo se-
ptuagesimo sesto, Regnante domino haeinrico filio
domino haenrici imperatoris anno uigesimo, pridie
Kalendas iunii, indictione quartadecima. Petimus a
uobis, moranda filia quondam randono relieta agimo
de azo de rosa, et lamberto filio eius, Uti nobis [petrjus
clericus in una medietatem, et alberto et bona iu-
gales in alia ue[ro] medietatem germanis et cognata,
filiis de daui, et in successores nostros et heredibus
nostrorum, per haec enfiteosin nomine iure, presenti
[die], nobis concedere dignemini rem iuris uestre
proprietatis ; Idest in fundum et loco qui uocatur ci-
raula, pecia una terra aratoria cum, introito et exito
— 1 l(t —
suo iisquc in uia publica, nel cimi omni;i super se
et infra se abentem, [in interluni). A. pertica deci-
peda mensur;ita, tìnis ubi esse uidctur, Ali uno (la-
tere iiijxta abas de monasterio sancii Stefani niartires
perticas uiginti (due, ajb alio latere iuxta fratris et
consortis nostris similitcr perticas uiginti due, [Ab
uno] capite iuta dominicus de iohanncs russo perticas
ses, Ab alio capite iuxta fraftris] et consortis nostris
perticas ses, uel si quis allis allìnes sunt ; l]isa iam
dieta pecia terra aratoria quod superius Icgitur damus
nos supradicti dominacio [vobis qui supra] petro cle-
rico et alberto et bona iugales petitoris et in succes-
soribus [et heredibusj uestris ad habendum tenendum
et possidendunf et quicquid uobis uestrisque succes-
sores et heredibus uestris utilitas ueloportunum fue-
rit exinde faciendum, sive heredes alberti et illorum
servis, a salua iusticia dominica persoluendum, et
post completa m hereditas uestras qui supra petitoris
calciarios dandum, enfiteosin in och ordine renouentur;
Sic ita tamen ut exinde inferre debeamus nos supra-
dictis petitoris nostrisque heredibus uel successoribus,
uobis qui supra dominacione uestrisque heredibus,
singulis quibusque indictione, pensionis nomine in
argento denarium uenicie uno, ita ut dictum est
pensio persoluatur; et nos supradicti moranda et lam-
berto filio eius dominacione nostrisque heredibus
predicta pecia terra aratoria qualiter supra legitur,
uobis supradictis petitoris et in [in] successores et he-
redibus uestris omni tempore ab omni homine de-
— Ili —
fensare et auctorizare promitimus ; Si qua uero
pars contia istam enfiteosin ire temptauerit et non
conseruauerit omnia qualiter supra legitur , det
pars partis pene nomine in argento denariorum
ueronensium solidos decem, et post penam solutam
hec enfiteosin sicut supra legitur omni tempore maneat
firmitatem. actum in ciuitate bononia indictione su-
pradicta quartadecima : —
•j- Signum manuum supradicta moranda uxor a-
gimo, et lamberto filio eius dominacione, per haec
enfiteosin sicut supra legitur fieri rogaverunt^: —
f Signum manuum iginulfiis legis doctor, et
morando filius rusticus dari filiaulo, et gandulfus fi-
lius gandulfo dari filio, et girardo filius petro de
manno, et bonizo filius martino de campo donico,
rogatis testes : —
>5< In dei nomine ego bonandus notarius, qui
haec enfiteosin sicut superius legitur uidi conpieui
et dedi : —
(A tergo) Testis iginulfo legis doctor, et mo-
rando filius rusticus darà filio, et gandulfo filio gan-
dulfi darà filio, et girardo filius petrus de manno, et
bonizo filius martino de campo donico, per hec en-
fiteosin nomine proprietatis pensioque denarium ue-
necie uno, fecit moranda filia randono, et lamberto
filius agimo de azo de rosa, de pecia una terra a-
ratoria que est in fundum et loco qui uocatur ciri-
liaulo, que est per mensura ab uno latere iuxta abas
sancti Stefani martires perticas uiginti due, Ab alio
Ili —
latore iiixta iVatris et consortis nostris similiter per-
ticas uii;inti due. Ab uno capite iiixta doininicus de
iohannis luso perticas ses, Ab alio capite iuxta fratiis
et consortis nostris similiter perticas ses, In nomine
petrus clericus in una medietatem et al berlo et bona
iuijales in alia uero medietatem germanis et cognata
lìliis iohannis de daui. pridic Kalendas iunius, indi-
ctione quartadecima, pena solidosdecem uerouensium.
1078 ; febbraio, 19
bum in Ddl nomine in loco, qui (licitar Pun-
tiglo, in iiidicio residebat domna Matilda comitissa
atque ducatrix ad iusticiam faciendam ac deliberandam,
residentibus cum ea Arderico, Winizone, Lamberto
iudicibus, Uberto de Susina, Pagano de Corsina,
Ugone vice comite, Ugone filio Suppi, Henrico f. Si-
fredi, Rolando f Villani, Ingo, Alberico, Widone f.
Rustici, Rozo f. Luizi, Rozo f. Segnoriti, aliisque plu-
ribus. Ibique in eo iudicio veniens Gerardus abbas
sancti Salvatoris sito monte Amiate simul cum Pepo
advocatore suo et retullerunt : Domna comitissa atque
ducatrix, habemus et tenemus castrum, quod vocatur
Mons nigri et villam de Limignana, cum capeliis,
casis et cum omnibus rebus pertinentibus ad supra
dictum castrum et villam que sunt iuris monasterii
sancti Salvatoris ad proprietatem supradicti mona-
— 113 —
sterii ; et si aliquis homo est, qui inde aliquid dicere
vult, parati sumus cum eo exinde ad racionem standum
et legiptime finiendum ; et quod plus est, querimus
et volumus. ut dicat Ugo comes filius quondam I!de-
brandi item comitis, si supradictum castrum et villani
proprii sunt sancti Salvatoris aut esse debent cum
lege, aut si sibi pertinet ad habendum aut requiren-
dum, aut si habet scriptum aut firmitatem aut aliquod
ius, quod inde loqui possit, aut non. Interrogatus fuit
suprascriptus Ugo comes a iudice, quid inde dicere
velit. Ipsemet comes respondens ait : Supradictum
castcum et villa proprii sunt sancti Salvatoris et esse
debent cum lege, nec michi pertinent ad habendum,
nec requirendum, nec scriptum nec firmitatem nec
aliquod ius inde habeo, quod loqui possim. Et insuper
iam dictus Ugo comes promisit et espondit se suosque
heredes si unquam in tempore egissent aut causassent
adversus predictum monasterium sancti Salvatoris,
aut cui pars monasterii dederit, de superscriptis rebus,
et omni tempore exinde taciti et contempti non per-
mansissent, aut si apparuerit uUum datum aut factum
vel quodlibet scriptum, quod exinde in aliam partem
fecissent, et claruerit, composituros penam optimi
argenti libras duo centi supradicto monasterio. Ex
hac transactione et sponsione accepit suprascriptus
Ugo comes ab eodem abbate et ab advocatore suo
launichild crosina una. Deinde iam dictus Gerardus
abbas simul cum Pepo advocatore suo pecierunt mer-
cedem supradicte domine Matilde comitisse atque
8
— 1 1 1 —
iluciiiiici, ut i|'>s;i prupler (.Iciim ;ic sui nicrccilcin, nii-
sisset bannuni super cos, et super i;ini ii<jniin;itas
res, et nulla qualibct persona auderct supradicium
monasteriuni aut cui jxirs monasterii dcderit, de su-
prascriptis rebus disvestire aut molestare sine legali
iudicio. Hoc domina Matilda comitissa atque ducatrix
audiens, laudationo iudicum per fustem, iiuam sua
tenebat manu. misit bannum super eosdem abbatem
et advocatorem eius et super iam dictas res, ut nuUus
quislibet homo audeat supradictum moiiastcrium, aut
cui pars monasterii de suprascriptis rebus dedit, di-
svestire aut molestare sine legali iudicio, qui vero
fecerit sciat se compositurum penam optimi argenti
libras trecenti,' medietatem reipublice et medietatem
iam dicto monasterio. Et hanc noticiam, qualiter acta
est causa, eisdem illi fieri iussit. Quidem et ego Atto
notarius sacri palatii ex iussione supra diete domine
Matilde comitisse atque ducatricis et iudicum ammo-
nitione scripsi, anno ab incarnatione domini nostri
Jhesu Christi millesimo septuagesimo octavo, undecime
kalcndes marcii, iadictione prima.
Maftilda dei gratia quid est ss. S. Ego Ardericus
iudex interfui et subscripsi. 5. Lambertus iudex sacri
palatii interfui et subscripsi.
- 115 —
VI.
1079; ottobre, 18
^ In nomine domini ; anno dominici incarna-
cionis millesimo septuagesimo nono, regnante domino
enricus fìlius domini enrici Imperatoris anno vigesimo
lercio, die quintodecimo kalendas nouember, indictione
secunda. Nos quidem in dei nomine teucia relieta
quondam romano, seo iohannes bono tilio tuo et de
predicto romano, bono animo et uoluntatis nostre,
per consensu pagano da dominico pandioclo tutore
atque procuratore meo, qui mihi datus est per petrus
iudes de civitate bononie, per eius consensum et la-
gietatem, placet nobis ut per ec istrumenta iure pro-
prietaiis damus et concedimus atque tra(??5)ferimus
in monesterio sancii Stefani in perpetuum et tibi do-
mine guinizo abas gratia dei tuisque supcessores ad
abendum tenendum et possidendum in perpetuum ;
Idest infra plebe sancii iohannis in triario in loco
qui uocatur bagnarola omnia quantacunque fuit de
predicto romano de res immobile aut mobile; Et de
medietatem de omnes res immobile que fuit de pre-
dicto romano in loco et uilla qui uocatur pulciaula-,
una cum omnia supra se et infra se abentem terris
et uineis et casis, omnia Integriter In integrum pre-
senti die damus nos predictis teucia et iohannes, omnia
que predicto romano abuit in predicta bagnarola et
— ut) —
mei.iietatem de omnia quc alniii in loco et uilla quc
uocatur pulciaula, libi prci-iicto tiomino t;uinizo abas
tuisque supcessorcs, ad abcndum tcncndiim et possi-
dendum et faciendum quitquit uobis placuerit. lù
mitiinnis tibi domine yiiinizo abas in manus uestra
prcdicto pagano tutore meo ut uadat ad predicta res
in nostra uice et faciat uobis corporale inuesticione
atque tradicione ad iura propria. Ut ncque da nf)s
qui supra teucia seo iohanncs filio meo de omnis res
immobile aut mobile sicut superius legitur in prc-
dicto monesterio, ncque domine guinizo abas ncque
tuis supcessores nuUam aberetis molestacionc aut
causacione uel intencione, sed omni tempore da nos
uel da nostri/ heredibus securi et quieti atque paci-
fici permaneatis, et omni tempore ab omni homines
defensare et autorizare promittimus. Alioquin daturi
promittimus nos predicta teucia et iobaniics nostrisque
heredibus componere et dare in prcdicto monesterio
et tibi domine guinizo abas tuisque supcessores pene
nomine In arigento denarii ueronensis libras decem ;
et post penam soluta hec instrumenta concessionis
transacionis iure proprictatis sicut superius legitur
omni tempore in sua maneat firmitatem. Actum in
uico et uilla qui uocatur pulciaula, indictione pre-
dicta secunda.
j- Signum manibus predicta teucia et iohanncs filio
suo, qui hec istrumenta sicut superius legitur fieri
rogauerunt.
7 Petrus index affui et subscripsi.
— 117 —
7 Signum manibus iohannes de natale, et carbone
de iohannes de agati, et petrus de guinizo et girardo
filius maurice, rogatis, ctestibus.
f Scripta hec {strumenta concessionis transactionis
iure proprietatis per manus mea ezo notarius filius
arardo notarius rogatus sicut superius legitur conpleui
et absolui ;
(A Tergo) Testes petrus iudex et iohannes de na-
tale .... iohannes de agati et petrus de gui . . . . o
et girardo filius .... ad iura propria que fecit teucia
relieta de romano et iohannes bono filio suo. Per
consensum pagano de dominico pandioclo tutore suo
de omnis res que fuit de In loco qui vo-
catur bangnarola et de de immobile per-
tinet in loco qui uocatur pulciaula In monesterio san-
cti Stefani .... guinizo abas et in suis supcessores
In perpetuum et defensione die decimo kalendas no-
uembris.
Carta que fecit teucia relieta romano et iohan-
nes filio suo
...... ad iura propria fecit teucia relieta de ro-
mano et iohannes filio suo In bangnarola et de me-
dietate
sancti Stefani.
— I 1 s —
VII.
1085; maggio, 5
In nomine snnctc et indiuiduc trinitatis,- anno
dominice Incarnncionis millesimo octuagesimo quinto
Regnante domino hcnrico lìlio henrici imperatoris
anno uigosinio nono, die quinto mensis maJi. inJi-
ctiono octaua. Ego quidem In dei nomine albertus
lìlius quondam iohannis boni, bono animo et bona
[volun|tate atqiie prò remissione peccatorum meorum
et parentum meorum, placet atque conuenit . . . per
hoc instrumetitum uel donacione atque concessione,
dono et concedo In ecclesia et monasterio [sancto-
rum] appolenaris et gregorii que dicitur in campo, et
tibi domino rodaldo monacho atque abbati [prejdicte
ecclesie tuisque successoribus, Idest ecclesiam sancti
iohannis et pauli sita in poiale que dicitur pan[t]co,
cum omnibus suis pertinentiis, cum atque clusura una
prope eandem ecclesiam et terris et uineis [et] casis
et omnibus in [e]adem clusura constitutis, fines de
iam dieta ecclesia atque clusura esse uidentur, a mane
uia publica, a meridie et a sera similiter uie, de supto
possidente predicto abate et ecclesia sancti michaelis,
infra istis designatis laterihus omnia inte ... [te ul-
tra] a presenti die dono atque concedo ego supradi-
ctus Alberto tibi supradicto rodaldo abbate tuis[que]
successoribus et predicte ecclesie, ad abendum te-
— I 1 —
nemlum et possidendum et quicquid tibi tuisque
[succ]essoribus et iam diete ecclesie utile fuerit fa-
ciendum, a salua tamen dominica iusticia perso! ....
sa, et licencia sit tibi supradicto abbati tuisque suc-
cessoribus exinde renouare, et pensionem dare per
unamquamquem indicionem pensionem silicet dena-
rium unum ueronensem ecclesie sancti petri cuius iura.
Ut neque a me supradicto Alberto ncque a meis he-
redibus uel a nobis aliqua sumissa persona de iam
dictis omnis rebus qualiter superius legitur tu supra-
dictus abbas tuique successores [u]llam exinde habeatis
molestacionem aut causacionem uel intencionem, set
omni tempore [omn]i tempore securi et quieti atque
pacifici permaneatis, et insuper omni tempore ego su-
pradictus [alb]ertus atque mei heredes ab omni homine
predictas res qualiter superius legitur defensare et
auctorizare promittimus. Et si minime defensare po-
tuero, aut etiam haac supradictam donacionem a me
factam aliquando per quodcumque ingenium quod
umanum sensum .... potest agere aut causare pre-
sumsero aut agentibus consensero et non permansero
in hoc quod superius legitur, tunc daturum me pro-
mitto prò me meisque heredibus tibi prefato abbati
tuisque successoribus predictas res in duplum. Actum
in predicta ecclesia sancti apoUenaris, indictione pre-
dieta octaua. —
ego albertus manu mea firmavi.
^ Igenulfiis aulae regie index interfui et subscripsi.
Petrus filius quondam petri de clarissimo, atque
— Ì20 —
rodiilfus filius quondnm clarissimi, atquc albertus lìlius
quondam carboni, et albertus lìlius quondam ;ilbcrti
de clarissimo et alius albertus lìlius quondam petri
de clarissimo, et albertus filius quondnm pciri de uui-
donc iudice, et uuinibaldus lìlius quondam rodLiHi ik-
rihizoiie, et petrus lìlius rofredi qui ilicitur tardolo,
rogati testes interfucruiit.
Instrumentum donacionis sicut supe-
rius legitur scripsi lìrmaui.
(A TiiRGo) die quinto mensis madii, indictione octa-
ua, in presencia igenulfi iudicis inuestitoris etc atque
testes, petrus filius quondam petri de clarissimo, et
rodulfus filius clarissimi, et albertus filius carboni, et
albertus filius «alberti de clarissimo, et alius albertus
filius petri de clarissimo, et albertus filius petri de
uuidone iudico, et uuinibaldus filius rodulfi de rihizo.
et petrus filius rofredi qui dicitur tardolo . cartam do-
nacionis atque concessionis fecit albertus filius quon-
dam iohannis boni, de ecclesia sancti iohannis et pauli
sita in poiale qui dicitur panteo, cum omnibus suis
pertinenciis et de clusura prope eandem ecclesiam,
cum terris et uineis et casis et omnibus in eadem clu-
sura constitutis. In monastcrio sancti apollencris et
sancti gregorii que dicitur in campo, et in persona
domni rodaldi, abbatis de predicta ecclesia eiusque
successoribus, sub pena dupli, et defensione, concessa
licencia renouandi, et pensionem dandi silicei denarium
unum ueronense in ecclesia sancti petri.
db. in rosso) Cartula que fecit albertus filius iohan-
nis bonus ecclesie sanctorum appoUen
2 I
Vili.
1088; agosto, IS
In nomine domini; Anno dominice incarnacio-
nis millesimo octuagesimo octauo, regnante henrico
quondam henrici imperatoris filio anno tricesimo
primo, duodecimo die mensis augusti, indictione un-
decima, aclum prope ecclesiam sancii laurenci: breue
(recordacionis cancellato. ) rerum dacionis que [fecit]
teuzulinus de uenerio Martino presbitero eiusque suc-
cessoribus, de solo uno terre [cum] casa in muro ca-
stro medicine, qui ab ac ora imposterum sub se pre-
dictus Martinus aut eius heredes de predicto solo terre
cum casa in muro castro medicine [e .... in] pre-
dicto martino presbitero suisque successoribos aliquam
accionem uel controversiam requisicionem uel aliquam
molestacionem fecerint. . . . obligant se . . . uel suc-
cessoribus martino presbitero suisque successores dare
poenam arge[ntum] solidos denar . . uerone In pre-
sencia [I . . . . g . . ] . . . nus Idest .... de arardo
arardo lerardo [bade ligar da] no pagano le-
rardo [de braetal] .... frater eius Ugo presbiter ....
presbiter, Petrus presbiter, Johannes presbiter, Rit-
st[icus f\egis doctiis, et me presente Martinus tabe-
lione
(A tergo) Breue securitatis et finem quem fecit
teuzilino de uenerio, de in castro medicine.
IX.
1094; marzo . . .
In iKiminc domini. Anno ab incarnatione sunt
millesimo nonagesimo iii, mensis mnrtii, imlictione
secunda, comitato Sonot^allic. Dum in l)c'i nomine in
territorio Senogallie in villa, quae dicitur Valle, reside-
rent domno Bernulfus Comes, missus domno Warncrio
dux et marchio, cum his etiam comitibus atque residen-
tibus causidicis, quorum nomina hec sunt: in primis Gri-
moaldo index, necnon Rustico legis doctiis Stephanus
legis doctus Anconitano cive, Aldone vice comes ....
Arnulfo et Albertus germani fratres et filli de q. iVlar-
tinus de Acto .... Ugo de Bucco, Ghislerius de Bo-
nofilio, Bernardo de OlTredo, abbas s. Gaudentii, Rezo
de Goto, et alii plures, in eorum omnium presentia
venit Acto de Goto evocatus de sancta Cruce et dixit:
Domine comes, facile legem et iustitia ad sancta Crux
de Johanne muto de omnia ipsa res, que illum de-
tinet de iure santa Crux et contendit sine lex, et de
Guelfo filius q. Bucco de Mainardo, qui illum con-
tendit ad sancta Crux sine lex, quantocumque laxavi
Martinus presbyter de Massaropro anima sua ad su-
pradicta egglesia in fundo sancto Vitale terris, vineis
et aliis bonis. Tunc praefatus comes fecit eum procla-
mare ambi aversari, ut veniat ad beneplacitum iam di-
cti aversari: per suam contumaciam [vero] ad placitum
— 123 —
noluit venire. Tunc praenominato evocatus post tres
dies proclamatum est et dixxit: Domine comes, fa-
cite lege et iustitia ad sancta Crux de ipsi aversari,
qui illi contendit sine lex de tota res, sicut superius
legitur. Tunc praenominato comes dixxit [ludici]:
Quod est inde lex? Jam dicto index dixxit: Lex est,
ut investiatis ad ipso proclamatore, unde illum pro-
clamatum est, [ad onorem] sancta Crux a salva que-
rela. Tunc nominato comes fecit, sicut dixxit, et misit
bannum super caput proclamatore ad onorem sancta
Crux, [ut si ullo] tempore agere, causare et corrum-
pere voluisset [quecunque] persona, vel divestire sine
legale iudicio, [componat] auri optimi libras,
una medietate ad ipso iudice, et alia medletate ad
sancta Crux. Et misit cum investitore Acto de Goto,
ut corporaliter eum investiret. Ego dono Bernulfus
comes, sicut superius legitur, fieri rogavi. Grimaldus
delegatus a principe index subscriplione firmavi. Ego
Riisticus legis doctus interfui. Stephanus legis doctus
his intefui testis. Ego Letus tabellius ipsius civis Se-
nogalliensis compievi et absolvi.
X
109S; luglio, 5
Vt in posterum firmius memoriae commendetur,
necessarium duximus, his litteris breviter innotescere
de lite, quae fuit inter abbatem monasterii sancti Pro-
speri de Koi^io et honiiiies. qui dicuntur de \';illil)us.
Coiiquestus est abhas ciim suo advocato ante Uh;ilduin
judicem de Curpencta, quod ipsi homines de Valle
iniuste tenebnnt quasd;im res territorias in carte de
Nasseto, quae crnnt iuris ecclesiae sancti Prosperi.
Qua quaestione ab Ubaldo iudice diligentissime exa-
minata et per tres homines curtis Nassetae iureiurando
decisa, reddidit possessionem ecclesiae, ut in notitin
legitur. Quo facto homines de Vallibus iverunt ad Ma-
tildam comitissam et dixcrunt, se iniuste disvestitos
esse. Qua propter ipsa comitissa misit I^onum iiidi-
cem de Nonantola, et praecepit Ubaldo iudici ut iterum
inquirerent, et praeciperent utrique parti, ut inde es-
sent parati ad pugnam. Partihus congregatis ad hoc
corani predictis iudicibus, ipse abbas statim ostendit
praecepta regum, scilicet Karoli et Ottonis, in qui bus
aperte dinoscitur, res proprias esse ecclesiae, ut in
scriptis ecclesiae continetur. Et insuper causidici ab-
batis ostenderunt legem serenissimi imperatoris lusti-
niani, in qua continetur, eos, qui ab herrario vel ab
augustali domo aliquid accipiunt, statim securos esse,
sive experiantur, sive conveniantur, ut aperte claret
in lustiniano Codice et Iiistitutionibus. P^t alias multas
optimas ostenderunt allegationes. Quas praedicti iu-
dices omnino respuerunt; et dixerunt, nullo modo
aliud facturos, nisi quod facerent pugnam. Et invita
parte ecclesiae fecerunt appellationem et responsionem
de pugna. Et fecerunt invadiare sub pena decem li-
brarum Lucensium. Et statuto die. campionihus pa-
— 125 —
ratis ad pugnam, pars ecclesiae tantam habuit humi-
litatem, ut totas illas res, quae in lite erant ex parte
ecclesiae, concedebat adversariis secundura laudamen-
tum missorum comitisse; quod adversaria pars penitus
renuit. Campionibus ad pugnam coniunctis, campio
ipsorum hominum de Vallibus iactavit prò maleficio,
antequam inciperent pugnam, wantonem femineum
variis coloribus distinctum super caput campionis ec-
clesiae, quod omnino leges vetant atque mulctant. Illis
autem pugnantibus nemo illorum cecidit. Sed dum
se invicem manibus arriperent et dilaniarent, multi-
tudo hominum partis eorum de Vallibus compresse-
runt campionem ecclesiae et apprehenderunt eum. Sed
ipse evasit de manibus eorum; et reversus in campum
viriliter requisivi! pugnam. Iterum aggressi violenter
ceperunt eum et crudelissime ceciderunt eum. Sed
pars ecclesiae, quamvis minima, volens adiuvare eum,
mercedem tamen petendo fere omnes percussi et vul-
nerati vix evaserunt. His omnibus ita, ut supra legitur,
ordine peractis, contentio orta est, ita quod pars ho-
minum de Vallibus dicebat, se per pugnam vicisse, et
pars ecclesiae asserebat se minime esse victam; et cam-
pio partis ecclesiae dicebat, se nullo modo superatum
esse, et viriliter et prudentissime volebat pugnare. Et
ipse Ubaldus index, in cuius provisione pugna erat
constituta, dicebat, litem in dubio remanere, neqne
per hanc pugnam decisam esse: qua de causa nullam
inde iudices dederunt sententiam. Haec causa accidit
praesentibus Ubaldo et Bono, atque Alberto causidicis,
— I .:() —
oliam Dhaldiiu), I Icribcrto aiivocato pracdictac cccle-
siac, Gibertu (-aibone atquc l'iogerio et cctcìis, Ha-
dcgerio et Vgonc lìliis condam Manfredi de (ìruppo,
Goltefrcdo de Rosane et Sigcfredus Sigezone atquo
Ildeberto de Regio, Sigezone atque Giberto liliis Bi-
bentisaqu;im. liozone de Pellavo, Ingclbaldo, Mazzo-
lino et lìlio cius, Rodulfo de Pulliano et frater eius,
et Burnengo de lUuidolo et Manfredo de Villula et
aliis quam pluribus. Anno ab incarnatione domini
nostri Jesu Christi millesimo nonagesimo octavo, iii.
nonas iulii, indictione septima, in villa, quae dicitur
Garfagnolo.
XI.
IIOO; maggio, S5
In nomine Dei eterni Anno ab incarnationis do-
mini nostri Jesu Christi millesimo centesimo indictione
Vili. Octavo Kalendas Junias Cum in Dei omnipo-
tentis nomine Warnerius missus domini imperatoris,
atque, delegatus ab ipso principe in iudicio judiciarie
Montis silicis resideret ad justiciam deliberandam ac
faciendam adessent cum eo Gumbcrtus et Almericus
judices. Albertus. Odelricus. Wido. lohannes. Alberi-
cus et Berizo iuris prudentes. Petrus. Erizo. Raimun-
dus. Paganus. Gauselmus et reliqui plures. Ibique in
eorum veniens presentia prior sancte Instine Pata-
viensis ecclesie, venit et reclamare cepit de quadam
— 127 —
capella, sancti Thomae apostoli dedicata nomine et
cartulam inanem nullo jure munitam a nuUoque ta-
bellione conscriptam ibi ostendit. quam Draco pre-
sbiter jam dudum fecerat. Sicque cum hac cartula
contra cenobium sancti Zacharie in regno Venecie
site agere volebat, possessionem ac dominium ipsius
capelle acquifere. Quam vero possessionem supradictum
sancti Zacharie cenobium jam per centum annos et
ultra jure quieto possederat. Tunc ibi loci plebanus
sancti Zacharie qui ibi aderat privilegium ab impe-
ratore factum sigillo ipsius imperatoris impressum a
judicibus quam pluribus firmatum a cancellario scri-
ptum omnique solemnitate juris corroboratum ibi
ostendit et cum hoc aliisque rationibus juris supra-
dictum sancti Zacharie cenobium legaliter defendit.
Tunc judices ac juris periti qui ibi aderant certantes
ac iudicium enucleatum discutientes et equa lance
trutinantes supradictam cartulam illam quam prior
sancte Instine ostendatur inanem et vacuam esse lau-
daverunt et supradictum sancti Zacharie cenobium
habere et possidere supradictam capellam sicuti jam
dudum habuerat.
Ego Albertus judex interfui et scripsi.
I-N —
Xll
llOO (?)
Nutiti;i palii. (A)^niuim sit oninil)us l;ini mino-
ribus qiiam maioribus secundum iusticiam pie vivere
volentibus atquo sanctorum monastcrioiuni tutela con-
servare tideliterque gubernare studentibus prcceptum
ac noiiciam immutabile sancii Zacharie monasterio a
Guarncrio de Montesilicis corani omnibus maioribus
illius loci esse statutum. ipse cnim Guarnerius Consilio
quorundam monasterio illi invidentium pallium unum
secundum consuetudinem precedentium potestatum
abbatisse petivit, quod plebanus ipsius monasterii. ab
ea abbatissa non usa dari debere firmiter cum multis
hoc idem atestantibus asseruit . unde non cum mi-
sericordie respectu Gii.Trìicriiis omnia monasteri! quc
possidet in ipso castro statini invasit, Quapropter
plebanus precepto abbatisse ad euni quani citius potuit
adventare sine omni dubitatione festinavit, ac peti-
tioneni quani de pallio fecerat ab eodem Guarnerio
postulavi!. Quam sicut infra dictum est ipse illi ma-
nifeste declaravit. Plebanus non advocans omnes sa-
cramentales loci ac milites . quorum Consilio invenit
prò consuetudine monasterii potestati persolvere non
debere. Quod Petrus Caucus ac de Lea. Albericus.
Ioannes de Abo. et Ioannes de Ludiverto de Ursa et
Ioannes de Girardo voluerunt iureiurando contirmare.
— i2y —
Hoc idem Oderlicus et Guido frater Gualterius Ayten-
gus . Erzo . Maifredus Gauselmus facere assoruerunt.
Subtiliter ac sapienter tali peticione ab omnibus in-
frascriptis adstantibus considerata . statuitcomes Giuir-
nerius noticiam nulli potestati . . . . reis pallium
aliquod vel cendatum prò consuetudine esse licitum
petere de cetero.
Ego Albertus iudex.
f Gombertus iudex.
7 Albertus.
f Belizo.
XIII.
1103; novembre, 11
In Christi nomine breve recordationis securitatis
ac firmitatis memorie causa compositum qualiter Pe-
trus Abbas Monasteri! S. Petri siti loco qui dicitur
Potheuli lamentatus est Domine Comitisse Matilde
Tusciae presidatum habenti Burgoque Marturi iusti-
tie reddende causa residenti de Rainerio filio Ardingi
quod per biennium fere nihil predicto Abati reddi-
derat de illa pensione et constituta mercede quam
ipsemet convenerat dare de terra que est in loco Sa-
turno et insuper spoponderat si omni anno constitu-
tam pensionem non solveret quod componere debebat
quinquaginta libras et ipsam terram refutare nec
amplius causare quo audito per preceptum predicte
9
— l^o —
umitissc et laudatiunc jiuiicuni qui ad crani rcfutavit
prcdictus Rainerius in manu prcdicti Alìatis omnes
illas rcs quas ipse tcncbat ex locationc a jucdicto
Abate in loco Saturno l']t insupcr spopondit si ampliiis
eas causasset et tacitus et contentus ex illis cnuii tem-
pore cum suis heredibus non csscnt quod compo-
nere deberent predicto Abati suisque subcessoribus
penam argenti optimi libras centum.
Hoc actum est Anno Dominice Incarnationis mille-
simo centesimo tertio indictione duodecima tertio
Idus Novembris.
f Ego Ardericus Judex interfui et subscripsi,
f Ego Gandulfus Judex interfui et subscripsi.
f Ego Jocfnnes Bonus Causidicu^ interfui et sub-
scripsi.
f EgoM7rc/i/5e//i<5Gausidicus interfui et subscripsi.
f Ego Everardus Causidicus interfui et subscripsi.
Leo Judex Domni Regis jussione Domne Matildis
et rogatu prcdicti Rainerii hcc scripsi.
XIV.
1104; luglio, IT
*' ^ In nomine sancte et individue trinitatis. Anno
dominice Incarnacionis millesimo centesimo quarto
Regnante domino enrico fìlio enrici Imperatoris anno
quadragesimo octauo. Die septimodecimo mensis iulii,
indictione duodecima. Et ideo nos quidem in dei no-
— 131 —
mine guido tilius quondam alberti do guidone lil fro-
cherii, et petrus filius quondam frederici de ferrarle
consoprini et nepotte quondam petri de remengarda
bono animo et uoluntatis placet et conuenit nobis ut
per hec instrumenta concessionis una prò domino
uoluntate et inspiracione et magna caritate et prò re-
medio et luminarie anime nostre et de quondam pa-
rentorum nostrorum damus et tradimus atque tran-
sferrimus atque in perpetuum constituimus. Tibi donno
bono presbiter et monachus prò ex persona et uice
domini leonis abatis de monasterio sancti adhelberti
quod est hedificatum in insola qui uocatur pereo suis-
que successoribus in perpetuum possidendum. Idest
totam et integram portionem nostrani et diuisione de
ecclesie sancte marie qui vocatur in buita cum terra
(et cimiterio cancellato) que est in circuitu ipsius
ecclesie posita. A pertica duodecipedam mensurata.
Ab uno latere ab oriente perticas quinquaginta et
duas. Ab alio latere a septemtrione similiter perticas
quinquaginta et duas . tercio latere ab occidente per-
ticas quinquaginta. Quarto latere a meridie similiter
perticas quinquaginta infra cuncta mensura omnia
nostra portio in integrum. Et ut neque a nos predicti
guido et petrus qui uocatur de remengarda conso-
prini neque a nostris heredibus de predicta ecclesia
aliquod seruicium querere nisi solam oracionem, neque
liceat nobis aut nostris heredibus uel per nostra su-
missa uel sumitenda personam terram quodcumque
modo ad predictam ecclesiam pertinente intremittere
— ì-yl —
;uit inuadcrc. (ìuoil si, absit et aucrtat diuina potcncia,
aliquo unquam in tempore sive nos aut nostris hcrc-
dibus liane cartam a^crc aut causare tentauerimus
uel cam dirompere aut minucre uoluerimus siue per
nos siue per nostrani sumissam pcrsonam uel per qucm-
uis niodis uel ingcnium aut arf^umentum uel omnia
que superius dieta sunt non ohseruaverimus, sit ma-
ledictus et anathematizatus atque excomunicatus a
dco omnipotenti et a beata dei gienetrice uirgo maria
et beato petro cum ce[te]ris aliis apustolorum et a
tricenti decem et octo patris et exorrcat esse parti-
ceps iude traditore et dathan et abiron, uerctur oninis
maledictiones ebal et sit anathcma niaranatha. Alio-
quin tunc datari promittimus nos guido filius quon-
dam alberti de guidone fil frocherii et petrus qui
dicitur de remengarda filius cuiusdam federici nostris-
quc heredibus daturos nomine pene auri optimi
libras tres tibi domino leonis abatis tuisque successo-
ribus e: post huius pene solucionem hanc cartam do-
nacionis concessionis sicut supra legitur in perpetuum
firma et incorrupta permaneat. Actum in civitate bo-
nonia in curte prefatis consoprinis iuxta ecclesia san-
cte marie indictione predicta duodecima.
f Suprascriptis.
Guido et petrus qui uocatur de remengarda con-
soprinis hanc cartam concessionis prò remedio eorum
et de quondam parentorum suorum sicut supra le-
gitur rogauerunt scribere.
f ego hieremias manu mea subscripsi.
— '33 —
7 ego io:innes bonus cnusidiciis interfui.
lambertus tìlius mundi de lamberto. Raginerius et
albertus germani filii lambenti de beio . atque albertiis
filius rustici de elena. Guido et serrius germani fdiis
serii. Ildebrandus filius petri de fusscerado de ceritulo.
Albertus de lanino. Raginardus filius ricardi de fanto-
lino. Ugo filius anselmi uicecomitis. Oddo inuestitore .
magiff'redi filius rogatis testibus.
f Ego iohannes tabellio quondam petri tabellio-
nis filius hec istrumenta concessionis sicut supra le-
gitur scripsi firmaui atque absolui.
(A tergo) die septimo decimo mensis iulii indi-
ctione duodecima Testes ierernias filius ragi berti, lam-
berti mundi filii. et raginerii filius lamberti de beio,
et guido et serrius filius serri et ildebrandus filius
petri de fuscitto. Albertus de Zanino, raginardo filius
ricardo de fantolino, Ugo filius anselmi oddo inuesti-
tore. Cartam in perpetuum ad iura propria prò re-
medio anime eorum et de quondam illorum paren-
torum fecerunt guido filius alberti et petrus filius
federici nepos petri de remengarda de illorum por-
tione de ecclesia et cimiterio sancte marie in buita
et terra tenentem se secundum quod aliorum paren-
torum alim dederunt. In nomine leo abbas monasterii
sancti alberti in insola qui uocatur pereo que est iuxta
fluuio qui uocatur patho suisque successoribus ipsius
monasterii, sub pena et defensione et accepit bono
monachus prefata carta.
— ':u —
XV.
1104; dicembre, 28
In nomine domini nostri lesn Cristi.
Anno ab Incarnatione cjusdem 1104. 5 Kal Janua-
lii. Indict. 12.
lUidum domina comitissa Matilda mancrct in
villa Magisi Mane .... a Ardcnio judice, Jeanne
Bono, et Marchisello Bononiensibus .... uonense,
rCurerdo Fenoriense ibi astantibus Raynerius filius ....
Widonis filii Moronis, Rusticus Romanus, Lothcriiis
tìlius Alber .'. . . et Arduinus filius Widonis, et
Ugo filius Manfredi, et Ugo Armasus de Nonan-
tula, Raimundus de Bagisc , et aliis quampluribus,
petiit Episcopus Laurentius l^opuloniensis cum advo-
cato suo Retro filio Ugonis, ut praedicta domina
investiret praefatum Episcopum de medietate ca-
stri, et curtis Trecasis, quam comitissa loletta char-
tulam offersionis Ecclesiae sancti Gerboni dederat con-
scntiente Rodulpho et hoc per jussionem viri sui
Ugonis comitis filii Rodulphi, quo pò ... . comi-
tissa Matilda supradictum Episcopum investivit cum
aduo . . . . ate praediclae Trecasis, et bannum impo-
suit, ut si quis mente audaci praesumpserit disvestire,
aut aliquo ingenio molestare praesumpserit, centum
librarum argenti poena mulctetur, medietate publica
inferenda, reliqua vero medietate praedicto Episcopo,
— '35 —
ejusque successoribus tribuatur, et post poenam hoc
decretum in sua maneat firmitate.
DA
y
^1>
TIL
DEI
si'
€ST
Ego Ordericus judex interfui et subscripsi.
Ego Marchiselliis causidicus concessi, et ss.
Ego Anselmus causidicus interfui, et subscripsi.
Ego Everardus causidicus interfui, et subscripsi.
Ego Joannes Bonus Bononiensis causidicus in-
terfui, et subscripsi.
Ego Sigefredus judex, et tabeliio manu mea sub-
scripsi, et dedi, et compievi.
XVI.
1109; settembre, ST
In nomine domini . anni ab incarnacione domini
nostri lehu xri millesimo centesimo nono . regnante
uero enricus rex fìlius quondam enrici Inperatori.
Die quinto ante calendas octubris. Indictione II. Nos
quidem in dei nomine mainfredus et ubaldus atque
guidus germanis filiis cuiusdam donnus guidoni de
- '3<' -
castro bixano bono animo et iioluntatis placet et con-
iionit nohis ut per lume c;irt;im «.lonacionis atquc
oircrsionis a presente die damiis sitquc conccdimus
prò remedio et luminaria de quondam aua genitrice
nostra. In ecclesia monestcrio uocabulo sancta Cristina
de loco qui uocatur pasteno . ad salua iusticia sancii
saluatori de camalduli et lilii donnus gerardus pro-
shiter in uicem matikia abatisa tuisque fratribus et
sorores qui in ipso monestcrio ordinati fuerint . ad
babendum tenendum et in pcrpetuum ad iuria pos-
sidendum. Idest in cur^e qui uocatur sasonigro ui-
ginti tornaturie de terra aratoria cum introitu et
oxitu suo uel cum omnia super se et infra se abentem
in integrum a perticas de decem pedis mensurata . aben-
tem per unamquamque tornaturia ex omni parte per-
ticas decen. cum suarum iustis et certis lateribus uel
si quis aliis adfine sunt. Ipsa uero terra damus et
concedimus nos predictis mainfredus et ubaldus atquc
guidus tibi qui supra gerardus presbiter in uicem
matilda tuisque successoribus ad habendus tenendum
et in perpetuum ad iura propria possidendum et quic-
quid nobis ad hutilitatem predicto monestcrio pla-
cuerit faciendi. et ut ncque a nos predictis mainfredo
et Ubaldo et guido ncque a nostris heredibus uel per
nostra sumissam uel sumitenda persona nullam exinde
abeatis molcstacionem aut causacionem uel intencio-
nem set promittimus nos predictis mainfredo et ubaldo
et guido nostrisque heredibus predieta terra qualiter
supra iSgitur tibi qui supra gerardus presbiter in
— 137 —
uicem matilda abatisa tuisque successoris omni tem-
pore ab omni homine defensare et auctorizare et si
agere aut causare presumserimus aut agentibus con-
senserimus et non permanserimus in ea omnia qua-
liter supra legitur. Alioquin tunc daturi promittimus
nos predictis mainfredo et ubaldo atque guido no-
strisque heredibus componnere et dare tibi gerardus
presbiter in uicem matilda abatipsa tuisque successo-
ribus pene nomine in argentum denariorum lucen-
sium sollidos centum et post huius pene solucionis
hec istrumenta donacionis sicut supra legitur omni
tempore firma persistat. hacta in castro bixano fe-
liciter.
Suprascriptis mainfredo et ubaldo et guido qui
hanc cartam donacionis atque offersionis sicut supra
legitur rogauerunt scribere.
fi ff f Nomina testium hec sunt azo presbiter
de bixano. et petrus legis doctor da monte armati .
atque brando fìlio quondam brando . et rainerio Alio
quondam rainerio castaido da bixano . et teuzo filio
petrus da setefonti . quorum in hanc cartam rogati sunt.
Ego rainbertus tabellius qui hanc cartam donacio-
nis sicut superius legitur scripsi . firmaui.
XVII.
1113; maggio, ....
Anno ab incarnatione Domini millesimo cente-
simo tertio decimo mense Madij , Indictione VII.
- rsX -
hiim ndesset Domili;) Matikia niMtia ili.'i l)iicntrix, ci
Comitissa, Marchionis Bonifacii lilla, in locf) hauiana,
ibiquc Clini ai VbaKius iuJox, et Bonus index, Alber-
tus de Adiyerio et Petrus ludices: et Sigenfredus ludex,
Causidici quoque ]\Triicriiis Jc Hononia^ Lambertus,
et Albertus seu amicus, namque A/o ludex de l*'erra-
ria, et l.ambertus de civitatc Ravenna, et Petrus Aduo-
catus Ecclesiae sancti Andreae de Ravenna. Ioannes
et (ìrando da Ficarolo, et Rolandus ludex, Marchiscl-
lus, et Rolandus de lìononia et gisle Zone, Gapitaneis
quoque Vgone de Magnifredo, Amadeus, Teberdus.
Nordillus, et eius filius, scilicet Rainerius et Otberi-
cumus, Gerardus da Erbera, (juinlielmus da Fcrraria,
Petrus Ganes, Bombellus, Rufinus, Guuido Bonfantes,
et plures ali): In eorum praesentia Sichelmus filius
Rotecherij petijt mercedem suprascriptae Gomitissae,
M. de medietate fundo, et castro Zello, et de medie-
tate aliorum fundorum re iacente in Comitatu Kerra-
riense; quam Ramelmus, et Grimilda eius cognus acce-
perunt per anteriorem emfiteosim in monasteri) sancti
Andreae de Rauenna; Et ante eam et praescriptorum
ludicum, per placitum definitum fuit, ut misisset eum
in tenerem , et eius bannum super ipsam rem; prae-
scripta Gomitissa Domina M. cum taliter audiuit, cum
Consilio iudicum, per fuslcm , quem suis tenebat ma-
nibus, misit bannum supra Sichclmum et super prae-
fatam rem: Quod si aliqua persona, magna, paruaque
praesumserit disuestire, uel molestare suprascriptum
Sichelmum, uel suis eredes, sine legali iudicio, siad
— '3i) —
se compositurum nomine poenae argenti obtimi libias
centum: medietatem parte pubblicae, et medietatem
praedictae partis.
^ XVIII.
1113; giugno, T
In nomine Dei et Salvatoris nostris Jhesu Christi
anno ab incarnacione ejusdem millesimo CXIII. Indi-
ctione V. (1. VI.) septimo Idus lunii. Dum in Dei
nomine adessent in loco baioaria Ubaldus iudex de
carpeneta et advocatus Domine Comitisse Matilde ibi-
que cum eo alius Ubaldus iudex, bolonus iudex, Lan-
bertus caiisidicus de bononia , Joannes causidicus de
fredo, albertiis gramaticus de sancto marino, et ibidem
presentibus petro fìlio Ghiberti de Regio, Ubaldo de
Modelena, atque Oppezone ratelmo de Sancto Martino
in rio atque alberto ferario de Gasale et aliis quam-
pluribus. In istorum presencia atque testimonio diffi-
nita est lis atque altercatio que erat inter donnum
atinulfum venerabilem abbatem monasterii Sancti
Prosperi et inter Presbiterum petrum constitutum
missum Ecclesie Sancti Petrii de Castro limide .
Quod et ipse Presbiter petrus proclamabat de Johanne
Salvatico de Casale, quod ipse detinebat terram que
erat iuris Ecclesie Sancti Petri . Ipse vero Johannes
Salvaticus responsum dedit: terram quam habeo et
teiieo ego semper abui et tenui ex parte seniorum de
— i4«) —
Modelena et Monastcrii Sancii Prosperi, .ludiccs omncs
et causidici interogaverunt prcsbitcrum pctriim, si
probare potuisset per instrumcnta vel per alia testi-
monia quomodo ipsa terra essei juris Ecclesie Sancii
Pelri. Ipse vero ncque per cartulas neque per testi-
monia minime probare potuit. Prefatus vero donnus
atinulfus per instrumenta et per alia testimonia bono-
rum hominum per laudacionem iudicum jurare fecit
per Sancta Dei Evangelia, quod ipsa terra detcnia
erat sine lite placiti per spacium quadraginta annorum
ex parte seniorum de Modelena et Monasterii Sancii
Prosperi. Tunc per judicum iaudationem refutavit
ipsam terram quam petebat presbiter petrus per se
suosque successor'es sub pena X. librarum denariorum
Lucensium,si amplius agere vel causare presumpscrint,
atque hanc noticiam mihi araldo notario scribere ius-
serunt.
Ego Araldus Sacri Palacii Noi. interfui et scripsi.
XIX.
1115; dicembre, S9
In nomine domini nostri ihu xpi Anni eius mil-
lesimo centeximo XV regnante dominus enricus rex
filius quondam secundi enrici imperatoris. IlII kalen-
das ianuarii indictione octaua. Profitens [profiteor]
ego ubertus comes filius quondam aiberti comitis de
comitato bononiensis qui professus sum [ex natione
— 141 —
meaj lege uiuere romana. Accepi siculi in presentia
testium manifesto sum qui accepi a [te petrus et
imil]da iugales filius et nurus quondam uerardi clerici
de loco planorio in argentum denariorum lucensium
solidos sex [finitum pretium] sicut inter nobis conve-
nit prò omnis res immobile quas habetis aut tenetis
aut ad uobis pertinet siue precario iure aut per feu-
dum da me infra tota curte planorii Que autem iam
dieta res qualiter supra legitur cum superiore et infe-
riore seu cum fine et accessione sua in integrum.
A presenti die et bora prò supradicto precio et per
hanc cartam vendicionis in uestram qui supra empto-
ribus meis maneat et persista! potestatem ad haben-
dum et fatiendum exinde et cui uos dederitis uel ue-
stris heredibus iure proprietario nomine quicquid
uolueritis sine omni mea heredumque meorum con-
tradictione. Spondeo quidem atque promitto ego qui
supra uenditore una cum meos heredes uobis qui
supra emptoribus uel a uestris heredibus supradicta
res que uobis supra uenundaui in integrum omni
tempore ab omni contradicente homine defensare
secundum quod in legibus cautum est . quod si ad
defensandum minime fecero aut si contra hanc cartam
uenditionis per quoduis ingenium agere aut causare
(nella copia presumpserimus, wa nell' originale si vede
corr. ) presumpsero uel si agentes consentiente fuero
ego uel meis heredibus tunc supradicta res que uobis
supra uenundaui sicut prò tempore meliorata fuerit
aut ualuerit sub estimatione in consimilibus locis uobis
— \4i —
nel ad ucstris hcrcdibus in duplum icstitnain quiii sic
intor nobis conucnimus. Aduni in castro phinorio in-
dictiono SLipradicta \ ili.
Snpradicto ncnditorc qui lioc istrunicnium ucndi-
tionis sicut supra Icgitur fieri rogauit.
Nomina tcstium qui hic interfuerunt uocati. lan-
bertus rodulli lìlius himbertus qui uocatur de bona,
rolandus azoni filius. atto Hlius iohannis testcs inter-
fuerunt.
Ego tegrimus tnbellio atque causidicus .scripsi hoc
istrumentum uendicionis prò rogacione de supradicto
uenditore.
(A tergo) mi kalendas ianuarii indictionc Vili
testes lanbertus d5 Rodulfo. lanberto de bona, rolando
de azo. atto filius iohannis ad comitem uberto qui
fecit cartam ad iura propria ad petrus filius uerardi
de omnia que ille habet siue per enfiteosin siue per
feudum de supradicto cernite sub pena dupli . precium
sex solidos denariorum lucensium.
supradicti testes ad supradicto comite qui fecit
cartam ad iura propria ad guido diacono et insius
germanis fratribus de omnia que illi habent siue per
feudum siue per enfiteosin precium sex solido dena-
riorum lucensium pena dupli.
Hactum in antiqua carta in castro planorio indi-
ctione supradicta octaua.
— 143 —
Signum nomen supradicto Vberto comes uenditor
qui hunc contractus uenditionis sicut superius legitur
corani testibus In antiqua carta scribere rogauit per
manus tegrimus tabeliio de planorio antiqua carta
scripsit et compleuit.
fff f Signum nomina testium de antiqua carta
uenditionis hec sunt lambertus rodulfi filius . lambertus
qui uocatur de bona, rolandus azoni filius . ato filius
lohanni quibus In antiqua carta uenditionis rogatis
testibus.
Hoc exemplar ex autentico ducto.
^ Ego teutius notarius de castro gene qui hunc
contractus uenditionis sicut In antiqua carta legitur.
In ista nova carta Ita scripsi et compleui luxta ec-
clesiam sancti iacobi de hospitale qui uocatur da pla-
norio. Millesimo . G . quadragesimo tertio . tempori-
bus Innocenti! pape . Regnante Conradus rex . die
XVIII. mensis lunii . Indictione sexta.
XX.
1116; marzo, 18
Die sabati que est XV kalend. aprilis. in civitate
Pataviensi in palacio episcopali, dum in Dei nomine
Enricus Dei gratia quintus Romanorum imperator
augus. {sic) in iudicio residerei ad iusticias faciendas
ac deliberandas . adessent cum eo Teuzo. Warncrius.
Adam. Ribaldus. Eichardus. Tarvisius. Johannes iudi-
— 1.11 —
ces. Anto. OJo. .lohiimics. Martiiius. Iiic;ilfrcdus iuris-
periti. JiiirclijrJits /)<•; ì,t.7//l7 fj«ct'//irr//<.v et episcopus.
Henricus (Inioiitanat.' tociusque Marchiae dux. Alber-
tus Comes do Martoringo. Maifredus, Albertus comes
Veronensis. Ut:;o comecs (sic) Pataviensis. Artusius.
Gonradus. Lamprettus comites. Tiso. Robertus. Sic-
cherius. Henricus de Caldenaccio, Vicedominus et
Erizo fratcr ejus Anselmus de Costa. Oto de Sara-
tico et alii plures viri nobiles. Ibique in illorum vc-
niens presentiam Iza licct indigna monasterii sancti
Stefani habatissa . una cum advocato suo Wezilone.
cepit postulare Deo et imperatori, ut iusticiam eis fa-
ceret de Uberto infanti de Fontaniva . qui iniuste le-
nebat eidem monasterio santi Stephani in loco qui
nominatur Gacichognaha . duos mansos et plus, et con-
sortes Sarmaciae prohibebant monasterium sancti Ste-
fani communia et omnia iura habere et uti. Tunc do-
mnus imperator iusticiae pacisque amator. omniumque
ecclesiarum defensor, misericordia motus. prò sancti
Stefani honore et per iudicum consilium . et per li-
gnum quod in sua tenebat manu . investituram de
duobus mansis et nemore et omni iura ipsa abatissa
reclamaverat ad salvam querelam eidem abatisse suo-
que advocato dedit . et quod ipsa in Sarmacia pe-
tebat ad actenus eam restituii et insuper misit ban-
num super abatissam suumque advocatum et super
omnia bona predicti monasterii sancti Stephani . que
nane habet aut in antea legittime adquisierit. ut
nuUus patriarcha. archiepiscopus. episcopus. dux. mar-
— 143 —
chio. Comes, vicecomes. advocatus. vicedominus. ga-
staldius. villicus. decanus. vel aliqua magna parvaque
persona predictam Izam abatissam et advocatum suas-
que sanctemoniales et successores sine legali iudicio
disvestire, molestiare. aut inquietare audeat. Quisquis
hoc fregerit, sciat se compositurum centum libras
auri medietatem imperatoris camere, et medietatem
prcdicte abatisse. suisque successoribus sanctemonia-
libus. 'Factum est hoc anno ab icarnacione domini
nostri Jhesu Cristi millesimo centesimo XVI. indi-
ctione Villi, (al m. ) -|- Hec cus.
Ego Teuzo iudez interfui. Ego Ribaldus iudex
interfui et subscripsi.
Ego Adam iudex interfui et subscripsi.
Ego Anto advocatus interfui et subscripsi.
f Ego Obertus domni Henrici imperatoris iudex
interfui. et ejusdem imperatoris iussu hanc noticiam
scripsi.
XXI.
1116; marzo, S2
Dum in Dei nomine in urbe Fatavi in iudicio
resideret domnus Henri cus Dei gracia Romanorum im-
perator augustus a {sic) singulorum hominum iusti-
tiam faciendam. deliberandasque littes. adesset cum
eo Gebirdus Tridentinus episcopus Brugardus Mona-
steriensis. Arpo Feltrensis episcopi. Henricus dux,
— !.|<. —
item Gcnricus Iratcr Wclfoni ducis. Tcuzo. ll'ar-
nerius. Aicardus. Azo. Olvradus. Tcrvisius iudices.
Roberto Lanbardo. et reliqui plurcs. Ibique in eorum
venicns presentia Albertus abbas monastcrii sancii
Michaclis scitum in loco Candiana rctulit et ccpit
diccrc ac postulere mercedem. Pulo vobis domine
impcrator ut propter Deum et anime vestre merce-
dem mitatis bannum super me et ipsum monasterium
et omnes res eius. Cum ipse iam dictus abbas taliter
petisset mercedem. tunc ibi locum consilium qui ibi
fuerant misit bannum super predictum Albertum ab-
batem et ejus advocatum. et super ipsum monaste-
rium et super omnes res ejusdem monasterii. casas.
curtes. villas. ftiassaricias et terras. prata, silvas. mo-
lendina et piscaciones. venaciones ac familiam et mo-
biliam. sive etiam instrumenta que tunc abebat et
detinebat. aut in antea iuste acquirere potuerit. in
pena centum libras auri. Ut nullus quilibet homo in-
quietare aut molestare ve! disvestire eundem Al-
bertum abbatem et ipsum monasterium. ve! partem
ejus. vel eorum advocatum ex rebus supra dictis
sine legali iudicio. Qui vero hoc fecerit. sciat se
compositurum centum predictas auri libras medie-
tatem parti publice et medietatem suprascripto Al-
berto abbati, et ipsi monasterio et avocato eorum suis-
que successoribus. Finita est causa, et hanc noticiam
prò suprascripti abbatis et monasterii securitate fieri
amonuerunt. Quidem et ego Joannes notarius ex iu-
sione suprascripti domini imperatoris seu iudicum
— 147 —
amoniccione scripsi. Actum est hoc anno ab incarna-
cione domini nostri Jesu Christi millesimo centesimo..-
sesto X. XI Kal. aprilis indicione nona, hocfsignum
crucis fecit domus Henricus Dei gracia imperator aug.
Ego Teuzo iudex interfui.
Ego Wernerius iudex affui et subscripsi.
Ego Azo iudex interfui et subscripsi.
Ego Varvisius iudex interfui.
Olverardus iudex subscripsi.
XXII.
1116; aprile, 8
Dum adesset in Dei nomine Dominus Henricus
gratia Dei Imperator Augustus in Civitate Regensi, ibi-
que cum eo Cluniacensis Abbas, Judices quoque War-
nerius de bononia , Ubaldus de Carpeneta, Ribaldus
de Verona, Lambertus de Bononia, Lanfrancus de Ca-
sale auri, Henricus Dux filius Welfi marchione, Bo-
nefatius et Rainerius Paradisus atque Anselmus de
busco, seu Ubertus Pelavicinus et Comes Albertus de
Sabloneta, Capitaneus Ardoinus de Palude, Araldus
de Mellegnano, Girardus de Cornazano , Malleaddo-
batus, Odo, Alamannus, Gerardus de Bosonis, Raine-
rius Saxonis, .Atto baratti Gives Parmenses , Vvido
Gislardi et Albertus rimperti, et quam piures alii. In
eorum presentia conquestus est domnus Boso Archi-
diaconus Sancte Parmensis ecclesie cum confratribus
- l.lX _
suis super lìlios Gcrardi de llcrbcrin de ciii'te una,
que nominatur marzalia in comitatu mutineiisi, quam
pater eorum injustc et violcntcr invaserai. Audita
eorum querimonia suprascripti Judices laudavcrunt
Curtem illam juri suprascripte Ecclesie presentialiter
esse restituendam. 'fune filius Gcrardi unus, qui ibi
adcrat, in presencia Ooiuini Iniperatoris et supra scri-
ptorum circumstantium per virgam, quam in manu
tenebat, cani refutavit, et (ìncm fecit in manibus su-
prascripti Archidiaconi et confratrum suorum Prefa-
tus vero Donnus Imperator per ftistem, quam suis
tenebat manibus, misit bannum super nominatum
Archidiaconum et confratres suos et super ipsam
curtem et super ipsas res ad curtem pertinentes, quod
si aliqua persona magna parvaque, sive dux sive mar-
chio seu Comes vel vicecomes seu Gastaldio vel alia
quelibet persona presumpserit suprascriptos Canoni-
cos eorumque successores de prefata curte disvestire
vel molestare aut inquietare per quodvis ingenium, sciat
se compositurum nomine pene libras C. auri optimi,
medietatem Camere nostre, et medietatem prefate Ec-
clesie. Quod ut firmius habeatur nec umquam tem-
poris diuturnitate oblivioni tradatur, hanc notam
scribi jussit et subscribendo manu propria corro-
boravit.
Enri cus dei gratia
(^uar
Imp.
Sub
tus Romanorum
Augustus
scripsit.
— 149 —
-|- Ego Wernerius judex affai et siibscrip.
Ego Ribaldus judex interfui et subscrip.
Ego Ubaldus judex interfui et subscrip.
Ego Lanfrancus judex interfui et subscrip.
Anno ab incarn. Domini Millesimo C. XVI. octavo
die ingredienti mense Aprili indictione nona.
Ego Dominicus Sacri palacii Notarius scripsi, et
subscribendo compievi.
XXIIl.
1116; maggio, 6
^ Dum in Dei nomine, die Sabati, que est Sexta
dies, intrante Mense Madii, in loco Gubernule, scilicet
in Canonica Sancti Remigii, Henricus Dei gratia
Quartus Romanorum Imperator Augustus in Consilio
staret, prò sui Imperii, suorumque fidelium utilitate:
adessent cum eo Warnerius Bononiensis, Ubaldus de
Garpenetha, Ribaldus Veronensis, Judices, Albertus
Comes de Martoringo, Albertus Comes de Sablonetha,
Maltraversus, Girardus de Boscito, Arduinus de Pa-
lude, Guido de Maifredo, Sasso de Bibianello, Ma-
ladubatus, Albertus et Bernardus frater ejus, Girar-
dus de Cornazano, et reliqui quamplures viri Nobiles ;
ibi in illorum veniens presentiam Martinus Sanctae
Mariae Monasterii Pomposae Monachus , una cum
Martino de Sancto Marino, et Johanne de Bertula-
sco, ceperunt petere ac postulare mercedem Donino
Henrico imperatori piissimo, ut predicto Monasterio
- I 50 —
Sanctac Marine ile Pomposa jiisiicinm fncerct de
Ubaldo Ugonis l'ilio de MailVcdo, qui injuste tuiha-
verat posscssioncm de quadam terra, quam predictum
Monasterium tenucrat in loco, qui diciiur Solerà
liberti. Ubaldus autem Conradum Comitem auctorem
nominavit. Sed idem Comes Conradus paucis ante
diebus per ipsius Imperatoris sentcntiam super eadem
possessione victus fuerat. lussit crij;o Impcrator ne
predictus Ubaldus aliquam molestiam eo nf)minc
contra predictum monasterium faceret, et insuper
per Judicum consilium, per liynum. quod in sua te-
nebat nianu, bannum super Martinum Monachum in
vice totiusque (.ongregationis, et nominatim scilicet
de predicta pos'sessione , et insuper de omnibus pos-
sessionibus et rebus, quas predictum Monasterium
tunc temporis habuit, vel in futurum adquirere po-
tuerit cum racione: ut nullus Dux, Marchio, Comes,
Capitaneus, Vavassor, vel aliqua magna, parvaque per-
sona predictum Monasterium de prenuntiatis rebus
sine legali judicio disvestire vel inquietare audeat.
Quod si quis hoc Preceptum in aliquo violare tem-
ptaverit, sciat se compositurum centum Libras auri,
medietatem Imperatoris Camere, et medietatem pre-
dicto Monasterio.
Factum est hoc Anno ab Incarnacione Domini
nostri Jesu Cristi Millesimo Centesimo Decimo Sexto,
Indictione. Villi.
Hoc signo Crucis idem Imperator hanc
Noticiam corroboravit.
— 151 —
^ Ego Werneritis Jiidex affai et subscripsi.
Ego Ribaldus Judex interfui et subscripsi.
Ego Ubaldus Judex interfui et subscripsi.
)J< Ego Obertus Domni Henrici Imperatoris judex
interfui, et per ejusdem Imperatoris preceptum hanc
Noticiam scripsi.
XXIV.
1116; maggio, IS
Anno ab Incarnatione Domini Millesimo Cente-
simo Sexto decimo, duodecimo die ingrediente Mense
Maji, Indictione IX . Sancto Monasterio juxta La-
rione in honorem Sancti Benedicti consecrato , cui
Ubertus Prior adesse videtur, ego quidem in Dei no-
mine Henricus Quartus Dei gratia Romanorum Im-
perator Augustus, dono et offero eidem Monasterio ad
ejus jus et proprietatem, silicet Silva una, quae nomi-
natur de Solamine, et una parte juxta eam, quae di-
citur Silva de Carpeneta , finesque scilicet ei a mane
Sancti Benedicti, ab aliis lateribus sicut vadit strada
de Murio, sicut vadunt campi de Sergnano et arge-
nem, sicut vadit Regisa, quae exit de Solarne, et intrat
in Vallem Prediosam, et intrat in Vallem Rotaldi, et
intrat in Vallem Sameleda, et intrat in Risinam de
nido aquit et a Risina in Riolum. Ut jam di-
ctum Monasterium ab hac die in antea faciat pro-
prietarii jure in usum et sumptum Monachorum, qui
— \^2 —
in eadom Ecclcsin militant, et qui militauiri sint
usquc in perpetuuni, qiiicquid voluerit, sine omni moa
et hereJum meorum contradictionc. Quisquis in san-
ctis ac Ycnerabilibus Locis in suis aliquid coiitu-
icrit rebus, juxta Auctoris voccm in boc Seculo cen-
tiiplum accipiet, et insuper, quod nielius est, vitam
possidebit aetcriiam. Ideoque ego infrascriptus Impe-
rator similiter dono et otTcro Ecclesiae Sancti Bene-
dicti de Gonzaga, Braida una juris mei posita in
eodem loco Gunzachia, cum casa campani super
eam habente; et hoc, quod tenet ex mea parte, fìncs-
que scilicet a mane Tenquemilo filius Adam Gunti.
a meridie Petrus Cottus, a sero tenet Kutecherius de
Gonzaga; de subto Albricus Cottus, hocque in hos
fines inventum fuerit , in hanc Cartulam pcrmaneat.
Ut jam dictae Ecclesiae faciant cum superioribus , et
inferioribus, cum finibus et acceptionibus suarum in
integrum quicquid voluerint proprietarii jure sine
omni mea et heredum meorum contradictione prò
mercede et remedio animae meae et Comitissae Ma-
tildis; et insuper comprehensum est, ab omni con-
tradicente homine defendere, et si defendere non po-
tuerimus, aut si nobis exinde aliquid per quodlibct
ingenium subtrahere quaesierimus, tunc in duplum
suprascriptas res, ut supra legitur, eidem Ecclesiae
restituere, sicut prò tempore fuerint melioratae, aut
valuerint sub aestimatione in consimilibus locis.
Actum in loco Gubernulae feliciter . Huius Car-
tulae offertionis fuerunt testes Conradus Comes, et
— 153 —
Albertus Comes de Saploneta, Ardoinus de Palude,
Arnaldus Aquensis Propositus, Warnerius Jiidex ^ et
Ubaldus Judex, Amedeus, Opizo de Gunzaga, Ge-
rardus et Rolandus Massarius, atque Paganus, Ugo
et Ludovicus de Gubernula, et plures alii.
Ego Warnerius Judex affui et subscripsi.
Ego Ubaldus Judex affui et subscripsi.
Ego Dominicus Sacri Palatii Notarius scripsi, et
subscribendo compievi ex jussione suprascripti Impe-
ratoris.
XXV.
1116; maggio, 15
^ In nomine Sanate et indiuidue trinitatis. Anno
domini Millesimo Centesimo Sextodecimo. Idus Madij .
Indictione nona . Henricus dei gratia romanus impe-
rator Quartus Cesar Augustus . Imperialis proprium
est clementie fìdelium nostrorum precibus prò merito
sue deuotionis in beneficiis largiendis annuere . Proinde
cunctorum Ciuium personas Bononiensium set et res
eorum mobiles uel immobiles tam acquisitas quam
acquirendas in nostra speciali tuitione seu defensione
recipimus . ubicumque contingat eos degere vel conuer-
sari . ita ut nequis hominum presumat eos iniuste
molestare vel eorum personas seu res aliquibus iniu-
riis afficere . Omnes publicas uias tam in terris quam
in aquis, et nominatim nauigium padi et deorsum in
— 1:,! —
vcnctinm et siirsuni in lon^obaniiam ita libere con-
codimus cis; ut nequis ominum prorsus auJeat eos
in hisdom uiis et itineribus aliquatenus impedire uel
quibusdam molestiis implicare. Ncmo eos usquam
constringat nullam prestationcm quisquam ab eis
exigat occasione baimi nel ripatici uel alicuius talis
cause nomine, et hoc nominatim in ferraria eiusque
territorio uetamus. Exceptis nostris legatis qui per
loca solent ea quo iuris et consuetudinis sunt facere
et exigere . Autiquas etiam corura consuetudines in-
tactas et illesas perpetuo precipimus obseruari . Kt
pabulum silue a plebe buida usque ad palludes et
usque ad centum . In toto reni aluco nichil fiat
operis quo peius nauigetur . Negotiatores de tussia
subter stratam negotiandi causa non transeant nisi
duabus per annum uicibus idest ad mercatum oliua-
rum et sancti martini . Pro parata seu fodero ultra
Centum libras denariorum ueronensium non exigan-
tur . Et ut nuUus comes eorum colonos seu inquilinos
prò albgariis {sic; nel Reg. Nuovo allogariis) quod
mansionaticum dicitur molestare audeat . Quo tem-
pore in nostra . esunt expeditione nulla de re iu-
ditium eis pati uolumus nisi quid ibidem commi-
serint . Hec omnia prò tenore supra descripto in
perpetuum custodiri demandamus . Si quis uero
contra prephatum nostre clementie benefitium ue-
ncrit uel hoc in aliquo uiolauerit Centum libra-
rum auri purissimi pene subiaceat. Cuius dimi-
dium nostris scriniis dimidium iam dictis persoluat
— 155 —
conciuibus . Quod ut uerius credatur et appareat si-
gilli nostri ymagine presens scriptum precipimus insi-
gniri . Actum in loco qui gubernolo nuncupatur .
Indictione predicta.
-)- Ego B. dei gratia Cancellarius subscripsi.
h, \ / i Ego Wernerius index affui . et.
XXVI.
1116; maggio, 15
Idem ipse imperator remisit predicto Bononiensi
populo omnem ofTensionem quam ipse populus aliquo
modo sibi conmisit . et precipue roccam que ab ipso
populo destructa fuerat; tam ipsi populo quam omni-
bus qui auxilium prebuerunt . Hec omnia impetrata
sunt ab alberto grasso . et vgone de ansaldo; et huius
precepti receptione cum predictis affuit azo filius Azo-
nis . et Witernus filius carbonis . et Rolandus nepos
eius . et bononius de tegerio , et Donusdeus filius
eius . et Guido de beatrice . et Petrus de leone . et
Petrus Clericus de serralio.
Hec omnia facta sunt in presenta arduini filii
Widonis . et Conradi comitis . et Comitis alberti filii
bosii . et pelauicini . et Caualcabouis marchionis . et
Bernardi . et alberti germani filii mainfi-edi . et vbaldi
nepotis eorum . et Guidonis filii mainfredi . et uberti
comitis Bononie et Ducis filii dindonis . et Nordilli
— I ^h —
de castro vetcri . et Wilielmi (ìlij hcnrici de ucrona .
et Opizi de gozaga . et Sassonius de hibiancllo . et
V'baldi Causidici de carpeneta . et Gandiilfì iiuiicis
de jrgelLtU . et Girardi de plaza . et Bruni de
monte . et henrici de uerona.
XXVII.
1116; novembre, 15
In nomine Domini. Anno ab incarnntione ejus-
dem millesimo centesimo sextodecimo . imperante
Henrico quarto anno sexto . Septimo decimo calen-
das decenber . iiTdicione nona . Et ideo in Domini
nomine Ego quidem Dominus smilo Comes hoc do-
nationis simplicis instrumento jure dominii et pro-
prietatis antedictis in presentiarum dedisse et hujus
rei gratia tradidisse tibi presentem in Christi nomine
Matilde filie Witerni tuisque heredibus meam portio-
nem de castro et curia Panego cum omnibus perti-
nentiis suis excepto Lamola . et similiter dono castrum
Montasigi cum curia ejus et cum omnibus suis perti-
nentiis . atque castrum et curiam Vignole cum omni-
bus pertinenciis ejus cum omnibus supra se et infra
se habentes mentem in presenti die dono et hujus
rei gratia traddo tibi suprascripte Matilde tuisque
heredibus ad habendum tencndum et deinceps tuo
nomine possidendum in perpetuum jure dominii et
proprietatis et quicquid tibi et heredibus tuis dein--
— 157 —
ceps ex hac placuerit faciendum . de condititia uero
salua donica ratione et ex ea liceat tibi renouare et
obtinere et pensionem dare solitam . ita inquam ut
nuUam litem nullamque controuersiam exinde tu uel
tui heredes quoquo modo qualibet ex causa a me
prelibato Comite uel a meis heredibus aliquo in tem-
pore sustineatis ab ornai quoque homine liane predi-
ctam rem scilicet castrum et curiam panigi cum ca-
stro montasigi et Vignole et intrigete cum omnibus
ejus pertinentiis legitime defendere et auctorizare prò
me et meis heredibus tibi suprascripte Matilde tuis-
que heredibus omni tempore ab omni homine pro-
mitto . Sin autem hujusmodi res deinceps ego uel
mei heredes quolibet modo aliqua de causa quocun-
que in tempore aduersum te uel aduersum tuos here-
des agere uel causare aut aliquam molestiam inferre
presumpsero aut agenti consensum prebere aut istam
cartam rumpere aut frangere quesiero et predicta
omnia firmiter obseruare noluero tunc pene nomine
libras quatuorcentas auri oblimi dare tibi et tuis
heredibus promitto et postmodum hoc instrumentum
simplex donationis dominii et proprietatem jure sem-
per intactam et incoruptam tenere spondeo.
Actum juxta flumen Rheni et hospitale in loco
qui dicitur Toresella indicione suprascripta nona pre-
dicta . Smilo Comes hoc instrumentum simplex do-
nationis dominii et proprietatis jure ut superius ro-
gatus fieri.
Signum manuum suprascripti Comitis . Signum
— IvS —
>^ crucis locit W.inwriusjiidcx . kulandus do Tlicuzo
de Carbone. L>.ìnibi'rttis cJusiJiciis. Ul;o macagnanus
inuestitor hiijus rei. Bernardus lìlius Rolandi de Car-
bone. Roli^indus frater ejus . |lenricus itemquc Hen-
rici N'cnotie . Gotifredus filius Rodullì . Grimaldus lil
Alberti de Gotifredo . Sigcfredus filius Segnoreti . Ti
baldus fil. Ugoni Ansaldi . Federicus lil. Alberti
Raynerius de Muro . Ildcbrandus de Sigczo . Mala
copa . Guido .... de Pitreto . Petrus de Gaudio
Tegrimus de Rodulpho . Raymondus de Fauro . ist
omnes et alii plures interfueruut et rogati sunt tcstes
et in eorum presentia hoc instrumentum simplex do
nationis perfecte jurauit Smilo comes firmum et illi
batum atque iiic'orruptum in perpetuum tenere per
omnia nec uUo modo ucl ingenio aliquo supradictum
instrumentum obuiare et similiter jurauerunt cum eo
Raymondus de Theuzo . et Tegrimus de Rodulpho .
et Guido de Monte pastori . et Faurus . et Bernardus
de la Mola . et Vicecomes ejusdem castri . et Fauro
de Panigo ista omnia supradicta ipsum Comitem per
omnia obseruare nec contradicere sic deus eum adjuuat
et sancta Dei Euangelia.
Ego Bonandus tabellio in domini nomine hoc
instrumentum simplicis donationis iure dominii et
proprietatis cum debito juramenti ut superius firmaui
et subscripsi.
Angelus bis metris causidicus ista peregi.
Notarli signo subscribens more benigno.
- 159 —
XXVIII.
HIT; maggio, 15
Dum in Dei nomine, die Sabbati Idus
Madii, in loco Gubernulae, scilicet prope Eccle-
siam ..... gratia Quartus Romanorum Imperator
Augustus in juditio resideret ad justitias faciendas ac
deliberandas adessent cum eo Werneriiis Bononiensis^
Ubaldus de Carpenedia, Judices; Arduinus de Palude,
Opizio de Gunzaga, Sasso de Bibianello, Glrardus
de Plaza, Siefredus de Bondeno, Rolandus de Runco
Rolandi , Ratikerius de Gunzacha , Odo de Mala, et
reliqui quamplures. Ibi in illorum veniens presentia
VVibertus Prior de Curte Melara Sancti Salvatoris ,
una cum fratre suo Joanne Presbitero, cepit postulare
mercedem Deo ac Domno Imperatori piissimo, ut ipse
iustitiam faceret de tanta oppressione, quam de pre-
dicta Curte Melara Sancti Salvatoris a Ministris Co-
mitissae de Revere injuste paciebatur. Tunc Domnus
Imperator justitiae pacisque amator, ac omnium Ec-
clesiarum deffensor, misericordia motus, per Judicum
consilium, per lignum, quod in sua tenebat manu,
Bannum Imperiale super predictum Wibertum Prio-
rem, et super Curtem Melaram, et super omnes res
et possessiones, piscationes, venationes, et super omnia
bona et jura, que prefata Ecclesia Sancti Salvatoris
in Curte Melara, vel extra Curtem tunc habebat, vel
I ( H )
in amen I)C() propitio adquisitura crat Icgiiinie: sci-
licct, ut nullus Patriarcha, Archicpiscopus, Kpiscopus,
Dux, Marchio, Comes, Vicecomes, Gapitaneus, Vavas-
sor, Advocatus, Gastaldio, Villicus, Decanus, vcl aliqua
magna parvaque persona predictum priorcm, suosque
successores de prefata Curte Melara , vcl de Cella
Sancti Stephani, sino lettali juditio disvestire, mole-
stare, vel inquietare audcat. Qui vero infringere hoc
Preceptum temptaverit, sciat se compositurum cen-
tuni Libras auri, medietatcm Imperatoris Camere, et
medietatem predicto Priori Smcti Salvatoris, suisque
successoribus ejusdem Ecclesie Sancti Salvatoris et
Stephani de Melara servientibus.
Factum est'hoc Anno ab Incarnatione Domini
nostri Jesu Christi Millesimo Centesimo Decimo Se-
ptimo, Indictione MIII.
i I < Henricus Dei gratia Romanorum Imperator
Augustus.
^ Ego Werner ius Jiidex afTui et subscripsi.
^ Ego Ubaldus Judex interfui et subscripsi.
>5< Ego Obertus Domni Henrici Imperatoris iudex
interfui, et per ejusdem Imperatoris preceptum hanc
notitiam scripsi.
XXIX.
HIT; dicembre, IS
In nomine domini anno dominice incarnacionis
millesimo centesimo septimo decimo, regnante- enrico
— i6i —
quinto filius enrici imperatoris, pridie Idus decembris,
indicti'one decima. Petimus a oobis matilda religiosa
monacha et preposita monasterii beate Cristine uirginis
qui vocatur in pasteno Uti nobis petro guidoni nec
non iohanni germanis filiis martini tabellionis no-
strisque heredibus usque in terciam generacionem li-
bellum enfiteotecario nomine iure A presenti die
nobis concedere dignetis rem iuris ptedicti monasterii
idest in loco qui uocatur offagnano pecia una terre
uineata et aratoria cum introitu et exitu suo usque-
in uia publica et cum omnia super se et infra se
habentem in integrum finis eius ab uno latere terra
sancii petri ulzanensi perticas treinta et septem et
pedes septem, alio latere similiter perticas treinta et
septem et pedes septem et terra sancte Cristine, ab
uno capite de super uia publica perticas tres et pedes
novem, alio capite riuus percurrens perticas quattuor
et si quis aliis adfines sunt. omnia qualiter supra le-
gitur a presenti die do et concedo ego prenominata
matilda vobis predictis petitoribus uestrisque heredi-
bus ad abendum tenendum et poisidendum et facien-
dum quicquid uobis placuerit excepto heredibus bo-
nifacii et illorum seruis non dandi a salua iusticia
dominica persoluendum , et post completas hereditas
uestras qui supra petitorum calciarios dandum enfi-
teosin in hoc ordine renouetur. Ita tamen ut exinde
inferi debeatis uos predicti petitores uestrique heredes
nobis qui supra dominicionis nostrisque successoribus
per unumquenque annum denarios duo uenecie pen-
— \Cy2 —
sionis nomine sinc amisccrc tantum ut ilictum est
pensio persoliiatur. et ego prcnoniin.it;i Jouiiun liane
cartam sicut supra legitur omni tcni[iorc ab nmni
homine defensare et auctoiizarc prò me meisquc suc-
cessoribus uobis prcdictis petitoribus ucstrisquc here-
dibus p.romitto. Si qua vero pars que centra hanc
cartam enfìteosin sicut supra legitur ire tentauerit et
non conseruauerit bec omnia sicut supra legitur al-
teri parti pene nomine dccem solidos lucenses dare
promittit. et post pcnam solutam bec carta sicut supra
legitur firma permanead. Actum iusta ecclesiam san-
cte Cristine indictione predicta.
Predicti enpfyteotecarii hanc aparam scribere ro-
ga uerunt.
Testis Ugo clericus gerardi presbiteri martini et
gerardus lanzi et petrus columbe et albertus bande
et albertus rofredi isti rogati sunt testes
fantinus causidicus et tabellio subscripsi.
XXX.
1118; maggio, 3
^ In nomine sancte et indiuidue trinitatis. Anno
domini millesimo centesimo octauo decimo Impe-
rante henrico quarto anno octavo, quinto nonas mai,
Indictione undecima. Ego quidem dominus sigizo de
alberico prò dei omnipotentis timore et prò meo-
rum peccatorum remissione hoc donacionis Inter
uiuos instrumento in presentiarum dono et huiusmodi
- i63 -
rem .... confestim trado in honorem dei et ecclesie san-
cii stephani et domini Widonis dei clementia eiusdem
ecclesie abbatis et suorum omnium fratrum et eorum
successorum in perpetuum omnem meam porcionem
molendini qui est in flune sabine . et omnium etiam
que ad ipsum molendinum pertinent atque (. . . 1 . . .)
et terre et eluse et capanne tam ex illa parte predicti
tiuminis quam ex ista omne (jus) omnemque actio-
nem omnium rerum et possessionum quas in preno-
minato loco quolibet modo huc usque (cuiu)uscumque
rei nomine in presenti ut predixi dono, ut tamen hec
a me uobis in honorem predicti . . . . i nec a te do-
mino abbate uel a uestris confratribus aut successo-
ribus uendantur uel in feudum alicui dentur aut a
quocumque alienentur sed semper ad utilitatem et
commodum uestrum uestrorum successorum deinde
permaneant ad habendum tenendum ac possidendum
et ad uestrum comune lucrum atque honorem et
uictum prout uolue ueritis retinendum.
Vt nullam litem nullamque controversiam predictarum
rerum nomine a me uel a meis heredibus quolibet
modo aliquo in tempore uos uel uestri successores
exinde sustineatis. Ab omni quoque hominem predicta
legittime defendere et auctorizare semper uobis et
uestris successoribus promitto. Et si ego uel mei he-
redes ex bis rebus predictis aliquando qualibet ex
causa agere aut litigare presumpsero aut si legittimam
defensionem uobis contra agentem non exhibuero
pene nomine decem libras denariorum lucensium dare
— I(.} —
uobis et uestris successori luis prumitto. et insù por
hoc donacionis instrumentum in su;\ Inniitate sempor
incorruptum tenere spondeo iiclnni in domo prediali
donatoris. Indictionc predicta.
si{^izo hoc donacionis intcr uiuos in-
strumentum ut supra legitur scribere rogauit.
•j- et clicha uxor iam dicti donatoris hoc omnia
predicta laudauit.
•j- Rambertus de geremia . et albertus manzo, et
Ugo index de ansaldo . investitore et raimiindus de
alc^in . . catisiJicus . et pctrus de alberto . et gini-
baldus de boxo . et bonus iohannes de petro ....
monio. et henricus fìlius petri de fuscerado. et alericus
filius bonifilii r et ugo de iohanne de il . . . bonus
fantinus de gotelinda rogati sunt testes.
-|- Angelus his metris causidicus ista peregi.
Notarii signo subscribcns robore summo.
(A TERGO! Carta de molendino quam fecit do-
mnus sigizo cum clicha uxore sua.
XXXI.
1118; giugno, SI
In nomine Domini Dei eterni. Henricus Dei gra-
tia Romanorum Imperator Augustus, Imperiali cle-
mentia precibus Tcuzi venerabilis Presbyteri com-
motus, Preceptum , quod appellant Bannum, emisit
super domo venerabili, hoc est, Ospitali, que constru-
cta est juxta Renum in Curte Marchionis, ut in omni-
— i(>5 —
bus rebus, quas Comitisse Matildis eidem venerabili
domui largita erat . vel in futurum ei possint adquiri,
ab omni injuria permaneant inlesa atque inviolata.
Nec vero quisquam hominum pubblicarum factionum
exactorum aliquod ab ea petere vel percipere audeat,
nisi illi Imperator ipse nominatim jubeat. Quod si
qua forte persona publica seu privata contra presentii
tenorem aliquod injuriae jam dictae Domui intulerit,
vel aliquid ab ea publice functionis nomine tentaverit
exigere, centum Librarum auri optimi pene sit obno-
xius, cuius dimidium quidem nostris scriniis, dimi-
dium vero jam diete venerabili domui persolvat.
Actum in loco Bonbiano, Anno ab Incarnatione
Domini nostri Jesu Christi Millesimo Centesimo Octavo
Decimo, XI. Kalendas Julii, Indictione XI. feliciter.
Interfuerunt testes Corvolus de Ferignano, et Serafi-
nellus filius ejus, et Ugizone filio Raineri, et Ubertus
de Bibiano, et Ubertinus nepos ejus, et Ubertinus de
Siviliana, et Brunettus, et Jocus de eodem loco, et
Melus de Castilione, et Sasolo, et Gislizone de Gato ,
et alii quamplures ibi interfuerunt.
H
Ego Gerneriiis Index aflui et subscripsi.
Ego Girardus Judex et Notarius interfui , et per
jussione suprascripti Henrici Imperatoris, qui istum
singnum Crucis fecit, scripsi.
— 1(»()
XWII
11S3; maggio, S
>^ In nomine domini nostri ihu xpi. Onines ces-
siones et securitates solo nerbo mnnere possunt set
ob hoc necesse est scripture uinculo annotari ne cur-
ricula temporum obliuioni manJantur et lites genc-
rcntur. Ea enim quc bono animo ac spontanea uolun-
tate in refraga hi li ter promittuntur inuiolabili uinculo
obseruentur. Et ideo constai nos eiuidem in dei no-
mine donnus ragimundus archipresbitcr de plebe san-
cii iohannis in persecela una per conscilium et con-
scnsum nostrorum maiorum fratrum canonicorum;
libi presenti in xpi nomine donno paulo uiro uene-
rabili abbati de monasterio sanctit dei gehilricis uir-
ginis marie quiu uocatur in stratha; concedo et per-
millo ordinare ecclesiam sancte marie de castro bagno
cum canonicis tantum; scilicet cum presbiieris et aliis
clericis; ad seruiendum deo et spiritaliter gubernan-
dum populum in sacrificiis et orationibus et docu-
menlis. Et eo modo hac ordinatione facta supradicti
canonici ad me ante iandiclum archipresbiterum de-
currere debeant et nomina sua el notiliam eorum
manifestare, et in cunctis supradictis causis auclori-
latem noslram recipere: et deinde omnia bona opera
ut supra dictum est operare. El ila omnes ordinatio-
nes predictas; libi supradicio donno paulo uiro uene-
— 107 -
rabili abbati ordinare permitto et concedo ut supra
dictum est. Excepta Illa obedientia quam modo ego
predicto ragimundus archipresbiter in me retineo et
obseruo. quem honorem et hobedientiam habeo ex
ceteris aliis nostris cappellis que sunt in plebe nostra.
Et nulla alia controuersia annuente deo inter nos et
uos ullo modo fiat. Et ab hodiherna die in antea
nunquam liceat mihi supradicto ragimundo archipre-
sbitero. neque meis successoribus ullo unquam in
tempore exinde facere questionem repetitionem uel
interpellationem ullamque molestiam generare contro
te iandictum donnum paulum abbatem; neque contro
tuos successores: neque per me neque per meos fratres
et successores; neque per summissam uel summitten-
dam a nobis personam ; maioris uel minoris propinqui
uel exteri. sed omni tempore securus et quietus exinde
maneas cum tuis successoribus in perpetuum ut supe-
rius declaratum est . sub promissione et obseruatione
pene decem librarum denariorum lucensium. Et invi-
cem supradictus donnus paulus abbas eandem penam
. X . librarum ragimundo archipresbitero promlsit si
soluere et obedire non fecerit iandictum honerem et
obedientiam ut supra relatum est. Et a qualicumque
parte soluta pena maneat hec conuentio semper firma.
Et rogauerunt supradictus regimundus et donnus
paulus abbas omnes ibi adstantes huius rei esse testes.
Quorum nomina sunt ha;c. idest henricus de sala,
henricus de sasocclo, rolandus nepos eius, presbiter
iohannes de genariculo et presbiter raginbertus de
casalini et plures alii.
— i()8 —
Et ef^o girardus caiisidicus et tabcllius conscnsii
et uoluntate supradicturum conuenicntium scripsi hoc,
qualiter nctum et conuentum fiiit in preJicta iiilla
casalini, amu) dominice incarnatioiiis . ni . e . xxm .
regnante enrico lìlius coiuiam henrici, die secundo
ingrediente mense madii, indictione xv.
XXXIII.
11S4; giugno, 13
f In nomine dei et saluatoris nostri ihu x. Anno
ab incarnatione eiusdom millesimo centesimo uigesimo
quarto tertio henrico imperante anno quarto decimo
dus iunii indictione secunda. Quisquis in san-
ctis ac uenerabilibus locis de suis inpendit rebus sciat
se in hoc seculo mercedem accepturo et centuplum
in futuro. Ideo in dei nomine ego gotefredus filius
quondam rolandi habitator in loco qui uocatur cani-
tulo irado et olTero uobis domnus paulus ucnerabili
abbati monasterii sancte marie in stratha et domni
manfredi priori de predicto monasterio acceptores
uice ecclesie prescripte sancte marie uestrisque con-
fratribus, ac successoribus iure proprictatis im perpe-
tuum possidendum. Idest omnibus rebus (territoriis
cancellato) et possessionibus et terris et uineis et
boscuis p {sic) seu pratis et actionibus quibus nunc
habeo uel detinere uisus sum in curie canitulo uel in
aliis locis rebus immobilibus quibus mihi pertinet
— Hh) —
sicut supra dictum est . cum ingressibus et egressibus
suis usque in uia publica uel cum omnibus supra se
et infra se habentem in integium. Omnia quae supe-
rius legitur ego prescriptus gotefredus trado et ollero
uobis prescripto domno paulo abbati et domno man-
fredo priori acceptores uice prescripte ecclesie sancte
mari» uestrisque confratribus ac succcssoribus prò
animae meae patris ac matris et aliorum parento-
rum meorum. Quatenus nec ego prescriptus nec meos
heredes deinceps in perpetuum contro uos prescriptos
uel cecclesiam ullam molestiationem aut causationem
uel litem aliquo in tempore quolibet modo qualibet
ratione mouebimus uel faciemus aut agentibus consen-
tiemus. Set ab omni homine auctorizare et defendere
perpetuum promitto. Alioquin si agere aut causare
presumpserimus aut agentibus consenserimus et haec
omnia predicta non obseruauerimus tunc pene no-
mine lucensis monete libras decem prò me meique
heredes uobis iam dictis uestrisque successoribus dare
promitto. Et post penam solutam hanc cartulam tradi-
tionis et oflersionis sicut superius legitur in sua maneat
firmitatem. Lectum in predicto monasterio libenter.
Signa manuum -|- prescripti gotefredi qui hanc
cartulam offersionis et traditionis sicut superius le-
gitur scribere rogauit.
Signa manuum \ albertus caiisidicus de canitulo -|-
dominicus [pjilus lupi -\- iohannes castaldius ~\- et an-
drea eius filius . -|- stephanus agnello rogati sunt testes.
f In dei nomine ego -j- albertus christi misericor-
dia tabellio scripsi.
— i7«) —
XXXIV.
1125; dicembre IO
In nomine sanctc et individue trinitatis. Mille-
simo centesimo vicesimo quinto, decimo die innante
mense decembris, indictione torcia. Duin controversia
movcrctiir inter domnuiii Ilenricum venerabilem dei
gratia abbatem monasteri i sancti Benedicti in Larione
ex una parte, et domnum Ambrosium dei gratia mo-
nasterii sancti Zenonis de Verona abbatem ex alia
prò suo monasterio, videlicet de confinibus curtis (>a-
salis et finibus Nocetuli , et similiter de iure pascu-
landi, pavolandi^ buscandi, venandi, piscandi, inci-
dendi, indandandi et de iure prò omnibus iamdicti
monasterii utilitatibus intrandi, in Valarsa scilicet et
Folletto et Carpineta nemoribus et in corum locis
ipsis adiacentibus sive paludibus terris cultis et incul-
tis; de quibus dicebat predictus abbas Ambrosius et
conquerebatur , tam de finibus, quam de iure utendi
in predictis nemoribus, sicut supra legitur, quod abbas
iamdicti monasterii sancti Benedicti et sui homines
id sunt de Casale et Septigenti et Libiola, non debe-
bant uti predicti nemoribus et locis, pratis, paludibus
et aliis terris, scicut dicebat, et quod curtis Casalis et
Nocetuli non habet tales confines, quales dicebat ha-
bere; e contra dicendo asserebat ipse Henricus vene-
rabilis abbas, quod ipse et sui homines de Casale et
Septigenti et Libiola debebant uti predictis locis,
idest nemoribus, paludibus, pratis et aliis terris , ut
supra legitur, sine aliqua molestacione et exactione ;
ad hoc dicebat, quod predicte terre sue, scilicet de Ca-
sali et Septigenti, tales confines debebant habere,
quales ipse dicebat; et addebat, quod non erat in
memoria hominum, immo hominum excedebat me-
moriam, quanto tempore ipse abbas prò monasterio
sancti Benedicti et sui homines de Casali et Septin-
genti et Libiola sine querimonia possederant omnia
supradicta, ut superius legitur; placuit atque convenit
inter eos ex pacto post multam illius controversie di-
scussionem et ventilationem prò bono pacis et quiete
ad conservandam antiquam amioitiam inter eos et
eorum monasteria, ut predicta causa videlicet et con-
troversia committeretur duobus communibus amicis,
scilicet domno Abberto de Casale alto iudici Man-
tuano ex parte monastetii sancti Benedicti, et domno
Widoni Butello iudici Veronensi ex altera parte , ad
cognoscendam, terminandam, fine debito decidendam
sine remedio appellacionis et excusationis, quia sic inter
eos pactum fuit. Ante quos iudices dum sepe et se-
pius per voluntatem utriusque partis predicta causa
et controversia agitaretur, amicis tam laicis, quam
clericis utriusque partis bis volentibus et clamanti-
bus, videlicet istis iudicibus adstantibus prò monaste-
rio sancti Benedicti et placitantibus domno Warnerio
et Raimundo iudicibus Bononiensibus et domno iudici
Armanno Parmensi, ex parte vero sancti Zenonis de
Verona Benenato et Johanne de Merlaria et Henrico
de Curline iuJicibus, au<Jitis racionibiis et visis pri-
vilogiis et proJuctionibus utiius partis racionabiliter,
et niultis testibus ex parte moiiastcrii beati Bencdicti
bine inde productis et intellectis, piedicti amici et
arbitri iudices talem protulcruiit sentcntiam Nos in
dei nomine Abbertus de Casale alto et Wide liutallus
iudices et cognitores litis et cognitores litis et con-
troversie, que intcr doninuni lljiiricum ab!)atem mo-
nasterii sancti Benedicti vertitur ex una parte prò
suo monastcrio, et domnum Ambrosium abbatem san-
cti Zenonis de Verona ex altera, auditis et cognitis
racionibus utriusque partis, habito sapientum consci-
lio, ex magna deliberatione domnum llenricum pre-
dictum abbatem 'memorati monasterii, agentem prò
suo monasterio et suis hominibus de Casali et Se-
ptingenti atque Libiola, absolvimus a petitionibus
domni Ambrosii abbatis monasterii sancti Zenonis,
prò suo monasterio agentis , dicentes, quod ipse do-
mnus predictus Henricus abbas et sui homines de
Casale et Septingenli et Libiola, qui prò tempore
fuerint, debent uti, frui et habere iamdictam consue-
tudinem atque usum cum animalibus suis pascendi ,
pavolandi, piscandi, venandi , incidendi, indandandi
et uti atque frui predictis locis, nemoribus, terris
cultis et incultis eis adiacentibus, ut supra legitur.
Preterea in concordia utriusque par tis predicta loca,
Casalem videlicet et Nocetuljm, ita determinamus
et eis terris tales positos per sententiam confirma-
mus confines: versus mane, unde sol oritur, vide-
— '73 —
licer Valarsam et PoUettum, in qua parte propter
terminos orta est discordia inter eos, isti sunt ter-
mini, sicut fossatus lacus exit de Fissato, et sicut
Brazolus exit de fossato lacu, et vadit per drictum
usque ad portam Folletti, et sicut deinde vadit ad
Arzenem de Finalis per drictum usque in Gorbolum
et deinde usque in Agriciam. Quam sententiam in
concordiam datam utriusque partis et amicabilem
compositionem utraque pars per voluntatem et con-
sensum sue partis tam monachorum quam clericorum
ibidem existentium per se et suos successores obser-
vare in perpetuum promisit cum stipulatione subnixa,
sub pena centum librarum bonorum denariorum Pa-
piensium , qua solluta hec sententia inperpetuum in-
violabiliter in sua permaneat firmitate. Actum in castro
Casali Barbetti Feliciter. Huius rei testes rogati fuerunt
Wide de Bona, Opizo de Constantino, Albertus de
Bona Consa, Americus de Bucco de Surico et Lanzo
atque Manfredus fratres, et alii quam plures rogati
sunt testes qui ut supra.
Ego Anselmus notarius his interfui et scripsi.
XXXV.
11S7; luglio, 4
>J( In nomine sancte et Indiuidue trinitatis. Anno
ab Incarnatione domini nostri Ihu xpi . Millesimo .
Centesimo . Vigesimo . septimo temporibus dominus
— '7f —
honorius p;ipe dio quarto mcnsis lulii . Indictionc
quinta . Va ideo oj^o quidcni In dei nomine Allior-
tus lìlius cuiusdiim raincri qui uocatur de prando de
castro sassilioni ut per hanc cartam donationis atque
conccssionis dono et concedo uobis Vgo atque albcrtus
nec non Ildebrandus et rainerius et gislardus filiis meis
uel a uestris filiis. In perpetuis temporibus possidcn-
duni , meis siue de proprio uel de condiditias quod
ego babeo et teneo quod michi pertinet uel pertinere
potest per uUum modum uel Ingcnium uel quod
In antea aquirere potuero, casis, terris, uineis, (ca)sta-
nietis ac bosco, aquis, ripis, rupinis, usis aquarum,
fontibus, cultum, Incultum uel asoriptatum sine feudo
uel per quocumqtie modum uel Ingenium ubicum-
que mihi pertinet Infra toto iarn dicto castro sassi-
lioni siue extra castro de meo Iure ubi invenire
potueritis Infra totam plebem sancte marie que uoca-
tur In gipso. et tedericus filius quondam zanito de
bibano predictam medietatem per mea data licentia
prenominata medietatem uobis corporaliter tra-dat
atque Inuestiat ut post meum dicepsum habeant
et teneant predictam medietatem et Illorum heredibus
In perpetuum sub tali conditione ut quicumque de
uobis predictis filiis meis scilicet rainerius et Vgo
atque albertus nec non Ildebrandus et gislardus . sine
filiis legitimi decesserit suam portionem reuertat a
predictis filiis meis quibus superius legitur ex Inde
habeant et teneant et Illorum heredibus In perpetuum
sine omni contradictione mea uel heredum meorum.
et quicumque de aliis filiis meis irrumpere uoluerit
quod superius legitur tunc tìat sub pena a supradi-
ctis filiis meis dare nomine pene In argentum dena-
riis lucensis sollidos quadraginta et post penam so-
lutam sicut superius legitur omni tempore in sua
maneat firmitatem . Hactum ante castrum gena, et
Indictione predicta quinta.
-|- Signum nomen predicto Alberto donatore sicut
superius legitur In hanc cartam donationis atque con-
cessionis coram testibus scribere rogauit.
Egomet ragimiindus legis lator manus meas sub-
scripsi.
■ | - | - l ' l - l - i ' | - Signum nomina testium hec sunt. Vgo
presbiter filius cuiusdam girardi de gaibano nec non
raimundiis causidicus de gena, et rolandus nepus eius
filius alberti. petrus filius quondam Ioannis bono.
atque albertus filius teutio. petrus filius cuiusdam lam-
berti de gena, et predicto tedericus Inuestitore filius
quondam zanito de bibano quibus In hanc cartam
donationis atque concessionis rogatis testibus.
^ Ego teutius notarius de castro gena sicut su-
perius legitur Ita scripsi et compleui.
XXXVI.
1130; aprile 13
In nomine domini amen Anno ab incarnatione
eius millesimo centesimo, die terciodecimo mensis
aprilis, Indicione octava dum domnus Gualterius
- 170 -
vonor.ibilis archiepiscopus sanctc ravciiiiaiis aecclc-
siac proptcr t;ucrram et liicm maximani quc (.-rat
intor populuni ravuiiiic ot populum bolouienscm , et
ideo clerici et laici bolonieiises non audebant secure
venire ravennani, asendisset ad locum sancti iobannis
qui dicitur in persecela, ut secundum institucionem
et morcm anliquissimum prefate ravennatis aeccle-
siae heinricum clcctum boloniensem consecraret ,
cumque iam ad examinationcm prcdictus domnus
gualtcrius archiepiscopus solempniter indutus cum
episcopis suis ( dodone sed...) dodone vidclicet mu-
tinensi, lacobo faventino. Bcnnone cornclicnsi , Te-
tro ficoclensi, presbiteris vero ravennatis accclesie car-
dinalibus scilicet iohanne de carda tituli sancte ma-
rie majoris, Leone tituli sancte agathe, Petro tituli
sancti michaelis, Guidone etiam archidiacono eiu-
sdem sancte ravennatis aecclesiae, RoduUb diacono
et Azone diaconis cardinalibus, Belitto, Rambertino,
Tusco subdiaconis, heinrico, Alberto, presbitero iohan-
ne, Rainulfo cantoribus. Peregrino atque Verardo ho-
stiariis eiusdem ravennatis aecclesiae, Iohanne quoque
venerabili priori portuensis canonice, cum gerardo
diacono canonico et petro et iohanne de azone con-
verso eiusdem canonice, abbate quoque Ildebrando
nantulano, presbitero alberto et Ugolino clericis ùx-
ventinis, et guidone presbitero corneliensi, odone
diacono ficoclensi; Presentibus etiam Lamberto ar-
chipresbitero atque rodaldo archidiacono boloniensis
aecclesiae, heinrico de sala, Attone diacono et Mar-
— 177 -
tino diacono presbitero catanio et Gerardo et rai-
nerio et Guidone rainerii. Angelo -canonico bolo-
niensis aecclesiae, raimundo archipresbitero eiusdem
plebis in perseceta cum clericis suis. Petro priore
canonica sancti victoris; presentibus quoque Gri-
maldo, perticone, Cavalcabove , bualello filio ram-
berti de geremia, Guezolo de bangarola. Guiscardo,
Scuguzaparte, Alberto maistro de sancto marino, et
/ìlio micariani cum miiltis aliis laicis boloniensibiis .
Alberto etiam de sala, falsabrina, Matheo, Odelrico,
Alberto de bonifacio cataneis mutinensibus. In isto-
rum omnium presentia dum prefaius electus heinri-
cus secundum ordinem canonice examinaretur, mota
est questio ex parte boloniensium ut electus eorum
consecraretur condicionaliter, salva justicia bolonien-
sis aecclesie. Adversus quos domnus gualterius archie-
piscopus cum prefatis episcopis et clericis suis con-
stanter respondit, se numquam eum consecraturum
aliter nisi sicut predecesores sui archiepiscopi conse-
craverant predecessores illius electi , sub omnimodae
obedientia ravennatis aecclesie. postquam autem causa
iam satis esset ventilata et veritate cognita quod epi-
scopatus boloniensis perpetui iuris esset sancte raven-
natis aecclesiae. Atestante etiam gerardo cardinali san-
cte romane aecclesiae tituli sancte crucis que altero
nomine ierusalem apellatur, qui ibi presentialiter ade-
rat, quod episcopatus boloniensis perpetui iuris esset
sancte ravennatis aecclesiae, et bolonienses nichil por
se rationis habcrent adversus ravcnnatem aecclesiam
- .78 -
nis quod scmpor ilcbere hobcdire cum episcopo suo,
sicu m;itii suo, mctiopol itane aecclesiae, sedata est
contentio tota, et ita, divina cooperante i;ratia, pre-
fatus enricus clectus boioniensis consccratus est in
episcopum sub perpetLia et omninioda hobedientia
atque subiectione ravennati aecclesiae.
Ego vero bi.iniicus faventinus notarius dum in
hiis omnibus intcr se sicut vidi et audivi sicque com-
pievi et propria manus ad perpetuam noticiam scripsi.
XXXVII.
,1257;
In Illius Nomine ihc xpi qui carnem incorru-
ptam suscepit ex Vtero virginali.
hic est liber nominatus Register et In se conti-
nens privilegia et etiam instrumenta lus aliquod con-
linentia vel honorem seu lurisdictionem ad commune
bononie pertinentem conpillatus et conpositus secun-
dum formam statuti populi et communis bononie.
ex diversis contractibus et scripturis Inventis in libris
contracluum communis bononie et In aliis tam pu-
blicis quam privatis Sic ut Infra per ordinem ut est
possibile reperitur. per dominum lanbertinum domini
mulnaroli , dominum Guizardinum domini buvalelli
ludicis, dominum albertucium de sabbatinis, domi-
num tomaxinum de aposa Milites. Restaurum , ber-
— 179 —
nardinum de stiiglalico. lohannem de fantalociis no-
tarios et officiales per populum et commune bononie
ellectos tempore bonacurxij de surrixio potestatis gre-
gorii frigidi capitanei populi, et sub anno domini mil-
lesimo ducentesimo quinquagesimo septimo Indictione
quintadecima [ritbr.]. In primis de civitate bononia
per imperatorem theodoxium constructam et ordina
tam ad scientias In facultate qualibet instituendas et
de districtu ipsius civitatis confinate per eundem.
tenor cuiusdam privilegii , Sic incipientis.
theodoxius dei gratia romanorum Imperator semper
augustus. In imperium conslitutus a theodoxio suo
patruo, Qui per potentiam imperium acquisivit. gotho-
rum ardeque libie et Asyrie atque parthie et India-
rum et tarsie dux et princeps et persie et babilonie
magne et egipti et macedonie Cumunie Vlachie et
rusie herminie etphyopie Sclavanie et affrice et Sicilie
rex . omnibus studentibus et studere uolentibus in ci-
vitate bononie Salutem et scientiarum felici gloria
mundum omni tempore gubernare.
Nostre maiestatis clementia philosophorum ac poe-
tarum omniumque facultatum et liberalium arcium
errando dellentium per diuersa eorum preceps humi-
limas decreuimus exaudire quocumqua parte nostri
imperii civitatem aptam studio construere debeamus.
in qua philosophy et poete et periti legum et omnium
liberalium arcium et facultatum omnium scholaribus
scientias affectantibus debeant liquido promulgari.
Cum ingenti studio doetrinam studentibus tribucndo.
— 1 S( ) —
X'inle et nobis pienissima clclibcrationc habita per spa-
cium. XXV. mensiiim ab iisdom philosophis ac poctis
et peritis ciuitatem bononic quc in qundriuio quatiior
prouinciarum pcrmanet Scilicet ligurie seu lombardie
marchie veronensis romaniole et tuscie ad percmpne
studium ordinamus . quam ab hodicrna die in antea
nostrorum secretoruir. armarium leputamus. Ad hec
autem peragenda et firmanda in romana vrbe in con-
cilio siquidem generali omniumque christianorum
regibus conuocatis omniumque prelatorum ecclesie
existentium per summum pontificem C. super stutiium
et sludentibus Specialiter ciuitatis bononie memo-
ratum per papales litteras christianis omnibus amo-
nitis confirmamQs quod incorrumptum et inuiolatum
Semper in ipsa ciuitate bononie debeai permanere.
Cum constitutionibus studii et studentibus infrascri-
ptis ciuitatis eiusdem lectis et approbatis in concilio
memorato in romana nostra excellentissima ciuitate .
die nono Intrante madio. nostra autem imperialis
maiestas discedens a ciuitate romana et dirigens gressus
nostros usque in ciuitatem bononie Supradictam quam
die prima Junij intrantis nostris propriis mauibus
omniumque Scientiarum reheediuicauimus premuni-
tam muris etiam uallidis circumdatam cum muni-
tionibus turrium et uallorum vsque ad secundum
diem Julij secuturi perfecimus et eflectui fecimus
predicia omnia demandari . et vt prediximus statuen-
tes. Si quis autem causidicus siue iudex sententiam ali-
quam tulerit nisi in nostra ciuitate bononie supradi-
— i8i —
età per quinquennium studuerit ipsamque sententiam
uel sententias anichilamus et irritamus et volumus
esse nullam et nullius momenti etiam uel ualoris et
si quis ad magistratus dignitatem peruenerit et li-
brum ab archidiacono maioris ecclesie non susce-
perit magistralem quamquam a peritis cuiuslibet fa-
cultatis fuerit approbatus ab ipsa dignitate et dominio
priuamus. et quoJ si quis scholarem aliquem in terra
uel aqua offenderit ad studium ueniendo seu redeundo
a studio modo aliquo uel ingenio in persona uel
rebus capite puniatur a presule ciuitatis uel castri
uel uille uel curie aut loci ubi deliquerit malefactor.
quod si presul uel dominus vel potestas aliquorum
predictorum locorum facere desierit penam eandem
patiatur omnino etc.
Ciuitati autem ustre bononie In districtu eius
uolumus prouidere . sicut ab orientali parte currit
sanubium siue sensum de alpibus niuosis in uallibus
padi et in ipsa aqua padi . et sicut a meridionali
parte hec protenduntur usqu ad alpes Scalarum . et
Sicut ab occidentali parte currit leo de alpibus in
scoltenam . et Sicut scoltena seu panarium defluit in
padum et Sicut a setentrionali parte uel ab aquilone
parte decurrit padum usque ad badalenum precipi-
mus et uolumus et lubemus de districtu bononie per-
manere . hoc saluo quod si ferrariola que de du-
catu conmaclenensi consistit . ultra padum pertransire
uoluerit eis hinc ad duos annos proximos perempto-
rie liceat pertransire . et civitatem (pertransire c.m-
— iSi —
cclLilo) hedilìcaro It.i tamcn quod in ips;i ;iqu;i p:uli
non liceat eis aliquod hedifficium lapidcum attontnrc
Si solum iter prebcat securimi por aquas padi et in
uallis earumdem sinc aliqua dationc niuncris cunti-
bus omnibus et redountibus per civitatem et loca
predieta omni tempore ob rcuerentiam crucifissi . et
propter imperii celsiludinem cognoscendam ad qiiem
pertinet redditus padi fluminis et aquarum et lioc ad
postulationem nostri summi pontificis ccllestini . alio-
quin sub iurisdictione proiectione rectoris et comunis
bononie debeat permanere.
firmiter statuentes ut nuUus rex princeps . dux
uel marchiocomes . nulla civitas nuUum comune .
nulla denique pGrsona secularis uel ecclesiastica alta
uel humilis dictam nostram ciuitatem bononie nec
suos ciues uel comitatinos nec aliquos alios qui Sub
eius protectione sint uel fuerint in aliquo et has no-
stras constitutiones predictas in rebus uel personis au-
deat perturbare nec modo aliquo molestare . quod
qui presumpserit in ultionem sue temeritatis libras
. X . mille auri purissimi prò pena componat quo-
ciescumque presumperit contrahire . dimidium impe-
riali camere, reliquum civitati bononie integre per-
soluatur et in munitione ciuitatis eiusdem penam
predictam uolumus deuenire ad cuius rei eternam in
posterum euidentiam presentem paginam conscribi
inde iussimus et Sigillum nostrum in pendenti fecimus
auri purissimi roborari.
- i83 —
XXXVIII.
13S1; ottobre, 7
Die Septimo, Mensis Ottubris.
Consilium populi et Masse populi Civitatis bo-
nonie fecit Nobilis et potens Miles dominus petrus
de la brancha de Eugubio honorabilis Gapitaneus
comtnunis et populi Civitatis bononie in pallatio novo
Communis eiusdem, voce preconum, sonoque cam-
pane more solito congregari. In quo quidem Consilio
interfuerunt ultra quam due parte Anzianorurn et
ConsuUum populi bononie dicti mensis. Et de ipsorum
voluntate et consensu dictus dominus Gapitaneus pro-
posuit Infrascripta . Super quibus consilium postu-
lavit.
In primis etc.
Gum viri etc.
Quia Senenses, ut acquirant honorem studi) civi-
tatis bononie et quem [bononienses] obtinuerunt ferra
Mille annis decursis cum magno honore et augmento
status bononiensis populi et communis, multam pe-
cuniam expendiderunt et expendant, et tam in do-
ctoribus quam aliis et credunt utile fore prò eorum
statu, et in diminutione tanti honoris habiti longis-
simo tempore per Gommune bononie, expedit ad
obuiandum predictis ut prouideatur Salubriter per
Gommune bononie, et inter alia necessarium est quod
- iS.} -
(.locloribus ci Icgcntibus in Iure C^anonico et (binili
et medicine artibus satislìat sic quod possint et velini
utìlitcr leperc et Satisfacere, scolaribus liic manere
volentibus. Idcircho vobis dominis Capitanco Anzia-
nis et Consullibus populi bononie Supplicant Reve-
rcnter Rectores Consiliari) et Vniuersitas schola riunì
luris canonici et (.iuillis, Medicine et Artium studi)
bononie quatenus vobis placeat in Consilio populi pro-
ponere et facere reformar i prò prefatis doctoribus
et l.egentibus de ipso labore provideatur et salisfiat
per Commune bononie ad uoluntatem consilii populi,
quod frater Gerardinus et frater Angelus de ordine
fratrum de Sancto Gregorio depositari) ipsius Commu-
nis ac eius mascari) (sic).
Cum Infra breve tempus debeat studium bononie
Inchoari, nec ad lecturam libri decretalium extraor-
dinarie lector forensis aliquis haberi possit ad pre-
sens, qui prò tam modico Salario sicut sibi fuerat
dcputatum ex reformatione facta de mense proxime
preterito, uelit uenire et legere, et multi sunt scolares
instantes ut ad lecturam ipsius libri de cererò aliquis
eligatur qui cupiunt ipsum librum audire, Vobis
dominis Capitaneo Anzianis et Consullibus populi bo-
nonie supplicant Rectores Vniuersitatis scolarium bo-
nonie quatenus uobis placeat in Consilio populi bo-
nonie proponi facere et firmari quod ipsi libere
possint eligere vnum doctorem Ciuem bononie prò
vno anno uel duobus proxime sequentibus ad lectu-
ram ipsius libri cum salario deputato doctori forensi
- i85 -
ex. ipsa Reformatione. Et quod frater Gerardinus et
frater Angelus de ordine fratrum de Sancto Gre-
gorio generales depositari) pecunie et Averis Gom-
munis bononie, qui nunc sunt, uel quiuis alius
qui prò tempore fuerit possit teneatur et debeat sine
sui preiudicio et grauamine de omni auere et pe-
cunia Gommunis bononie que est uel erit penes ipsum
doctori eligendo per eos dare et Soluere quantita-
tem in dieta Reformatione expressam. Scilicet Gen-
tum libras ben. quollibet anno. Et in omnibus et per
omnia seruetur in Giue, et reformctur quod reforma -
tum fuerat de forensi excluso quollibet nunc absente
a Giuitate bononie vel qui luerit ad standum senis.
Non obstantibus etc.
In xpi Nomine amen. Hec sunt provixiones fa-
cte per providum Sapientem et discretum Virum do-
minum Gregorium domini lohannis de Bixanello Ba-
rixellum Gommunis et populi Giuilatis bononie et
per consilium ipsius approbate per dominos Gapita-
neum Anzianos et Gonsulles presentis mensis ottu-
bris. Quarum tenor talis est.
die Septimo. Ottubris
In reformatione Guius Gonsilii et Masse populi
facto partito per dictum dominum Gapitaneum ad
scruptinium cum fabis albis et nigris datis homini-
bus in dicto Consilio existentibus per Bannitores Gom-
munis bononie Et postmodum Restitutis per eos fra-
— iSi") —
iribus hcremitanis orJinis Sancii l.icohi strato San-
cii lionati Kt connumeratis per duos ex liiciis Ira-
tribus in prcsoiuia allioium I''ratrum et dicti consilii.
IMocuit otc.
Ilem facto partito per dictum dominam Capita-
nciim Clini fahis albis et nigris mudo quo Supra.
Placuit ponentibus fabas albas qui fuLTunt Numero
Quingenti septuaginta quatuor quod Suprascripta po-
sta que Incipit, Gum infra brcuc tempus debeat Stu-
dium bononie Inchoari etc. Sit firma valleat et tc-
neat et efifectui demandetur, ut scripta est et lecta fuit
in presenti Consilio, dum tamen talis qui elligi debet
per dictos Rect04-es Vniuersitatis et Vniuersitatem, Sit
de parte Ecclesie et leremensium Civitatis bononie.
UH vero quibus predicta displicuerunt et fabas ni-
gras in contrarium posuerunt fuerunt Numero vi-
gintiquatuor.
ERCOLE GONZAGA
ALLO STUDIO DI BOLOGNA
ERCOLE GONZAGA
ALLO STUDIO DI BOLOGNA
I.
Opera dell'intera esistenza d'un letterato, ma
opera degna e gloriosa sarebbe la Storia dello Studio
di Bologna. Da essa emergerebbe la grande impor-
tanza che questa città ebbe sempre nello sviluppo
intellettuale e progressivo d'Italia, dallo scorcio del
sec. XI a tutt'oggi.
Certo, la ricerca dei documenti, che sono infi-
niti; la loro trascrizione; la necessità di render conto
degli avanzamenti graduali delle scienze e delle arti
rispetto alle condizioni politiche dei tempi; le parti-
colarità bibliografiche, e tutto insieme il lavoro enci-
clopedico , richiederebbero non solo « lungo studio e
grande amore », ma anche molti collaboratori.
Passerà quindi gran tempo , prima che ad onore
di Bologna sorga quest'opera universale che parli del
suo Studio, perchè sarà ben difficile trovare chi con-
sacri la vita e i danari per un ideale così alto.
Intanto, le memorie che quotidianamente si vanno
pubblicando sul nostro rinascimento contengono quasi
sempre notizie che riguardano allo Studio di Bologna.
I()0
NclV Archivio l'onclo (fase. 343) in un articolo
dal titolo: « Libri, scuole, maestri allo stuJio in Ve-
nezia nei secoli XIV e XVI, note di H. (leccliciii »
trovo i seguenti appunti.
Nel I3'>3, il celebre Plico di Prato, cardinale di
Ravenna, è autorizzato ad acquistare 12,000 ducati
d' iiiifrcstidi per rivolgerne il yro .7 « semper scolares
depiitandi » in un collegio che voleva fondare a Bo-
logna: « iiìinni Collegiiini scoLirium ad stiidcndiini ,
ut ejficiaiitiir probi )'/>/, sci I ice t de fdiis venetoruin ,
de Foroiulio , de Ravenna eie. »
Del 1340, ai 26 di settembre è ricordato un La-
dislao di Ungheria, scolaro che passava di Venezia
recandosi a Bologna.
Del 1343, ai 3 d'aprile, si riserva ad un Pietro
.Marangone pievano di S. Paterniano l'impiego di
notaio del Procnralor per due anni, durante i quali
va allo Studio di Bologna.
E a queste notizie, ne aggiungerò un'altra del
i36q. A maestro Michele ab abacho del quondam
Bindo Rodolfi già di Bologna, fu concesso privilegio
di cittadinanza in Venezia per 15 anni.
IL
Che Pietro Pomponazzi fosse stato dottore nello
Studio di Bologna e che fosse morto in questa città
si sapeva, ma non si sapeva che Ercole Gonzaga ri-
mase solo per lui al nostro Studio sino al giorno
— igi —
della morte di Pietro e che ne portò seco il cadavere
a Mantova.
Nel decimoterzo volume delle Memorie di Bolo-
gna antica del Ghiselli, manoscritte nella Biblioteca
dell'Università di Bologna, a pag. 454(2 maggio 1525)
si legge: « Oppresso da mal d'orina morì Pietro di
Giovanni Nicola Pomponaccio di Mantova, detto il
Peretto, Dottore di Filosofia e Lettor pubblico in
Bologna, in età di sessantaseite anni, e del cardi-
nale Ercole Gonzaga già suo discepolo fu fatto por-
tare il cadavero alla sua Patria et honorato d'una
ricca sepultura. Fu anche suo discepolo Gaspero Con-
tarino cardinale e Vittore Trencanella dottor famoso
e Giov. Lanzio in filosofia. »
Questa breve notizia , eh' io possedeva fra i miei
appunti di storia bolognese, non era ampliata da nes-
sun particolare d'altre cronache non poteva quindi
prendere né pure la forma di un articolo. Molte cro-
nache di Bologna finiscono con la signoria dei Ben-
tivoglio, distrutta da Giulio II. Altre cominciano sullo
scorcio del secolo XVI, e la cronaca Raniera ^ così
mozza com' è, dà la prima notizia soltanto al settem-
bre del 1535. Ben poco pertanto sappiamo degli anni
in cui Ercole si trovò a Bologna e poco sapremmo
di lui se Alessandro Luzio non avesse ora, in un suo
articolo, (i) stampate varie lettere di lui, d'Isabella
( I ) Ercole Gonzaga allo SlnJio di 'Oclogna. Estratto dal Giornale storico
della Letleralura italiana. .Anno IV, voi. Vili, fase. 24.
— I<)2 —
d' l£slc, di Vincenzo dei l'ioti, di l.azaro lùionaniici
e d'altri ancora , che conten^()no preziose notizie e
particolari relativi alla nicnioria succinta del Ghiselli.
MI.
Ercole venne a Bologna sui diecisette anni, manda-
tovi da sua madre consigliata a ciò dalla celebrità dello
Studio, dalla vicinanza di Bologna a Mantova e dalla
fama di Pietro Pomponazzi. A questi infatti ella lo rac-
comandò con una lettera che porta la data dell' 8 di-
cembre 1522. Tre giorni dopo Ercole arrivò a Bolo-
gna e fu onorato d'un degno ricevimento, di cui egli
stesso scrisse a Isabella: « Come ci aproximassimo a
Bologna circa 'otto miglia et più, vedessimo una
gran. ma cavalcata et avicinatosi l'una compagnia al-
l'altra ritrovai che era il R.do S. Pirro de Gonzaga
mio cusino con più de 60 cavalli de scolari tra man-
tuani et de altre nationi Cavalcato più inanti di
passo in passo ritrovavo ogn' hor grosse cavalcate et
de scolari et anche de infiniti gentilhomini bolo-
gnesi Il mio, da me molto amato, M.ro Petro
Pomponazo con bon numero de virtuosi soi pari, lui
anchor un gran pezo fori de la terra mi venne in-
contro. Arivai con cossi bella et honorata compagnia
de homini da bene, che certo erano più de 200 ca-
valli, in Bologna circa le 23 bore, dove si vedevano
al possibile pieni li portici et le strate di homini et
di donne tutte le finestre. »
Gli scolari d" allora, in certi desideri, non erano
— i()3 —
gran fatto differenti da quelli d'oggi. L'arrivo d'Er-
cole Gonzaga doveva essere una ragione sufficiente
per prendersi qualche vacanza, e infatti Vincenzo
de' Preti ci dice che n non si potria imaginare
l'allegria manifesta che si vede in questi scolari, li
quali hanno fatto vacatione trei giorni, solamente
per questo per potere honorare S. S.ria. »
Il quattordici dicembre Ercole cominciò le visite.
Visitò il Governatore, che discese a riceverlo sino a'piedi
della cordonata di Bramante, poi si recò a sentir
messa nella chiesa vicina di S. Salvatore. Ritornato
a casa trovò un dono del Gonfaloniere e dei si-
gnori Quaranta della città, il qual dono consisteva
di marzapani, scatole di confetti, tor^e e candelotti di
cera biancha^ salami, fagiani e pernici, con parecchi
sacchi di spelta.
Pietro Pomponazzi non volle esser da meno e
gli mandò a regalare, oltre ad alcuni fagiani e per-
nici , un vitello!
Le visite poi non cessavano mai. « Non narrerò
l'infiniti gentilhomini et scolari sono stati a far ri-
verentia a S, S.ria, non li Lectori, non li Rectori de
li Collegi] bastarammi concludere che tutta la no-
biltà et homini da conto di questa cita sono stati a
mostrare il core istesso al S.r mio et veramente è
incredibile il numero infinito de gentilhomini che
concorreno qui, ultra li scolari delli quali sempre si
vedono piene non sol le camere et sala, ma tutta la
loggia et cortile. »
«}
— l.,l —
Or.\, un;i (.Ielle seccature più tcn;ici a Ikjlogna
sono i suonatori ambulanti detti orbini, e gli organetti.
La città musicale, la cittadella della Euterpe vecchia
e nuova, tormentava anche allora coi piireri e le
trombe. « Non narrerò alla Ex V. il numero de trombe
et pifferi che sono stati a visitare il S.r mio, che troppo
seria longo exponerlo! «
IV.
[/arcidiacono di Gabbioneta era quello che do-
veva procurare a Ercole i professori. Lo stesso Pom-
ponazzi gli consigliò Lazzaro Buonamici, intorno al
quale l'arcidiacono dava alla Marchesa assai buone
informazioni: « Ho parlato difusamente cum M.° La-
zaro , qual ritrovo bavere una grandissima reputa-
tione in questa Università, non solo per la ex.tia
de le lettere, ma anchora per li costumi e le altre
buone conditione sue. » Le comunicava quindi la ne-
cessità di intendersi circa l'assegno a Lazzaro, talché
la Marchesa quattro giorni dopo rispondeva: « Parmi
che un homo tanto dabene et che è tanto in propo-
sito di nostro figliolo quanto voi ne faceti fede, non
si debba lassare per vinti né trenta ducati, che è una
miseria » e contemporaneamente scriveva al Buo-
namici.
Questi le rispose in latino, una lettera che nel-
l'opuscoletto del Luzio é datata i6 gennaio 1522,
mentre evidentemente dev'essere del 1523, e prese ad
— i()5 —
insegnare ad Ercole. — Vincenzo de' Preti teneva sem-
pre informata la madre dei progressi del figlio e ne
lusingava l'amor proprio raccontandole gli onori fatti
a lui e a lei anche in pubbliche lezioni e dallo stesso
Pomponazzi , il quale non ricordava la marchesa se
non con le parole Sanctissima Mater tua Isabella.
I bidelli intanto, finite le lezioni, gli recitavano dei
versi macaronici per tentare la sua liberalità, non
dissimili anche in questo dagli odierni che augurano
le buone feste .... in cattiva prosa.
Nei primi mesi che Ercole fu allo Studio, Vin-
cenzo de' Preti diede le piià minute notizie, che si
contengono in brani di lettere ora pubblicate. Narrò
alla Marchesa i lavori del figlio, le parlò delle lezioni
del Pereto, del Buonamici e del giovine ripetitore
Giov. Francesco Forno.
Negli ultimi giorni del primo anno in cui Er-
cole fu a Bologna accadde un fatto doloroso che non
trovo registrato nelle cronache bolognesi che cono-
sco di quel tempo. Lo racconta il Preti: « Heri (2 ago-
sto) occorse uno caso qui, che uno Tulio romano
scolaro, qual già molti mesi haveva differentia con
uno m. Nicolò Bozale da Modena et canonico di
quella terra, anchor lui scolaro, venne ad dimandare
Francesco Ondino, figlio di m. Urbano, che volesse
andare con lui a dare delle ferite al predetto Bozale:
cossi di compagnia gli andettero et lo assalirono in
modo che stati un pezzo alle mani quello Bozale
cascò in terra, et 1' Ondino gli dette alhora tre ferite.
— l()f> —
una suso la testa, l'altre due iiclli lianciu, et stimasi
siano ferite mortali Il Signor mio inteso questo
venne in tanta colera, quanto sii possibile, di modo
si ha cacciato di casa l'Ondino, nò per alcun modo
vele che vi stij. »
V.
Il Gonzaga ritornò a studiare in Bologna nel 1524,
e per parte anche del '25. Il Luzio, che ha consul-
tato le lettere dell'Archivio di Mantova, ci dice che
« di questi anni non abbiamo le stesse copiose noti-
zie », ma che si sa « tuttavia che continuò con sem-
pre maggiore alacrità negli studi » procurando anche
d'imparare insieme al Forno, oltre al greco e al la-
tino, l'arabo; onde lo stesso Forno scriveva al mar-
chese Federico che Ercole aveva [ireso, appunto per
far pratica d'arabo, a soi serviti] uno arabo nato in
Africa.
Quando arrivò a Bologna, Ercole già possedeva
una libreria. L'arcidiacono ricordato scriveva in data
del 12 dicembre 1322 « Questa matina esso proprio
ha fato asetare tuli li soi libri. » In questa città
procurò poi d'aumentarne il numero e scrisse anche
al fratello Federico perchè cercasse d'aver la biblio-
teca che il Colonna aveva preso, con lo stato, ad
Alberto di Carpi. « Il S.r Alberto havia la più sin-
gulare libraria de libri greci et latini che si trovassi
in Italia, non ne cavando Roma. » Così scriveva
— 197 —
Ercole ed aggiungeva che bisognava far h richiesta
sollecitamente « a ciò il S.r Prospero non ne dispo-
nessi altrimenti, cosa che mi seria di gran.mo dispia-
cere e danno. »
Il Colonna si mostrò dispostissimo a cedere la
libreria, per esser lui persona aliena da simile pro-
fessione, cosicché Ercole mandò il Buonamici a Carpi
perchè gli compilasse un elenco dei libri, ma sul
più bello il suo desiderio cadde frustrato avendo
Lionello Pio riacquistato Carpi. Del resto di que-
st'amore del Gonzaga pei libri fa prova anche una
lettera del Molza scritta nell'aprile del 1529.
Come s' è visto il Pomponazzi morì nel maggio
del 1323, e a questo punto la memoria del Ghiselli,
già da noi riferita, aggiunge un pietoso aneddoto alle
ricerche del Luzio. Non solo Ercole lasciò subito
Bologna, non avendovi più a guida il suo grande
concittadino e maestro, ma volle portare la salma di
lui a Mantova per averne presso il sepolcro, mentre
suggellava le lettere con un suggello che portava il
ritratto del Pomponazzi.
ORIGINI DELLO STUDIO RAVENNATE
-s*-©©5:€?-^e= —
ORIGINI DELLO STUDIO RAVENNATE
Girolamo Rossi, il più noto e certamente il più
autorevole fra gli storici di Ravenna , parlando dello
Studio che anticamente fu in questa città, nota « qtiod,
Theoderici Gothorum Regis tempore, Boetio, Cassio-
dorio et multis praeterea doctissimis viris Ravennae
existentibiis institutum ferunt. » ( i )
Il Fabri nelle Memorie Sagre ripete le stesse
cose in guisa da non lasciar dubbio alcuno aver egli,
secondo il solito, tradotto il citato periodo. Aggiunge
però, come vedremo, due notizie che sulle prime pos-
sono sembrare di qualche importanza.
« Lo Studio Ravennate — egli afferma — cele-
bratissimo anzi unico in tutta Italia fu istituito o,
come altri credono, ampliato fin da tempi del Re
dei Goti Teodorico, e nobilitato con la presenza e
dottrina di Cassiodoro, Boezio e altri ingegni di
prima classe. » (2) — È inutile dire che le parole
(i) HiERONYM) RuBEi, Hìit. Rav. L. HI, i6i. — Venetiis, MDLXXXIX.
(2) Le Sagre mcinorie di Rav. aulica di G'ROI-Amo Fabri. Part. I, 217.
— Venetia, MDCLXIV.
-202 —
del liossi e più questo del secentista sono poi state
riprodotte dagli storici successivi quasicchè avessero
autorità di documento, (i)
Vediamo innan/.i tutto come delle due notizie
agL^iunte da Girolamo Fabri all'incerta del Kossi ,
luna sia alfatto gratuita , l'altra senza dubbio er-
ronea.
La prima trovasi nelle parole già riprodotte « o
come altri credono ampliato lìn dal tempo del Re
de' Goti. » All'incontro, non si conosce che da
nessun antico scrittore sia stata pure avanzata la con-
gettura che Ravenna possedesse uno Studio prima del
regno teodericiano. Le opere sulle quali il Fabri ha
compilate le sue Memorie Sagre sono conosciutissime,
ed egli stesso si compiace di citarle con un'abbon-
danza rimarchevole di note. A quel passo invece ,
benché egli mostri d'appoggiarsi all'autorità d'altri,
il lettore cerca invano il sussidio d" una citazione, co-
sicché a non volere accusar lo storico di malafede,
c'è da supporlo almeno trascinato dalla foga di sod-
(i) Il Fundamcitla | prò \ Conferenda In Ulroque Jurt Lati | rea Doclorali
ah Almo Colle | gio Eccdlentissimorum \ D. D. Jurispcrilorum \ Antiqua Civi-
tatis Ravenna | iuris et facti \ Jo. Caroli Pascoli Sancta \ Metropolitana Eccle-
sia I Eiusdem Civitatis Canonici ac Patritij | Et | Ipsiiis Nobilissimi Collegij
Jurisconsulti. \\ Ravenna MDCLXS.XVIU \ Typis Bernardini , Et Maìthai d»
Petijs Impressorum \ Archiepiscopalium . » Q.uesto libro, tuttoché edito verso
U fine del sec. XVII, è rarissimo e prezioso per la storia dello Studio rav.
di quel secolo e dell' antecedente , — A pag, 3 leggesi ; « Unum fuit
Gymnasium, ac famosissimmn Collegium in universam Italiam unicum , scientijs
omnibus exornatum, Temporibus Teoderici Gothorum Regis an. Jjf6 a Partu
l^irginis cxciiatum.
— 203 —
disfare a quell'orgoglio patrio, che purtroppo, suole
spesso velargli la veridicità dei fatti.
Tale dev'essere anche la causa che lo ha spinto
ad affermare: lo Studio ravennate esser stato allora
unico in Italia.
È agevole stabilire l'erroneità d'una notizia così
audacemente espressa. — Da varie lettere di Cassio-
dorio rilevasi che ai tempi di Teoderico le scuole di
Roma erano celebratissime e frequentate da studiosi
che per tal motivo movevano da lontani paesi. Anzi
Teoderico per accertarsi che i molti intervenuti non
tralasciassero il corso de' loro studi, prima d'averli
compiuti, ordinò, come vedremo ancora, che non po-
tessero allontanarsi senza il suo consentimento, (i)
Abbiamo inoltre l'epistola che quel Re fece scri-
vere a Pesto acciocché permettesse a Filagrio di con-
durre i suoi nipoti a Roma eloquentiae foeciinda
mater^ per farli attendere allo studio. « Lo spettabile
Filagrio che dimora nella città di Siracusa, stato con
lungo ossequio nel nostro palazzo, pregò gli fosse
concesso di tornarsene in patria. Questi presentò già
i figliuoli di suo fratello in Roma per ragion di stu-
dio. L'illustre tua magnificenza, trattenendoli, se-
condo il nostro comando, li stanzii nella sopradetta
città; né permetta che se ne partano, senza che di
nuovo, con un secondo comando, noi l'ordiniamo.
(i^ M. A. Cassiodoru sen., Oper. omn. studio J, Garelli. T. I. —
Variar. Lib. I, epist. XXXIX. — Lih. IV, epist. VI. — Venetiis,
MDCCXXIX,
— 20.[ —
Pcv tal modo trovino essi in te un protettore d' in-
goiano; e nello stesso tempo si curino della nostra
utilità. » (i)
In un'altra lettera con parole di poco dillerenti
ordina a Simmaco di dar facoltà a Valeriano d'ac-
compagnare anch' egli nella gloriosa Roma i suoi
lìgliuoli, i quali desideravano frequentare lo Studio
in vantaggio della repubblica. — « Le domande ra-
gionevoli dei supplicanti, di buon grado accettiamo,
noi che anche non richiesti abbiamo la mente al
giusto. Qual cosa infatti havvi di più degno che, as-
siduamente e notte e giorno, attendere alla sicurezza
della repubblica colla inviolata giustizia del pari che
colle armi ? » (2)
Alle scuole romane sono inoltre d'aggiungere le
antichissime e famose di Milano ove fin dal .384 tro-
viamo S. Agostino occupato ad insegnar Retorica.
Il Tiraboschi inclina a credere che le scuole mento-
vate nelle Dizioni Scolastiche da S. EnnoJio, vissuto
a' tempi di Teoderico , sieno appunto le milanesi,
senza disconoscere però il valore degli argomenti ad-
dotti dal padre Capsoni in favore di quelle di Pa-
via. (3)
Alle pretese celeberrime scuole ravennati dove
(i) Lib. I, Variar epist, XXXIX.
(2) Lib. IV, Variar, cpist. VI
(}) Tiraboschi, Storia della Leti, lini. — Voi. II, p.ig. 427 e Voi. Ili,
P^SS . 39 ' 4' '" nota. — Modena, MDCCLXXXVII.
- 205 —
trovasi invece un'allusione? Se Teoderico cercò con
cura sollecita che molti giovani frequentassero le
prime, perchè non trovò anche occasione di racco-
mandare quelle della sua capitale qualora veramente
fossero esistite? Del resto, con qual criterio storico
si potrebbe affermare che in allora esistessero senza
il sussidio d'una memoria autentica? Non ad altro,
pertanto, crediamo che si debba attribuire l'origine
delle prime notizie — esagerate poi dagli storici mo-
derni — sulle scuole ravennati, se non all'induzione
solita, che trovandosi scuole in altre città italiane,
alla capitale certo non potevano mancare. Alla quale
ipotesi per l'appunto fu costretto anche il padre be-
nedettino Garezio, parlando delle biblioteche eh' ei
volle possedute in Roma ed in Ravenna da Cassio-
doro, mentre la storia non ricorda che la biblioteca
della città per prima ora mentovata. « Quemadmo-
dum non in olio tantum Vivariensi , sed et aulicos
inter strepitus scientias excoluerat Cassiodorius: ita
qiiin et Romae et Ravennae, dum Gothicum Regnimi
firmissimis fulciret praesidiis , Bibliothecam instruxe-
rit , non ambigo. Romanae tnentionem ipse facit iti
tractatu de Musica. In Bibliotheca, inqnit^ Romae nos
habuisse etc. De Ravennate pariter dubitaturum ne-
niinem reor , nisi forte voluerit temere omnino asse-
rere , hac in urbe, id est, in ipsa Gothorum Regum
sede, linde Theodorici , Athalarici , et successorum
aetale , vel uno fere momento abesse Cassiodorio non
licuit, musarum alumnum charissimum , nec non ac-
ccrriint(ìiij[ìuli>rctii iiiusjs Uni loti^f) tcDiporis spali')
negk'xisse. « (i)
11 prof. Gottardo Garullo, nella vita tli Tcodc-
rico, mostra di credere alle parole di l'rocopio, (2)
il quale lasciò scritto che quel Re mai non volle che
i giovani Goti frequentassero alcuna scuola, dicendo
sempre che non potrebhe, a suo avviso, non aver
paura del nemico colui che fosse uso a tremare da-
vanti alla sferza del maestro. « Se questa testimo-
nianza — egli aggiunge — poniamo a confronto con
un'altra.... giusta la quale Teoderico, mentr'era gio-
vinetto a Costantinopoli, non aveva voluto imparare
neppure a scrivere il proprio nome credendo con ciò
avvilirsi, non possiamo a meno di riconoscere che
vicendevolmente si avvalorano. » (3)
Quantunque questa congettura potesse servire
a spiegarci perchè Teoderico mantenesse dapprima
scuole e dottori in Roma, piuttosto che in Ravenna,
ove prevaleva l'elemento gotico, nullameno a noi
piace di seguire il Muratori, (4) il Tiraboschi , (3) il
Gregorovius (6) e quanti altri riconoscono in quel
sovrano un amore grande e disinteressato della no-
stra coltura e delle nostre usanze, a lui inspirato da
(i) Prefat. op. Cass. Pars. II, % 26.
(i) Procop. I, 2, p. 4. De bello Gotìwrum.
(}) Teoderico re dei Goti e degl' Italiani. Firenze 1879. Lib. V, 2J?.
(4) Annali d'Italia. Tom. Ili, all' ann. 55$.
(5) Op. cit. T. Ili, 2.
(6) Sloria di Roma nel Medio Evo. Voi. I, 301.
— 207 —
Severino Boezio e più da Cassiodorio, cui certo de-
vesi se allora parve risvegliarsi « negl' Italiani per
qualche tempo quel vivo e fervido entusiasmo nel
coltivamento degli ameni studi. » (i) Né certo a noi
sembra che l'anonimo Valesiano, il quale narra che
Teoderico scriveva il proprio nome con una lami-
netta forata, autentichi con questo l'asserzione surri-
ferita di Procopio, alla quale inoltre non poco con-
trasta la notizia dataci da Cassiodorio, che cioè il
Re goto volle la figlia Amalasunta istruitissima nella
grammatica e nell'eloquenza. (2)
È certo del pari che i Goti, i quali discesero e
si stabilirono in Italia con Teoderico, furono da lui
indotti in gran parte col nuovo Editto all'osservanza
delle leggi romane, secondo la raccolta del codice
Teodosiano. (3) « Si exteraruvi Gentium mores sub
lege moderamur : si furi Romano servii, qtiidqiiid
sociatur Italiae ; quanto magis decet ipsam civilitatis
sedem legum reverentiam plus habere , ut per mode-
rationis exemplum luceat gratia dignitatum? » (4)
Così in una epistola diretta a Spezioso nel 509, e al-
trove: Delectamur jure Romano vivere, qiios armis
cupimus vindicare. Alle quali testimonianze ci sembra
opportuno aggiungere quanto scrisse al Popolo ro-
(1) TlRABOSCBI , Op. et loc. eh.
(2) Lib. X, Variar, ep. IV, Lib. XI, epist. I.
(3) De Savignt, Sloria del Diiillo Rem. nel Medio Evo. Voi. I, cap. V,
pag. 191.
(4) Lib. I, Var. epist, XXVII.
— 20,S —
mano Atalaiico , nipote e successore di l'codcrico:
• Presso di noi il diritto dei Goti e dei Romani sia
comune, né altra distinzione esista Ira loro, se non
che si obbighino alla guerra a comune utilità sol-
tanto i primi. » (i)
Per tutte le cose fin qui esposte ci pare che ben
altra debba esser la ragione per la quale il re Goto
non tondo in Ravenna uno Studio, se non forse
nello scorcio del lungo suo Regno,
Quando, correndo l'anno 500, Teoderico entrava
trionfalmente in Roma, come già Cesare e Valenti-
niano, fra l'entusiasmo dei cittadini, che avevano ap-
preso ad amarlo per la sua giustizia e per « la sua
pieghevolezza ad accogliere nel reggimento dello stato
le forme antiche di governo», (2) nell'animo suo un
forte desiderio certo si fece strada col sentimento di
giusto orgoglio, che confessò al popolo quando gli
promise « che coll'aiuto di Dio egli avrebbe mante-
nuto in vigore ed in onoranza tutti gli ordinamenti
ch'erano stati dati dai Principi che l'avevano prece-
duto I). E quello fu certo il desiderio di governare
ai sudditi dalla vecchia sede degl' imperatori.
I pronti ristauri de' sontuosi monumenti romani,
non escluso il palazzo dei Cesari, le mura, le cloache
e gli acquedotti ; la costruzione delle nuove fabbri-
che, per cui assegnò le rendite ricavate dalle dogane
(i) Lib. vili, Var. epist. III.
(.2) Grugorovius, Op. cit. T. I, 306 e seg.
— 209 —
dei porti di Lucrinia, sembrano rivelare la sua deli-
berazione di porre stabile sede in Roma. E come ciò
non bastasse, è d'avvertire all'incontro l'abbandono
in cui dapprima fu lasciata Ravenna. I monumenti
costrutti da Teoderico in questa città risalgono certo
agli ultimi anni del regno, quando forse, per cause
che non conosciamo, egli aveva perduta la speranza
o deposto il desiderio d'abitare l'eterna Roma, come
sembra far fede il veder trasportati a Ravenna i marmi
del palazzo pinciano.
Di qui la confusione degli storici nell' attribuire
la costruzione di quei monumenti a lui o ad Amala-
sunta che forse non fece che condurli a compi-
mento, (i) E notevolissime sono in proposito le se-
guenti parole dell'anonimo Valesiano, (2) dalle quali
apprendiamo che Teoderico non giunse nemmeno
ad abitare il palazzo che certo nello scorcio della sua
vita avea fatto costrurre in Ravenna. « Palatium usque
ad perfectum fecit quem non dedicava » c\x\ il dottis-
simo Zirardini appose: « La parola dedicare niente
altro in tal caso significare se non che usui dicare,
o sia porre in uso la cosa fatta .... ciocché già fu
osservato e con buone autorità stabilito dal dottis-
simo Is. Gausabono ad Sveton. lib. II e assai più
(i) Flavio Biondo, hai. ilttutr.; in Romandiola , Ij6. — Artmanno
ScHtDtL in Chroiiic. — • Gir. Rossi, Op. cit. Ili, 127. — G. I'abri, Opera
citiUJ. 1 , 285.
(i) Rcr. lui. Scrq-'l. T. XXtV , col. 656.
14
— 'J 1 1 ) —
ampiamente poi è stato confermato (.iaircriulitis.simo
Mazzocchi. » (i)
Quale sia la conclusione, a cui inti-iiiliamo ani-
vare per le cose dette, è ben facile incUninarc. Teo-
clerico favorì le scuole di Roma, né pensò tosto a
fondarne nuove in Ravenna, nella speranza — come
dicemmo — di poter stabilir la sede in quella glo-
riosa città. Le memoi ie più su riprodotte favoriscono
singolarmente quest'opinione Certo non e improba-
bile, che quando, per dirla col Sigonio, siiperiuritìn
Imperatorum exemplo Ravennac Regni sedem firma-
vit, pensasse a nobilitare d'uno Studio di grammatica
e d'eloquenza (non mai di legge) la nuova capitale.
Infatti se l'assoluto silenzio delle V.iric riguardo le
scuole ravennati, il favore di Teoderico per le ro-
mane e altro sembrano mostrare che per lungo tempo
scuole in Ravenna non esistessero, le memorie invece
che compaiono subito dopo la morte, lasciano sup-
porre ch'e' le volesse fondate verso la line, quando
appunto intendeva all' incremento di tutta la città.
E appunto si vogliono a quel tempo in Ravenna
alcuni uomini illustri intesi ad emendare dagli errori
de' menanti vari codici. — Il Sirmond trovò nei libri
manoscritti di Macrobio la nota Aurclius Mcìuìiiìus
Symmachus V. C. emendcibcim Ravennae citiìi Mj-
crobio Plotino Eudoxio. (2) Non possiamo certo sta-
(1) EJlf. prof. Pan. I, 99. — Faenza, MDCCLXII.
(2) SiRM. ad S'Jon. Lib. V , Epist. XV.
— 211 —
bilire qual fosse questo dei tanti Simmaco vissuti
ne' secoli V e VI. Antonio Zirardini però scrive che
potrebbe « essere stato per l'appunto quei Simmaco
che per ordine di Teoderico fu ucciso in Ravenna » (i)
avendo egli que' nomi istessi. Così il CoUer nella sua
edizione di Valerio Massimo pubblicò una lettera
nella quale si dice che al libro X, il ms. di Pietro
Danielo aveva queste parole « Feliciter Emendapì de-
scriptum Ravennae Helpidius Domnulus V. C. » (2)
Intorno la metà del sec. VI troviamo allo Studio
ravennate il poeta Venanzio Fortunato vescovo di
Poitiers, di cui Paolo Diacono scrisse: Deniqiie For-
tunatiis natus qnidem in loco ^ qui Duplarilis dicitur ,
fuit, qui locus haud longe a Cenetensi Castro vel
Tarvisiana distai Civitate, sed tatnen Ravennae nutri-
tus et doctus in arte Grammatica sive Rethorica seu
etiam metrica clarissimus extitit. (3) Al Muratori
piace di porre la partenza di Venanzio da Ravenna
al 564. Questa è la prima ed esplicita memoria che
le storie oflrono sulle scuole nostre, memoria lumi-
nosamente confermata da alcuni versi dello stesso
Venanzio
«
Inde Ravennatem piaci fam pete dulcius urbem
Pulpita etc. (4)
(i) Ed. prof, di Rav. aut., pag. 204 e 297.
(2) Valer. Mass. Lib. X ( ediz. Leida, 1726).
(5) Lib. Ili, De Gest. Long., cap. XIII.
(4) yUa S- Martini, lib. IV.
iK-i qiKili r;iccoiit;i d'essere, insieme ad un suo amico,
ijuarito miracolosamente ili mi grave mal d'occhi
ungendosi coli' olio delie lampade appese in Ss. Gio-
vanni e Paolo di Ravenna, chiesa tuttora esistente.
Perciò il r^rower nella vita di quel poeta non si
peritò d'asserire che fin dai tempi di Teoderico so-
levano concorrere a Ravenna molti desiderosi d'ap-
prendere le belle lettere e le leggi. Fra gli altri no-
mina il ligure Aratore, (i) il quale dapprima studiò
sotto Deuterio a Milano o a Pavia e che fu certo a
Ravenna sotto Atalarico con un ulTicio nella Con-
grega^ione dei Privati. (2) .Anzi notevolissima è una
sua epistola a Partenopio, pubblicata dal Sirmond, (3)
dove fra le altre cose si legge: « Poiché ci trattene-
vamo nella stessa abitazione nella città di Ravenna e
ospite intento notte e dì t'era presso, quali nomi tu
a me dottamente celebravi ! »
His quoniani Liribus teneb.iniiir in Urbe R.iveiiìi.ie
Hospes hians aderam nocte dieque libi.
Quos mihi tu libros , quae nomina docte sonabas !
Quanta simul repetens Codicis instar eras!
Caesaris historias ibi primum te duce legi ,
Quas ut ephenieridas condidit ipse tibi.
Pei brani citati delle lettere di Gassiodorio e per
altre autorità colle quali si dimostra come Teoderico
(i) Vita Venati. Fori., e. H.
(2) Cfr. RuBEi, Hisl. Rav. , Lib. Ili, 152.
(}) Oper., Tom. I, col. 1147.
— 213 —
non solamente ritenne ed onorò i Magistrati della
repubblica e dell' impero romano, ma indusse i suoi
Goti all'osservanza delle loro leggi, alcuni pensarono
che del pari allo studio delle lettere fiorisse in Ra-
venna come in Roma quello del Diritto. Il padre Pier
Paolo Ginanni crede invece che questo non sorgesse
che sotto Giustiniano, quando nel 534 (essendo con-
soli Paolino e Dezio Teodoro), condotta a fine da
Triboniano la raccolta delle leggi, quell'imperatore
la fece pubblicare ed eseguire in tutto il suo imperio.
« Allora veramente — nota il Ginanni — l'Italia, e
Ravenna specialmente, erano sottoposte ai Re Goti,
ma Giustiniano per vendicare la morte della Re-
gina Amalasunta fatta uccidere dal re Teodaato suo
marito, dichiarò ai Goti la guerra; (1) quindi Teo-
daato per placare lo sdegno dell' imperatore per mezzo
di un suo ambasciatore pregò Giustiniano a conser-
var seco la pace e promise in tutto di ubbidirlo (2)
« quia totum illud desideramus efficere ^ qiiod vestro
nequeat judicio disciplere. » (3) Allo storico ravennate
sembra ragionevole supporre che allora l' imperatore
facesse in Italia e massime in Ravenna pubblicare le
sue leggi. Del resto, egli aggiunge, se ciò allora non
potè seguire, accadde certamente quando Giustiniano
pubblicò la Costituzione. Il Tiraboschi è invece del
(i) Jordan, de Rebus Gotic. , cap. LXXXVJII.
(2) Lib. X, Var. epist. XIX.
(5) Disj, epist. sulla Leller. Rav. (C749), pag. 58.
~ 1\.[ —
parere, che lìnchò i (ioti regnarono in Italia « o vi
sostennero la L;ucrr.'i contro ai Greci, la cjiiale ebbe
principio poco dopo la pubblicazione del codice di
(Giustiniano, il codice di Teodosio continuasse a servir
di norma o di regola nei giudizi. Ma dappoiché di-
strutto il regno de' Goti, l' Italia ricadde in potere di
Giustiniano, questi ordinò che le sue leggi vi l'ossero
ricevute e pubblicate. « (i) li noto che ciò avvenne
soltanto verso la metà del sec. VI.
Vuoisi inoltre che fra le scuole che forse Teode-
rico aprì in Ravenna, fosse quella di giurisprudenza,
avendo quel Re stabilito come abbiam veduto, che le
leggi romane ritenessero la loro autorità, e trovando
in Roma chi s'esercitava nello studio d'esse come
risulta dall'Editto, cui pubblicò Atalarico, nel quale
ingiunge al Senato di ridare lo stipendio ai profes-
sori di Grammatica, d'Eloquenza e di Legge, nelle
scuole romane. Ma anche a quest'ultimo riguardo
dobbiamo ripetere che non si trova notizia alcuna in
favore di Ravenna.
Se allora e anche più anticamente fu in essa
qualche giureconsulto, non è cosa che afforzi abba-
stanza l'ipotesi,- poiché è certo che alla Corte se ne
doveva trovar sempre qualcuno per la pubblicazione
degli editti, pei provvedimenti immediati e la discus-
sione delle leggi.
Così ad esempio Onorio trovandosi in Ravenna
(I) Op. cit. , T. Ili, lib. I, 70.
— 215 —
del 423 (consoli Asclepiodoto e Mariniano) fa scri-
vere una lettera al Senato romano, della quale ri-
mangono quattro frammenti nel codice di Teodosio,
de causis criminalibus ffarumqiie jure et ordine, (i)
Così la novella di Valentiniano III de Indulgentiis
Reliqiiorum fu senza dubbio scritta in Ravenna nel-
l'anno 438. Ignorasi infatti che 1' Imperatore in quel
medesimo anno pubblicasse altra legge e in altra
città: poiché, andato a Costantinopoli nel 437 per le
sue nozze, ritornò sull'esordio del seguente anno
colla sposa, come si ha anche dalla Cronaca di .Mar-
cellino, che, sotto il consolato di Fausto e al XVI anno
dell'impero Teodosiano, ossia al 438, scrive: « Va-
lentinianus Imperator ciim Eudoxia Uxore Raven-
nani ingressus est. » (2) — Così finalmente, secondo
il Codice Ottoboniano, anche l'altra novella de red-
dito jure Armorum sarebbe stata pubblicata in quella
città del 440. (3)
Aggiungi che sotto il regno di Teoderico sali-
rono in fama nell'esercizio dell'avvocatura Decorato
(i) Imp. Theodosii Jun. et Vcihntinimii 111. Novellae Leges ex Ottobo-
niano Ms. Cod. edite da A. Zirardini. Faenza, 1766, pasj. 575.
(2) Op. eh., pag. 229.
(3) Op. cit. , pag. 302. — Vedi nei Mss. Spreti ( Classense rav. ) tra
una miscellanea (XVI, t. 7) di memorie storiche, un opuscolo di D. Carlo
ScUTTELARi rav. dal titolo « Leges reperite in loto Corpore Juris Civilis, quai
in antiqua Civitalae (sic) Rbavenmt Imperaiores Condiderunt. u — Quel buon
prete non fece che trascrivere con molti errori una ugual raccolta di Gian
Pietro Ferretti, vescovo di Lavello, che si conserva ms. nella stessa Bi-
blioteca. (Se. 85, ord. XV, A.).
— -iT, —
e Onorato, (i) Di quest'ultimo il fìrutcro riproduce
ropitnlTìo, ove nel penultimo verso è detto fiiscibiis
insii^iiis. (2) — Di quali fasci? chiede il Zirardini. —
Fuor di dubbio quelli della Questura (così giusta-
mente osserva il Sirmond) alla quale lo aveva pro-
mosso Teoderico come appare dalle Wìi'ie di Cassio-
dorio. (3) Onorato successe al primo nella stessa carica,
e altri avvocati furono assunti ad ulllci aulici e a di-
gnità dal Re goto e da' suoi successori.
Nel 539, o, come altri vuole, nel 540, Ravenna
passava agli imperatori d'Oriente. Quando Giusti-
niano, per opporsi all'esercito vittorioso di Cosroe,
che aveva invase e saccheggiate la Mesopotamia e la
Soria, pensò di desistere dalla guerra contro ai Goti
e di richiamare Belisario, i Re Franchi mandarono
ambasciatori a Vitige proponendogli un aiuto di cin-
quecento mila combattenti.
Belisario a sua volta non tardò ad avvertire il
Re goto del pericolo in cui sarebbe incorso qualora
s'accordasse coi Franchi; e fece tanto che i legati
imperiali cunchiusero un negoziato di pace, pel quale
i Goti dovevano ritirarsi al di là del Po. Ma il capi-
tano bizantino, dopo essersi rifiutato di sottoscrivere
questo patto, con un pugno di gente entrò in Ra-
venna e soggiogò la nazione gota.
(i) Sirmond, Ad Annoti. Lib. II, Epist. 2S.
(2) Aiiliq. Inscript. , pag. 1175. Num. VI.
(5) Var. Lib. il, episi X\.VIU, Lib. V, IL), m e IV.
— 217 —
Nei primi anni del nuovo possesso, grandi e ma-
ravigliosi edilìzi sacri e profani s'aggiunsero ai pree-
sistenti, cosicché la città raggiunse il suo più alto
splendore. Allora forse, come pensa Donato Anto-
nio Asti, (i) nella città imperiale sorsero le scuole
di giurisprudenza, la quale mirabilmente rifioriva per
opera di Giustiniano, e che appunto nel suo risveglio
abbisognavi di nuovi e numerosi cultori! Infatti tosto
troviamo che, nel 548, « a Doctoribus Ravennatis Gy-
miiLisii... aliqui putant conditum Infortiatum , aliqui
repertum , ciim diu latiiissét. » (2)
Ma la grandezza di Ravenna dura poco ancora.
Il dominio greco cominciò a segnare la sua deca-
denza, poiché la maggior parte degli Esarchi che la
dominarono dal 568 al 751, non fu che strumento di
concussioni e di ruina pel paese. NuUameno anche
dalle poche testimonianze che restano è lecito affer-
mare che lo Studio durò per tutto il tempo del-
l' Esarcato, come piacque a Vincenzo Gravina (3) e
all'Asti su citato.
Non è del nostro lavoro intrattenersi sulla costi-
tuzione giudiziaria della signoria greca, del resto
egregiamente esposta in recenti studi, massime tede-
schi, e in gran parte sui documenti ravennati. Giova
però notare che sino dal 625 i tabellioni di Ravenna
(i) Dell'uso della Ragion Ch'Ut. Lib. II , cap. I.
(2) RuBEl, Hiit. Rav. Lib. Ili, 161.
(3) De orig. Juris. Gap. CXXXIV.
— ">iS! —
formavano un;i corporazione. In un papiro pul)l)li-
cato dal Marini e appunto mentovato il Primico-iiis
Scliolje Forciisitiin (^iyitjlis Rjvcnii.itis si'ii ('.Lis-
sensis. ( 1 ^
Né sono di poca importanza i moltissimi docu-
menti letterari che restano di quei secoli, sia nelle
storie che noi monumenti, come non è anche di poca
importanza il trovare che allora fiorirono in Ravenna
uomini dottissimi Primo de' quali è certo quel (ìio-
vanniccio scribj fcritissiì)iits , in scriptiirìs docliis , in
sapientia faciindu:\ , in Consilio providus , in sermone
verax , caiitus eloquio, omnique scientia plenus, nobi-
lissimis ortus ncitalibiis , {2) il quale per ordine di
Giustiniano II fu fatto morire «a guisa di un sorcio
rinchiuso fre due muraglie. » — Lo storico racconta
che all'esarca Teodoro li, il quale cercava un segre-
tario che gli scrivesse gli editti e le lettere, fu pro-
posto Giovanniccio. Quando questi comparve in-
nanzi, egli dovè ridere veggendolo breveni forma et
indecorosum aspcctu. Ma poi presa un'epistola in lin-
gua greca, di Costantino Pogonato, gliela porse perchè
legesse. Allora Giovanniccio tranquillamente: « Piace
al Signore che la legga in greco o in latino? » —
A queste parole l'Esarca restò maravigliato, e più
quando portagli invece una scrittura latina, il piccolo
e deforme poeta la lesse correntemente in greco!
(i) Marini, Papiri N. no, liti. 38.
(2) Andrea Agnello, Lib. pont. Vila S. Theodori. Gap. II, 506.
DANTE ALLO STUDIO DI RAVENNA
DANTE ALLO STUDIO DI RAVENNA
I.
Adolfo Borgognoni, sin dal 1865, scrisse un arti-
* colo, nella sua brevità molto importante, sugli sco-
lari di Dante in Ravenna, (i) Dieci anni dopo, volli
riprendere quell'argomento e, datomi a far ricerche,
vidi crescer tanto il volume delle notizie, che deposta
la prima idea dell'articolo o dell'opuscolo, continuai
senza fretta, ma senza interruzione a porre ordine
alle notizie rinvenute.
Raccolsi infatti memorie sufficienti per rifare la
storia della dominazione polentana e la vita special-
mente di Guido Novello; documenti preziosi di Men-
ghino Mezzani e di Pier Giardini, e altri compro-
vanti la veradicità di certe allermazioni del Boccacci.
Non so quando o bene o male finirò quel la-
voro. Ho sempre avuto poco affanno; ora poi non
ne ho più affatto, perchè in molte memorie pub-
blicate nel corso d'otto anni, non ho trovato il più
piccolo accenno a quanto credo che formi la parte
(l) Il Rdveanuti:. — Gu^^^elta del Cintcnaiio di Dante — Anno li, n. jS.
— -Ili —
nuova dolio mio ricerche, e io credo anche perchè
quel po' che pubblicai in una polemica avuta con
r Imbriani ti) e stato subito discusso o accettato dai
più autoiovolii biografi dell'Alighieri.
Ad esempio: sulla fede lii parecchie memorie
scrissi che Dante non fu a Ravenna cortigiano nello
salo di (juido Novello, ma fu dottore di retorica vol-
gare allo Studio. La notizia, se non m' inganno, oltre
essere notevole per sé stessa, è anche bella per la
dignità del nostro poeta, cui più non avvilisce lo
scendere e il salir per l'altrui scale; importante per
la storia de' nostri Studi, che novera così una gloria
di più; ed è in fine (perchè tacerlo?) soave a me
ravennate che v^ggo crescere per essa un titolo di
gloria all'antica patria.
Allo SchefTer-Boichorst piacque d'accettar la no-
tizia e di riprodurla nella vita di Dante, mentre lo
Scartazzini nel Dante in Germania ^ dapprima dub-
bioso, la sostenne poi. Ecco le sue prime parole:
« Corrado Ricci propugnò la tesi, chiamandola prima
modestamente ipotesi, e poi fatto acquisito dalla
storia, che a Ravenna Dante insegnava relorica vol-
gare, non privatamente, ma nello Studio che era al-
lora in quella città. Lo Scheffer-Boichorst accetta dal
canto suo 1' ipotesi e la propugna. In quanto all' ipo-
tesi, che veramente non è priva di fondamento, non
(0 Quando nacque Dante di V. Imbruni — \apoli, Mnrgliieri, 1879. —
Cht Ddìile probabilissimamente nacque nel i)6ii — Xapoli, Marghicri, 1879.
- 223 —
sappiamo per ora né accettarla, né combatterla. Pro-
pendiamo ad accettarla, ma non essendo ancora con-
vinti, diremo che per noi la questione è ancora pen-
dente, (i) » Ma poco più avanti ritrovo : « Gli studi
degli italiani Olindo Guerrini e Corrado Ricci, del
tedesco Scheffer-Boichorst e di altri, hanno reso pro-
babile e poco meno che certo, che Dante non andò
continuamente errando di paese in paese, di città in
città e di castello in castello , ma passò gli ultimi
cinque o sette anni della sua vita a Ravenna, dove
ebbe dimora stabile. Hanno pure reso probabile e
poco meno che certo, che la posizione del Poeta a
Ravenna non era quella di esule mantenuto ma che
egli vi era come lettore di retorica volgare nello
Studio e vi fece parecchi scolari in poesia e massi-
mamente nella volgare. Questi risultati, importantis-
simi già per sé stessi, aprono a nostro avviso la via
alla migliore intelligenza eziandio di quanto agli altri
anni dell'esilio di Dante si riferisce. (2) » Da queste
parole, si comprende che la persuasione non è lon-
tana. Infatti lo Scartazzini finisce per dichiarare espli-
citamente in una nota : « Un ripetuto esame ci co-
stringe ad ammettere, che veramente l'Alighieri era
a Ravenna in qualità di lettore o insegnante. » (3)
(i) 'Dante in Germania — Storia letteraria e bibliografica dantesca ale-
manna per G. A. Scartazzini. Milano, 1885 — Parte II; Appendice, p. 302.
(2) Op. cil. II, 325.
(5) Op. cit. II, 302, nota I.
— 22.| -
II.
I.c cose con min sncidisfnzionc cimiio a questo
punto, quando nella 17/. ? ,// DauIi' d'Adolfo Rartoli,
lessi: •' Int;egnosa è l'ipotesi del Uicei, che hante
fosse a Ravenna lettore di retorica volj^are. » (i)
Ipotesi? Perchè? — Ingegnosa? Come? — Ve-
diamo un po' le notizie in proposito, cominciando
da alcune che riguardano lo Studio ravennate.
Girolamo Rossi nel secolo XVI asseverò che fu
fondato da Teodcrico e, nel secolo seguente, il h'ahri
aggiunse che allora era il solo e per di più ch'era
anteriore al re goto. Di tali aHermazioni abbiamo
parlato nella nota storica sulle Orif^ini dello Studio
ravennMe. Giova però ripetere che da ricordi poste-
riori a Tcoderico possiamo inferire che verso la fine
del suo lungo regno fossero là instituite scuole di
grammatica e di eloquenza, che certo non esistevano
prima, essendo che egli raccomandava quelle di Roma.
La prima memoria autentica è quella di Procopio
nell'anno 564, relativa a Venanzio Fortunato. Lo
studio delle leggi fu poi aggiunto quando la città era
degl'imperatori d'Oriente. D'allora le scuole rave-
gnane continuarono a traverso tutto il medio-evo
come si può asserire nella fede degli storici e dei
documenti. {2).
(i) Storia della hlleralura italiana. Tom. V. Della Vita di Dante. Fi-
renze , Sansoni, 1884. A pag. 305.
(21 Vedi la memoria precedente sulle Origini dillo .5(«./io ravennate
— 225 —
Là nel secolo X troviamo quel maestro Vilgardo
che passa per dannato perchè si dà allo studio dei
classici, onde la leggenda che i demoni gli appari-
vano di notte sotto le forme di Virgilio, d'Orazio
e di Giovenale; là troviamo Pier Damiano che di-
scute cause legali con dottori dello Studio; là nel
1268 per invito del Senato ravennate troviamo un
Pasio della Noce, e nel 1333 (dodici anni dopo la
morte di Dante) Giovanni di Giacomo dal Bando
cesenate, come narra il Garrari nella inedita Storij
di Romagna, (1) si reca a leggere logica, medicina,
filosofia ed astronomia.
Ma v' ha di più. Lo stesso storico riassume al
1304, (2) prima adunque della andata di Dante a
Ravenna, un documento in tal modo: « Condussero
similmente Leone da Verona a leggere grammatica
et logica alla gioventù ravignana con salario di 25 lire
ravignane. »
Dunque quando Dante andò a Ravenna, lo Studio
non solo esisteva, ma come è facile provare, traver-
sava un periodo di floridezza.
IH.
Alcuni hanno chiesto: «Ai tempi di Dante s'in-
segnava retorica volgare? »
(i) Manoscritta nella Classense di RavL-ima. Ad ann.
(2) Carkari: Lib. VI, ad ann.
'S
La domanda non lascia supporre in loro una
piando erudizione!
Chi non conosce il Fiore di retorici di fià Gui-
dotto da lìologna , (i) e il 'l'r.Ul,i/o delle rime voi-
i,M'"' /* (-) Chi non sa che Giovanni Bonandrea da
Bologna morto proprio nell'anno in cui morì Dante,
dopo aver sin dal 1312 insegnata retorica nel patrio
Studio, scrisse la Brieve introdupone a dettare! S'ag«
giunga anzi che dai versi seguenti , coi quali comin-
cia, si ricava eh' e' la dicesse agli stessi discepoli
Di Bologna natio questo Autore ,
Nella città studiando dov' ò nato
Con allegrcza e maairal amore
'Ai giovtinì scolar questo trattato
Brevemente compose. ( 5)
E per finirla, lo stesso De vulgari eloquio non è
forse un trattato beli' e buono di retorica volgare?
(i) Vedine l'edizioni citate dallo Zambrini « Le cperemotgari a slampa
dei sec. XIII e XIV. Bologna, Zanichelli 1878. » col. 499 e seg. — Cfr. anche.
A. Gazzani, Fr. Guidollo da Bologna. Bologna, Azzoguidi, 1884.
(2) Il Delle rime volgari, Iraliato di Antonio da Tempo giudice padovano,
composto nei i}}2, dato in luce integralmente ora la prima volta per cura di
Giusto Grion. Bologna, Romagnoli. 1869. »
(}) Pubblicata dallo Zambriui , Bologna 1854. Non è del tutto inu-
tile ricordare qui che si hanno anche dei trattati del sec. XIV in lingue
romanze ; oltre i Trailés calalans de grammaire et de poétique pubb. da
P. Meycr nel num. 25 della Romania, si possono citare i due importantis-
simi Le donali^ prcensals e Las rasos de trcbar pubbl. da E. Stengel , .Mar-
burg 1878.
— 227 —
Del resto, come il Boccaccio e Saviozzo polevan
dire che Dante attendeva a quell' insegnamento se
questo allora non fosse esistito? Certo non lo inven-
tarono loro ed erano lontani da Dante appena tren-
t'anni!
Ora che sono tolti gli ostacoli, dirò così, esterni ,
veniamo alle testimonianze per le quali penso che
l'Alighieri fosse appunto dottore allo Studio.
Il Bartoli e Pasquale Papa (i) scrivono che io l'af-
fermo sulla sola autorità del Boccaccio e di Saviozzo
che gli è posteriore. Il primo infatti narra che il
Poeta in Ravenna « fece più scolari in poesia e mas-
simamente nella volgare loquela » (2); l'altro:
« Qui cominciò a legger Dante in pria
Retorica viilgare e molti aperti
Fece di sua poetica armonia. » (5)
Vedremo più avanti perchè l'affermazione del Bar-
toli e del Papa non mi sembrano definitivamente
accettabili. Ma intanto mi si lasci domandare: « Se
anche la notizia fosse data soltanto dal Boccacci,
perchè la non si dovrebbe credere? »
Oramai, mi sembra che i letterati italiani doves-
sero avere un po' più di fede nelle parole del grande
(j) S'-ti quiiilo volume della Storia della letteratura ilaliaiui pel prof. AJilff
Biirloli ; note di PAsauALt Papa. — Firenze, AdemoUo , 1884. p. 12 e scj;.
(2) Vita di Dante. Firenze, Le Monnicr , i86j. Pag. 27.
(3) Rime di M. Ciho da Piittia e d'altri del sec. XIV ordinate da Giosut
Carducci Firenze, Barbera, 1862. Pag. 575.
cortaKlesc, dopo che parecchi liiimio dovuto ritirare
lo accuse o parte delle accuse di falsila di clic l'ave-
vano tacciato.
L'altr' ieri, 1' imbriani nega al Boccaccio che sia
esistito Pier Giardini , e si scoprono parecchi docu-
menti del notaio Pier (jiardiiii in date corrispondenti
all'esilio di Dante in Ravenna; ieri lo stesso l5;iitoli
nega al Boccaccio l'esistenza di Beatrice di l'olco
Portinari ed oggi è costretto a riconoscerla vissuta
dopo che Pietro Alighieri ricorda Beatrice Porliii.iri
come donna amata dal padre suo. (i)
Tanto r Imbriani che il Bartoli hanno meritata
la lode di tutti gli studiosi mostrando che lo scopo
degli studi è La verità, e non persistendo nelle ipotesi
dapprima divulgate; ma da simili esempi dovrebbe
emanare eziandio un po' più di rispetto pel Boccaccio,
cui l'essere stato buon novelliere nel Decamerone ,
non toglie che possa esser stato storico del pari
buono nella Vita di Dante.
IV.
Noto, seguitando, un altro passo ove si fa me-
moria di Dante come insegnante di retorica. Non nego
al Papa che possa derivare dal Boccaccio. Sarà benis-
simo. Ad ogni modo serve a dimostrar sempre più,
(i) Storia della Letleralura ilaliana. Voi. VI. Delle opere di Dante
Alighieri Parte I — Firenze, Sansoni, 1887 — Pag- 14, in nota.
— 229 —
come al Boccaccio si rivolgessero con fiducia gli sto-
rici più a lui vicini.
Giannozzo Manetti « scrittore, dice il Tiraboschi,
degno di molta fede » (i) scrive: « Ravennce igi-
tur .... complures annos reliquiim vi tee siice tempus
commoratus nullos sane homines egregiosque Viros
Poeticam egregio edociiit, compluresque egregios prce-
stantis ingenii Viros materno sermone ita erudivit
nonnidli ex his vulgares ^ ut aiunt , non vulgares
PoetcE haberentiir. » (2)
Il Rapanti pubblica due « pregevoli scritture «
nelle quali narrasi com'ebbe origine il Credo mala-
mente attribuito a Dante, più tosto che ad Antonio
da Ferrara. (3) La seconda ch'era afiatto inedita,
trasse da un codice del sec. XV, posseduto da Pietro
Fanfani, da un altro del prof. Roberto de' Visiani e
dal Magliabechiano C I. N. 1588, pure del secolo XV
che dà belle varianti. Or bene, in principio di que-
st'ultima si legge: « Avenne caso che Dante, per le
parti che in quel tempo si chiamavano in Firenze
Nere e Bianchi , di che Dante fu cacciato di Firenze
e confinato fra le ciento miglia, dove andò molto
per lo mondo, e massimamente in quelle terre dove
(i) Storia della UlUralura italiana. — Modena, 1789. Tomo V, parte II,
lib. Ili, cap. II, p. 450 in nota.
(2) TJantii , Petrarcha; ac Boccaccii Vita ab Jannotio Mas'etio scripla,
recensente Laurcntio Mehiis. Firenze, Giovaiielli, 1747. Pag. 54.
(}) "Dante secondo la tradizione e i novellatori , ricerche di Giova kmi
Papanti. Livorno, Vigo, 1875. Pag. 48, nota a.
•230
Ini sjpcsse /assono /\vnosi studilo dopo inulto tempo
sondo ito a torno si fermò a Ravennn con fìuido
Novello allora signore di Ravennn. »
Certo in questo passo non si dice chiaramente
che Dante vi si fermasse ad insegnare, ma la pre-
messa, eh' e' si recò in modo specinìe dove lui sapesse
fossono famosi studi , può lasciar pensare che la sua
andata a Ravenna fosse per l'appunto motivata dallo
studio famoso che allora senza dubbio fioriva in
quella città. Ad ogni modo v' ha di più. In un codice
laurenziano, segnato del n. CXXXl è inserto un aned-
doto in carta mutilata dalle tarme che il Bandini
pubblicò nel suo catalogo. Vi si legge; « Dicese vul-
garmente che essendo Dante in Ravenna in istudio
e leggendo come doctore varie opere e un dì circa
la casa dello studio pubblico ragunandosi molti dot-
tori etc. etc. » (i)
Il Papa dice che questo aneddoto « nulla osta
a credere fabbricato appunto sulle parole del Boc-
caccio, come sappiamo essere avvenuto per altre si-
mili leggende. »
Lasciamo andare il vario senso che potrebbe ri-
cavarsi dalle parole « Dicesi vulgarmente » con le
quali comincia l'aneddoto, ma ci sia lecito doman-
dare se anche l'argomento del Papa esce solo d'un
millimetro dal livello delle ipotesi. A noi pare di no.
Anzi non vogliamo dimenticare come dal Boccaccio
(i) Papanti, op. cil. p. 114.
— 231 —
si faccia soltanto parola di scolari che Dante ebbe
in Ravenna e non di Studio pubblico e non della
sua lettura come doctore e non in fine di casa dello
studio, tutto cose ben determinate che, secondo la
nostra opinione, non possono trovare origine nella
frase indefinita del Boccaccio.
V.
Ma come tutto ciò non bastasse, ecco da ultimo
un'altra testimonianza valevolissima, nelle postille
aggiunte da uno o più anonimi del sec XIV all'eclo-
ghe latine dell'Alighieri indirette a Giovanni del
Virgilio bolognese, postille universalmente accettate
per veridiche.
Rispondendo Dante al gentile poeta che nell'al-
legoria di un ecloga l' invitava a Bologna, narra con
parole figurate del pari, che quando gli giunsero i
suo caratteri, egli trovavasi con Melibeo ad annove-
rare le pasciute capre.
Forte recensente! pasins de mere capellas
Tiinc ego sub quereli, titeiis et Mcliboeus eramus.
E bene: a Melibeo è contrapposta la postilla
quidam ser Dinus Perini fior ent.- a capellas (sì noti)
la postilla scolares. »
1
fi) /.' canionierc dì Dant;; Aligiheki .innotalo ed illnslrnto da P. Fra-
ticelli. Firenze, Barbera, 1875. p. 414.
23-:
« Il ms. che contiene le ccloLjhe, scrive il Papa,
è, sebbene il Ricci noi dice, il I.aurenz. XXIX, S;
vili zibaldone scritto o posseduto dal Boccaccio, il
cui nome iohis de ceri jl do a e. S4 r. \M)l^ è così bene
raschiato da non potersi più leggere: in questo co-
dice )•' t' tra le altre cose alcune lettere attribuite con
buone ragioni dai (^iimpi e dall' Ilortis al Boccaccio,
v' è la famosi falsificazione della epistola Ilariana,
y' è molte altre cose che il Boccaccio dovette com-
porre per esercizio retorico, laonde, è forse andar
troppo lungi dal vero il supporre aver egli annotate
l'ecloghe dantesche in risposta a quelle del Virgilio? «
Tutto ciò, non muta per nulla il nostro ragiona-
mento; avanti tutto perchè le ultime parole del Papa
non contengono che una congettura: secondariamente
poi, perchè anche accettando (come noi siamo di-
sposti ad accettare) che le postille siano di mano del
Boccaccio, resterà sempre a provare, ciò che rite-
niamo impossibile, che non contengano la verità.
Perchè il Boccaccio commentando l'ecloghe appose
al nome di Melibeo quidam ser Diniis Perini JIo-
rent.? Certo perchè sapeva che quest'esule fiorentino
era veramente a Ravenna con Dante e lo sapeva
figurato in Melibeo. Pretenderebbe forse il Papa che
Giovanni Boccaccio si fosse inventato quel nome e
quel cognome per trarre in inganno i critici del se-
colo XIX? — No, senza dubbio, e il Papa è uno stu-
dioso troppo serio e perspicace per supporre solo
un minuto eh' e' lo pensi. Dove andrebbe la storia
— 233 —
allora? Con simili esempi non si finirebbe a poco
a poco per negare sino l'esistenza di personaggi cele-
berrimi?
K, seguitando, se quel nome è apposto a Melibeo
con coscienza della verità, perchè capellas non deve
essere spiegato con uguale certezza?
L'aver quasi provato il Papa che le postille sono
del Boccaccio, per noi fa aumentare il loro valore. Il
Boccaccio fu dai Polentani a Ravenna sulla metà del
secolo XIV; fu a Bologna più volte e molto proba-
bilmente conobbe Giovanni del Virgilio. Non era
pertanto egli in caso di saper più di tutti ciò che si
adombrava in quelle ecloghe?
Perchè il nostro ragionamento cadesse, a noi
pare fosse d'uopo dimostrare che l' ecloghe sono
una falsificazione, e fortunatamente finora nessuno
lo ha creduto o pensato e molto meno scritto; op-
pure converrebbe provare in modo esplicito che Dante
scrivendo capellas non intendeva dire scolares.
VI.
Dunque? E la mia un'ingegnosa ipotesi o un
fatto acquisito dalla storia?
Se dopo aver provato che quando Dante giunse
a Ravenna c'era un florido Studio e s'insegnava re-
torica volgare, avessimo aggiunto che il poeta v'andò
forse come lettore, e che probabilmente riassunse il
suo insegnamento nel De vulgari eloquio^ allora sì
— '^31 —
che lo nostre parole poircblicro esser chiamate ìiil;<--
f^nos.i ipofesi! K a darle poso, avremmo potuto pio
vare che haute non viveva u (>orte, ma abitava in
una casa privatissima; (i) e a darle tinalmente un
pt)"di colore avrei richiamata l'attenzione alle due si-
militudini
SI come baccelicr s' arma e non parla
Fin che '1 maesiro la quistioii propone ,
Per aiutarla e non per terminarla , (i)
e
Come discente che a dottor seconda
Pronto e libcnte in quello eli' egli è sperto ,
Perchè la sua bontà si disasconda ecc. (5)
notando che l'una e l'altra sono in quei canti della
Comedia che di comune consenso il poeta scrisse a
Ravenna e che quindi ì;!ì potevano essere state sug-
gerite dalla recente e immediata osservazione!
Invece tutte queste cose non ci servono che a
riconferma di quanto asseriscono col Boccaccio, altri
scrittori in modo esplicito. Ci sembra quindi che
r opporsi ancora sia lo stesso che rendere omaggio
a quella folle incredulità riguardo agli storici, la
quale, come abbiamo detto, conduce all'assurdo di
non credere più ai fatti di molti secoli.
(i) // falawo di Guido Xovello da Pckiila iit Rav;»iia di Corrado Ricci.
Bologna, 1887.
(2) 'Paradiso, canto XXIV, versi 46-48.
{3) T aradi io , canto XXV, versi 64-66.
— 235 —
Quando non prestassimo fede a Cassiodorio, a
Procopio, a Marcellino ecc. dovremmo a fil di lo-
gica negare 1" esistenza di Teoderico e di Giustiniano.
Non sappiamo perciò se per avventura vadano
contro la critica positiva più quelli che credono in
tutto, che quelli che simulano di non credere oramai
in nulla!
Forse gli uni valgono gli altri!
T I G R I N O
— -o<(t=I(>o-
TIGRINO
Nel punto dove il fiume Tramaio e il torrente
della Valle s'uniscono per formare il Mariano ^ che
si tramuta poi in Samoggia e a Faenza confonde le
sue acque a quelle del Lamone , sorge un monte in
buona parte sfaldato, sulla cima del quale è la rocca
di Modigliana.
Non descriviamo il brullo e cinericcio masso e il
castello dalla torre rotonda e la sottoposta valle...
— Dalle descrizioni anche le più ben fatte non si rileva
mai il vero, né è lecito che il lettore le ricomponga
a modo suo come farebbe nel caso d' un romanzo. —
E poi, che varrebbe? La rocca attuale, benché co-
strutta nello stesso luogo, non è più quella dove
l'anno 925 Englarata contessa , figliuola di Martino
Duca degli Onesti , teneva una gran corte.
Il fatto che stiamo per raccontare é dei più cu-
riosi di storia romagnola. Da lui muove la lunga
serie delle notizie relative a Modigliana e alle due ce-
lebri famiglie dei conti Guidi e degli Onesti , ed è
noto che questi diedero al mondo Pietro Peccatore
e San Romualdo; quelli, Guido Guerra e (jugliclmo
Novello.
Prima di riprodurrò quanto narra maestro Tolo-
sano, diacono della s,anla chiesa di I\iciija diremo
cli'ei scrisse una cronaca latina pubblicata dal Mitta-
relli in Venezia nel 1771, (i) e ripubblicata da G. B. [Cor-
sieri nel 1S76; (2) che nel 1219, mentre pranzava coi
fratelli fu preso da paralisi per la quale perdette senso
e favella, (3) ma che poi riavutosi per buone cure
potè vivere sino al 1226. (4) Ecco quanto sappiamo
di lui.
Maestro Tolosano adunque racconta che nel tempo
in cui Englarata (chiamata nei documenti anche In-
gelrada, Excolrada, Angelrada o Engelrada) te-
neva corte a Modigliana suo nobile castello, Tigrino
conte di Toscana cacciando una cerva fino al detto
castello, la prese; ed inteso che vi dimorava così
grande signora si presentò a quella, colla cerva presa;
alla quale e' certamente piacque tanto, che l' istesso
giorno tra essi fu celebrato il matrimonio. « Ma eser-
(i) Rerum favitilinarum scriplores, aggiunti ai Rerum ilalicarum scriplores
da D. Giovanni Benedetto Mittarelli. Venezia, 1771. I, Cronicon Toìosani
canonici faveniini
(2) Cronache dei secoli K.III e SII' edite fra i Documenti di storia italiana
pubblicali per cura della K. Deputazione sugli studi di storia patria per le
Provincie di Toscana, dell' Umbria e delle Marche. — Firenze, Cellini, 1076.
Tom. VI. La cronaca del canonico Tolosano è da pag. 597 a p. 797.
Noi in seguito citiamo questa edizione.
(}) Cronaca di Tolosano, cap. CI.XV.
(4^ Crciicua di Tolosano, cap. CLXXXIII.
— 241 —
citando da poi la tirannide per tutto il ducato e
soperchiando in Ravenna i cittadini e le loro donne,
non ebbero paura anche di porre prigione in una
torre del detto castello Pietro arcivescovo di Ravenna
che, pretendendo Modigliana fosse della sua chiesa,
per la suddetta donazione, la chiedeva con grande
instanza a darne conto. Per la quale scelleratezza ed
altri misfatti loro ricercandoli, furono a furore di
popolo ambedue ammazzati insieme con tutti gli altri
da' Ravegnani, la nodrice salvando a pena sé e un lor
figliuolo; il quale di poi in vendetta fece grande
strage de' Ravennati, e non gli bastò avergli uccisi,
che ancora volse leccar il sangue gocciolante dalla
spada, onde si vendicò e fu chiamato Tigrino Bevi-
sangue. Ma l'arcivescovo predetto mentre era in quella
torre porse questi preghi al Signore Iddio, dicendo:
« Te preghiamo, Signor Iddio, perchè abbiamo contro
di te peccato, che ci conceda perdono, ancor che noi
meritiamo. Stendi la tua mano ai caduti, tu che a
quel ladro che ti confessò apristi la porta del Para-
diso. La vita nostra sopita nel dolore e nell'opere
non prende emenda; se tu aspetti, noi ci emendiamo;
se ne castighi, ne diveniamo più duri. » (i) Ed ora,
prodotta la narrazione del buon canonico, quale ri-
sulta dalla parafrasi inedita del Garrari , vediamo un
(i) Storia di Romagna Ji Vincenzo Carrari manoscritto nella Biblio-
teca Comunale Classciisc di Ravenna. Nel Tolosano il fatto si trova ai
capi Vili e IX.
po' se trova conforti) jilcmio nei docuincnti o se va
relegata senz'altro tra le l'avole, di cui abboiui.ino
tanto le nostre carte.
Avanti lutto, Modigliana era posseduta dagli One-
sti. Il Muratori pubblica un magnifico documento
in data dell' 8 settembre 896, (1) È l'estrema dona-
zione d'Incelrada, madre della nostra Englarata, e
figlia di Apaldo conte del l^alazzo, a Pietro diacono
della chiesa ravennate suo figlio, di quanto possedeva
per testamento di Martino glorioso duca suo marito,
e specialmente la Corte Modigliana nel territorio
faentino « cnrtent qua; vocatur Mutiliana. » — Ovvio
adunque affermare che Englarata allora era già nata.
Anzi doveva es^er sui dieci anni, se del (jog « con-
cede per livello ad Adamo uomo illustre del q. Milteo
del genere de' Franchi il Monastero di S. Ermete nel
territorio di Pesaro » (2).
Quando andò moglie a Tigrino, conte Palatino
di Toscana, avrebbe avuto trentanove anni, secondo
che si legge nel codice Ferniani della cronica di
Tolosano, e ventinove invece secondo la giusta cor-
rezione del Mittarelli. È certo intanto ch'ella si ma-
ritò in età piuttosto avanzata e ciò torna utile alla
storia del canonico faentino. Non si spiegherebbe
altrimenti come, giovinetta ancora, avesse potuto
(1) Antichità del Medio Evo. Dissert. V. — 11 doc. è riprodotto anche
da Marco I-antuzzi, Monumenti ravennati (Venezia, 1801) Tom. I, 96.
(2) Moii, rav. i , 105.
— 243 —
tener rnu gran corte in Modigliana e, quel eh' è più,
fidanzarsi così su due piedi.
Delle nozze di Tigrino con Englarata v' hanno
parecchi documenti. Aggiungeremo anche che quegli
morì prima del 940, né gli dovette sopravvivere
d'assai la moglie se troviamo all'anno 942 una pia
donazione fatta da' suoi figli per suffragare la sua
anima, (i)
La cronaca reca un errore dove racconta che
Pietro arcivescovo fu imprigionato da loro, quando
avanzò pretese su Modigliana. Quelli che gittarono
in catene il canuto vescovo furono i figli di Tigrino
e d' Englarata, ossia Guido e Rainiero diacono e ca-
nonico della chiesa ravennate. — Pietro si fidava alla
donazione, ricordata in queste parole dal Carrari:
« l'anno dell' 897', Pietro figliuolo di Martino de gli
Onesti, detto dei Duchi pel ducato di Romagna che
aveva , essendo diacono donò alla chiesa di Ravenna
Modigliana e molti altri luoghi. » — Guido e Rai-
niero osarono metter le mani sul vecchio e cadente
pastore e trascinarlo alla rocca e gittarlo in fondo
ad una torre. Il popolo sentissi dall'atroce prepotenza
così direttamente colpito che insorse, e reso a sua
volta spietato uccise Guido colla moglie e coi nati.
Scamparono da morte, il più piccolo di questi (che
rinnovava il nome dell'avo) per la pietà della nu-
trice, e il fiero Prelato colla fuga. Ma in breve l'ar-
(i) LiTTA, Famiglie celebri italiane. Guidi di Romagn.i — Notizie rac-
colte d« Luigi Passerini. XI, Voi. n. 127, tav. I.
dor popolare s'assopisce e Raincro torna a Ravenna
dopo aver promesso d' inchin;u-.i all' arcivescovo e di
cedergli in donazione alcune saline vicino a Comacchio,
e quanto possedeva a Ronco, in quel di Sant'Arcangelo.
Si vede però che Rainiero non conservossi sud-
dito fedele di Pietro, se questi ricorse contro di lui
prima a papa Giovanni e poi, nell'aprile de! qó/, a<J
Ottone I, che si trovava in Ravenna, a ricevere
gli ambasciatori di Niceforo Foca. Ottenne sempre
sentenza favorevole, onde il perverso diacono fu posto
in bando dell' impero e scomunicato, (i) Nel prezioso
documento, edito dall' Amadesi, l'ofTeso arcivescovo
narra: «Venne Rainero colla sua forza, entrò violen-
temente nello stesso mio episcopio della santa chiesa,
invase la mia sede, prese la mia persona, mise me in
ceppi, e rubò il tesoro della mia chiesa. » (2) Un'al-
tra notizia: Luigi Passerini (che ha tanto dottamente
sbrogliata la difficile matassa dei monumenti diplo-
matici risguardanti la famiglia Guidi) afferma come
dalle carte consultate dal Savioli nei suoi Annali bo-
lognesi risulta che il prepotente chierico fu ucciso in
Ravenna dal popolo tumultuante.
Non è da rimproverare il^cronista Tolosano se
dopo aver attribuita la prigionia di Pietro ad Engla-
rata e a Tigrino, cadesse anche nell'errore di credere
che Tigrino Bevisangue fosse nato da loro. Uno sba-
fi) I. A. A.MADiiSii. — Ih Anlistitum Ravmnatium Chronolaxiin .... Ai-
squisitioues perpelua. (Faenza, 178)) Tom. II, 104.
(2) Op. cit. Appendice. — \)oc. XXVI (Ann. 967) p. 252 e scg.
— 245 —
glio conduceva inevitabilmente all'altro, durando la
giusta tradizione che quest'ultimo volle vendicare sui
Ravennati l'eccidio dei genitori, dei fratelli e dello zio.
È ignoto l'anno in cui Tigrino II infierì contro
i Ravegnani e ne fece strage. Ma oltre al canonico
faentino, molti altri storici ripetono che nella voluttà
dell'odio leccava il sangue gocciolante dal ferro mici-
diale e che perciò fu soprannominato Bevisangue. (i)
Nel 992 era già morto e Gisla di Ubaldo mar-
chese, vedova di lui, viveva nella corte di Modigliana,
felice forse nella sua pietà, che il marito, prima di
chiudere gli occhi per sempre, avesse riconosciuta ec-
cessiva la sua vendetta, e in senso d'espiarla avesse
costrutto un grande convento pei monaci Clunia-
censi, sopra una bella collina del Casentino, a vista
del suo castello di Strumi!
Come si disse, questi fatti sono storicamente i
primi in cui compaiono menzionate le due celebri
famiglie dei Guidi e degli Onesti, non che la terra
di Modigliana, essendo mal soda ipotesi il crederla
« quel castello Mutilo de' Galli Boi memorato da
Livio. »
Si giudichi pertanto da tutto questo l' importanza
del cronista faentino, fino ad ora tenuto in poca
considerazione da quanti nello scrivere una storia si
fidavano e si fidano al proprio criterio, spesso fallace,
più che alia forza dei documenti?
(t) ToLOSANO, cap. vili.
IMELDA LAMBERTAZZI
IMELDA LAMBERTAZZI
oo< XJ aaasaiOo<
I.
Bologna fu delle prime città d'Italia che. ribel-
late air impero, si ressero a popolo. Ma insieme col
, Comune sorgendo ovunque le gare funeste dei citta-
dini, anch'essa si trovò divisa nei due grandi partili
dei Guelfi e dei Ghibellini; i quali, dalle famiglie
che li capitanavano, presero nome rispettivamente di
Geremei e di Lambertajp.
Quale dei due partiti dominasse dapprima è fa-
cile stabilirlo, leggendosi negli Statuti del 1245 che
i nemici della Lega Lombarda e della Chiesa dove-
vansi ritenere nemici di Bologna, in poter de' quali
fu però prossima a cadere quando le vittorie di Man-
fredi accrebbero le loro speranze e il loro ardire. (1)
Le lotte intestine furono lunghe, numerose , fe-
roci: né bastarono a frenarle Loderingo degli Andalò
e Catalano de' Malavolti , i due frati gaudenti che
Dante, forse ingiustamente, dannò per ipocrisia al-
l'inferno. Cosicché del 1274, nelle strade e dalle
(i) Dc'i mpuumenli istorici pcrliiienli alle picvincie delle Remagne. — Sta-
tuti di Bologna dall'anno 1245 all'anno IJ67, a cura di Luigi Frati. Bo-
logna, R. Tipografia, 1S77. Tom. Ili, 172.
— 2SO —
duecento toni gentilizie fu coniliaituta , per j^ù di
un mese, una guerra spietata, la quale s'estese a luiiti
il contado, (i) « Nelle famiglie medesime, — così ricava
il Savioli dai vecchi cronisti — nelle famiglie medesime
divise fra sé di parte, violaronsi le ragioni del sangue,
e le donne stesse non inorridiroiiu in fra gli stormi
e vi secondarono il furor de' padri e mariti. » (2)
Amore però, — avverte l'antico proverbio, — non
mira lignaggio, né fede, né vassallaggio. Racconta
infatti Cherubino Ghirardacci nella prima parte della
sua Historij di Bologna che il feroce odio delle
due fazioni non potò * vietare che Imelda, figliuola
d'Orlando Lambertazzi, bellissima giovane, ardentis-
simamente non 's' innamorasse di Bonifacio figliur^lo
di Geremia de' Gieremei, bellissimo giovane, e che egli
parimente non provasse per lei le medesime fiamme
amorose. » (3) La cosa anzi si spinse al punto che
Imelda vinta dalle preghiere dell'amante acconsentì
a riceverlo in casa.
L' incauto passo non fu certo condotto con troppa
secretezza , se un maledetto spione potè correr tosto
ad avvisarne i fratelli, i quali si trovavano nelle case
de' Caccianemici.
(l) Nanne Go^^arfmi e Baldassarre Cassa foi^Gicvanui XXIII racconto sto-
rico di Giovanni Gozzadini. Bologna, Romagnoli, 1880. Pag. 6.
(2) Annali bolognesi di Lodovico Savioli. — Bissano 1795. Voi. 111.
pan. I , p. 4S1.
(j) Della Hisìoria di Bologna di Cherubino Ghirardacci. — Bologna,
Rossi, 1596 — Parte I, p. 22)..
— 251 —
Senza indugiare in consigli, anzi furibondi pel
feroce odio di parte, corsero tosto alla camera di lei,
la quale ebbe tempo di salvarsi colla fuga. Ma il po-
vero Bonifacio non giunse a fare altrettanto, cosic-
ché dopo breve e inutile difesa cadde trafitto nel
cuore da un'arma avvelenata all' uso saraceno. I Lam-
bertazzi, compiuto il nefando delitto, s'affrettarono a
nascondere il cadavere di Bonifacio, trascinandolo in
una cloaca che passava sotto la loro casa. Uscirono poi
dalla città; intanto che Imelda, dal luogo di rifugio
ritornata alla sua camera, s'accertava della preveduta
sciagura, scorgendo il pavimento qua e là largamente
macchiato di sangue. Sulla cui traccia (mal reggen-
dosi per la grande ambascia) si trascinò sino al luogo
« ove l'amante morto si giaceva e gittatasi sopra il
delicato corpo, che anco caldo era, et gittava sangue,
cominciò con la bocca la infelice ad asciugare le ve-
lenate ferite, et mentre piangendo si doleva della
morte di Bonifacio', passandole il veleno al cuore,
cadde Imelda morta tra le braccia del morto amante.
Scoperto questo miserabil caso, di qui suscitò alla
palese l'odio mortale fra le due fazioni e tanto crebbe,
che mandò la città in ruina et servitù. » (i)
II.
Tale la pietosa fine dei nostri due amanti, che
certo non venne in celebrità come quella di Paolo
(i) Op. et he. cil.
e l'Vancesca, di Romeo e (liulictiu perchè mancò un
iiif^eyno poderoso, il quale ne facesse argomento di
qualche opera immortalo. NLillameno le narrazioni
degli storici posteriori al (Jhirardacci , le mediocri
tragedie di ('.arlo Cocchctli e di Luca Vivarelli, il
i\Tiito libero d'un ayyncjto bolognese (edito nel 1827)
e più una novella di Cosare Balbo e le commoventi
elegie di Federico Holm di .1 C barone di Wes-
semberg, hanno reso notabile quel fatto che la critica
storica (diciamolo una buona volta) nega recisamente.
Lodovico Savioli, il quale — come afferma Giosuè
Carducci — compose, con pazienza d" indagini diplo-
matiche incredibile in poeta, e con critica molta, gli
Annali di Bologna, fu il primo a negarlo, quando
in una nota alle ultime pagine di testo scrisse: Senton
la favola i funesti amori d' Ime Ida de Lamberla^p
con Bonifacio figliuolo di Lodovico de' Geremei Ne
sognata meno è la rissa, ecc. (1) — Al Savioli tenne
dietro, secondo, e credo anche ultimo, il conte Gio-
vanni Gozzadini che nella sua opera sulle Torri gen-
tilizie di Bologna chiamò quegli amori senz'altro
leggendari. (2)
Però, oserei affermare dopo molte e minute ricer-
che, nessuno ancora cercò l'origine della favola, la
quale deve senza alcun dubbio vedersi nella decima
delle novelle che Sabbadino degli Arienti, col titolo
(i) Op. cit. Ili, pan. I, .489, nota D.
(2) Gozzadini, Delle torri gentilixjc di Bologna, Bologna, Zaniclielli,
18S0. Pag. 291.
— 253 —
di Porrettane stampò la prima volta nel 1483 (si noti
questa data) in Bologna per Enrico de Colonici re-
gnante lo inclito cavaliere Zoane Bentivoglio II. L'ar-
gomento della novella indicata è appunto « Bonifacio
de Hieremei trovato ascoso dali fratelli de Imelda di
Lambertazzi in casa loro è ucciso: et lei per doglia
trovandolo sepolto, et zuzzandoli la piaga del core,
finisse la sua vita, donde ne succedono sanguinolente
battaglie. » (i)
Infatti nessuna delle cronache bolognesi a stampa,
antecedenti al 1483, nel quale anno, come vedemmo,
uscirono in luce le Porrettane^ accenna pur con una
frase a quell'avvenimento che, secondo gli storici po-
steriori, avrebbe eccitato i due partiti a fiera batta-
glia. Né le più particolareggiate e le più autorevoli
fra le manoscritte che si conservano nella biblioteca
universitaria di Bologna, come la Gattani (n. 429), la
Varignana (n. 432), la Latuate (n. 1430), la Bianchina
(n. 294), ecc., hanno una parola in proposito, mentre
invece s'estendono oltremodo nella dolorosa narra-
zione quegli che scrissero dopo che il padre Ghirardacci
ebbe pubblicata nel 1596 la sua storia, Gosì per ci-
tarne alcuni la riprodussero il Negri, (2) il Ghiselli, (3)
(1) Perniane ili Sabdadino Bolognese. Venezia, 1531. Novella X. Pao' 22.
(2) Negri. Annali di Bologna mss. nella Bib. Univ. Boi. n. 1:07.
Tom. Ili, p. II, all'anno 1273.
(3) Anton Fr. Ghiselli. Memorie antiihe mss. di Bologna nella Biblio-
teca Univ. Boi. n. 770. Voi. I. 528.
il Sismondi (i) e il Miizzi (2) non pieoccupniuiosi i
due ultimi nemmeno del dubbio avanzato da Lodo-
vico Savioli.
III.
Nessuno però ha ancora avvertito come reciiino
il fatto due altre cronache inedite di scrittori vissuti
innanzi al Ghirardacci, e cioè, Alamanno Bianchetti,
che ne scrisse brevissimamente, (3) e Friano Ubaldiiii
il quale lasciò: « la chasson per che tu la dita bataija
fu in questo modo . essendo innamorato bonifazio
fiollo di M. Zoano di zeramai chavaliero, in una lìola
de M. orlando di lambertazi chavaliero, che avea
nomo imalda . e' che li frateli de la dita imalda atro-
vorno in chassa el dito bonifazio . essi lamazorno et
anchora amazorno la dita imalda soa sorela e quosì
fumo morti tuto doi senza farli pensiero sopra a
questo chasso . essendo una parte ghelfa e laltra ghe-
belina . per la morte del dito bonifazio se atachorno
insemo per modo che le strà chorevano sanghue. » (4)
Ma pel passo riferito non s'allieti il lettore di-
sposto a credere alla novella; poiché è noto che il
(1) SiSMONDo SiSMOXDl. S'or/.i delle repubbliche italiane. Capolago, 185 1 —
Tom. Ili, 3>2-
(2) Salvatore Mlzzi. Annali della cillà di Bologna. Bologna 1S40.
Tom. II, 80.
(3) Annali di Bologna mss. nella Bib. Univ. Boi. n. 290, a e. 67 recto.
(4) Cronaca di Friano Ubaldixi ms. nella Bib. Univ. Boi. n. i,)0.
V. a e. i8() r.
— 255 —
Bianchetti scriveva settant'anni dopo a Sabbadino
degli Arienti, e 1' Ubaldini, — alla cui prosa gl'idio-
tismi donano tant'aria d'antichità, — almeno tren-
t'anni! Così rimane sempre che la leggenda dei fu-
nesti amori non entrò nella storia se non dopo che
il novelliere bolognese ebbe stampate e ristampate le
Porrettane.
Del resto, ch'egli stesso trovasse la storiella, a me
sembra che si ricavi dalle sue parole. Finge, imitando
de more il Boccaccio, che le novelle sieno narrate da
una compagnia di cavalieri e di gentildonne che nel-
l'estate del 1475 si trovavano con Andrea Bentivoglio
ai bagni della Porretta. Giunta la volta di Maddalena,
figlia del conte pur mo' ricordato, essa così dolcemente
cominciò: essendo io fanciulla audii dire a la com-
mendabile memoria del mio avo paterno, che essendo
egli in esilio a Firenze.... messer Antonio Galeazzo
di bentivogli.... // narrò che regnante Teodosio im-
peratore secundo fumo in la città due potenti fami-
glie, cioè Lambertazzi, et Hieremei.... et essendo un
bel giovine nominato bonifazio, ecc. » — Giudichi
ora il lettore se sopra tali allegre e spropositate testi-
monianze è lecito far della storia. Quanto all'aver fatto
nascere quegli amanti in due famiglie veramente esi-
stite, Sabbadino non fece altro che seguir l'uso dei no-
vellieri antecedenti e massime del Certaldese che, fra le
altre, pose come personaggi d'una leggenda fantastica
d'origine germanica, gli storicissimi Nastagio degli
Onesti, Paolo Traversari e Guido degli Anastagi !
- 25(5 -
Ma chi potrà più insistere in l'avorc di iiucll;i
leggenda, quando sappia ancora che non v' lia nò
cronaca né documento contemporaneo e per altri
due secoli, che ricordino pure il nome dei due amanti?
e quando finalmente sappia esser sicuramente pro-
vato che la causa per la quale le due famiglie o
meglio i due partiti s'animarono alla fiera battaglia
del i-!74, venne dall' aver i Geremei mandato il car-
roccio contro Forlì, la città ghibellina che i Lamber-
tazzi e i loro seguaci di tutta Romagna proteggevano
con geloso furore? (i)
Non mancherà certo qualche anima pietosa che
si consolerà trovando il fatto probabile. Buon per lei
che ignora o 'dimentica come sia assioma della critica
seria l'adagio: mille probabilità non fMino una verità !
^S
(i) Saviou. 0/>. ci he. cil.
PIETRO DI MATTIOLO
E LA SUA CRONACA DI BOLOGNA
PIETRO DI MATTIOLO
E LA SUA CRONACA DI BOLOGNA (i)
L'autografo della cronaca di Pietro di Mattiolo
passò alla biblioteca universitaria di Bologna insieme
ad altri moltissimi manoscritti raccolti da Ubaldo
Zanetti.
Quest' Ubaldo Zanetti fu uno speziale che nel
secolo scorso tenne suo negozio in Bologna presso
la chiesa di San Bartolomeo di Reno detta anche
della Pioggia. Raccoglieva tutto ciò che di mano-
scritto gli capitava alle mani, senza troppo discerni-
mento, cosicché fra l' immenso acervo delle sue carte
e de' suoi codici, si rinvengono molte cose, la con-
servazione delle quali è veramente ridicola; lettere
d' ignoti che chiedono quattrini in prestito ad altri
ignoti; liste d'operai che avevano ristaurata una can-
tina o rimessi alcuni vetri ad -una finestra; frammenti
di storie copiate da libri a stampa tutt'altro che rari ;
(l) Questo studio fu premesso da me alla Cronaca bolognese di Pietro
DI Mattiolo che stampai pei tipi del Komagnoli nel iSS;. Lo ristampo
qui avendo rinvenuto altre notizie con le quali compierlo.
— Un) —
insomma un inutile iiii;nmhio clic non serve ad altro
che ad aumentare la fatica e la dillicoltà delle ri-
cerche.
Pelò fra tanta cartaccia senza valore, si trovano
molti codici di prct^io indiscutibile. Il Zanetti faceva
i suoi acquisti quando la smania del raccogliere an-
tichità s'era un po' sopita col diminuire degli ideali
classici del nostro rinascimento, né ancora accennava
a risvegliarsi alla luce dei tempi modernissimi, (jli fu
facile adunque trovare e comprare molto e anche
molto di buono e a buon mercato.
Gian Battista Palmieri parroco di S. Michele del
Mercato di Mezzo in un suo volume di memorie mss.
su questa chiesta raccolte con somma diligen:fa scri-
veva, nello scorcio del secolo passato, intorno alla
compra fatta dal Zanetti della cronaca di Pietro, in
tal modo: « A giorni d'oggi di questa ben conser-
vata cronica n" è il padrone il signor Ubaldo Zanetti
speziale ed antiquario diligentissimo di Bologna, che
la comprò dal signor Amadei canonico di S. Maria
Maggiore per lo prezzo di lire quindici e che pei me
la diede in prestito per qualche tempo. Ma nel rileg-
gere io questo libro ho conosciuto che in verità questo
libro era (per lo meno dell'anno 1G15) di ragione di
questa chiesa poiché alla fine di quello vi si notano
alcune cose accadute negli anni 1608 e if)i3, che a
mio credere sembrano scritte da D. Girolamo Dome-
nichini paroco a' quei tempi di S. Michele, come
dal confronto da me fatto con i caratteri del detto
— 26 1 —
D. Domenichini, che si vedono nei libri Parocliiali
di S. Michele. » (i)
In poche parole, la cronaca di Pietro era rimasta
all'archivio della chiesa, e chiunque fosse il parroco,
che la vendette, vendette cosa non sua e meritò il
castigo di Dio. *
Fortuna, al postutto, che finì in una pubblica
biblioteca !
II.
Il numero delle cronache bolognesi è talmente
straordinario eh' io credo di non cadere nel falso as-
serendo che di ben poche città se ne trovano tante.
Lo Studio frequentatissimo, che per tanti secoli ha
contribuito a far di Bologna un centro di coltura,
ha forse anche il merito di questa fioritura di cro-
nisti, i quali si sono succeduti, con ben poche e brevi
lacune, dal secolo XIII ai nostri giorni.
Non è giovata dapprima la stampa a diradarli o
ad attiepidirne, dirò così, la grafomania, né sono gio-
vati da poi i periodici. E anche oggi non manca chi
I) "D. O. M. Sommario de Ropli spettanti alla chiesa parrocbialc di
S- Michele nel Mercato di Me:^xo sJ alle eredità a lei pervenute e memorie sto-
riche per il buon regolamento di quella a commodo de' suoi Rettori Curati. Qiiesto
accurato ms. si conserva ora nell' Archivio parrochiale di S. Pietro e
debbo 1' averlo esaminato alla gentilezza del cb. can. dott. Arturo Marchi.
Cfr. anche le Memorie di Bologna del Giiisei.li niss. nella Bib. Univ. Bolo-
gnese. Voi. X\X1\'. 99.
— -Hì-l —
rcpistiM in un libro ciò clic acciidc giorno per {giorno
in Hologna, ed è notississimo nppunto un vecchietto
piccolo, curvo e tremante che si reca oi^ni sera, da
mezzo secolo, in un puhblico convegno per trascri-
vere dai diari cittadini ciò che ritiene più importante.
Questa del nostro Pietro è senz'alcun dubbio
una delle più belle e pregevoli cronache bolognesi.
Riassume quanto accadde nell'ultimo ventennio del
secolo XIV e nel primo del secolo XV, senza veruna
preoccupazione retorica, ma con un'evidenza e una
semplicità maravigliose. Gli sgomenti e le audacie
della plebe ignorante, le astuzie e le prepotenze dei
forti e dei ricchi, martirii che sembrano giuochi spie-
tati e giuochi'che sembrano martirii ancor più spie-
tati; le ribellioni di città, le scorrerie fatte sul con-
tado dai capitani di ventura, insomma tutta la trista
e pericolosa vita bolognese del medio-evo vive nella
modesta opera del nostro buon cronista. « Io la ho
scrita, dichiara sin da principio, con veritade al più
che io ò possudo, non per male alchuno, ma perchè
talvolta è de necessitade o torna in achunzo, e tal-
volta deletta agli omini de recordarse de le cose pas-
sade. » E di questa sua veridicità, cui mostra di tener
moltissimo, il lettore può facilmente assicurarsi con
un breve lavoro di confronto fra le sue narrazioni e
i documenti editi in recenti opere che riguardano a
quei tempi e a quei fatti, nei quali si trovò Pietro di
Mattiolo. Così molte volte avverte di non far men-
zione d'una cosa perchè non Li s.i per certo.
— 263 —
in.
Della sua vita abbiamo notizie bastevoli per un
cenno. Egli stesso ci dice che suo padre si chiamò
Mattiolo e che lo mise alle scuole di Porta Nuova
dove nel 1371 udì « in fra gli maistri e repetteduri
e scolari » (i) certe profezie di non remoti danni
che avrebbero colpito la sua patria e il mondo. Dalla
data prodotta si può anche argomentare eh' e' nascesse
sulla metà circa del sec. XIV.
Tutte le notizie, offerte da Giovanni Fantuzzi
negli Scrittori bolognesi intorno al nostro Pietro
sono ch'egli « dell'anno 1378, li 5 ottobre fu eletto
parroco di S. Michele del Mercato di mezzo e ne
prese il possesso nel giorno 12 di detto mese, come
per rogito di Paolo Cospi e che morì dell'anno 1425
come da rogito di Filippo Formaglini. » (2) Il Fan-
tuzzi dichiara in nota d'aver ciò appreso dalle Me-
morie citate, raccolte dal Palmieri, il quale a sua volta
scrive: '< D. Pietro di Mattiolo Fabro fu eletto nel
giorno 5 ottobre 1378 a paroco di questa chiesa dalla
antica potente famiglia Ramponi, e da' Parochiani
ancora, come compadroni di questa chiesa; e ne prese
il possesso nel giorno 12 per bolla speditagli dal ca-
pitolo di San Pietro, come da rogito di Paolo Gospi,
(1) Cronaca, p. 7.
(2) Noìii^ie degli scrittori bolognesi raccolte da Giovanni Fanti,'z.!i. Boloijiia,
tip. S. Tommaso d'Aquino 1785 in .\. Voi. Ili ; pag. 2S1.
— Jl.l. —
anno e fjiorno sudotii. Di questo puroco se ne la
menzione in molti rogiti dell' Archivio del Consorzio
vii I*. S., e si comincia sin dall'anno 1379,3 8'"8"0)
poscia dell'anno 13S1: 10 nia^i^io, vicn detto Sindico
vlel Consorzio sudetto, il che parimenti si dice sino
all'anno 1430: i gennaro. Dell'anno 1422: 5 icbrario,
ed anno 1424: 16 dicembre \ ien detto l'revosto di
d. Consorzio. » {i)
Io non sono riuscito a rintracciare tutti questi
documenti. Però in uno dei molti libercoli d'appunti
del notaio Paolo Cospi, che si conservano nell'/l/--
chivio notarile di Bologna, si legge: « MCGCLXX'VIII.
Actuin die quinto Octobris — Vicini et parochiani
Ecclesiae S. Michaelis de foro niedij fecerunt eie-
ctionem de presbitero petro ex instrumento mei et
Ioannis de duglolo , qui scripsit. » (2; — In questo
tempo circa, in cui diventò parroco di S. Michele
in Mercato di Mezzo, cominciò a scrivere la sua
cronaca. E alla postura di quella sua dimora, pro-
prio sulla strada che allora, come oggi, era la prin-
cipale di Bologna, dietro al palazzo del Podestà, e
vicino alla Piazza, si debbono in gran parte l'ab-
bondanza e la sicurezza delle cose da lui narrate. Se
anche ora nelle grandi città torna difficile, senza il
soccorso dei giornali, conoscere tutto ciò che accade
(i) Sommario de' Rogiti ecc. p. 457.
(2) Archivio notarile di Bologna. C^ps. XII pai. IX; can. i e 2.
Prot. XXXI, cari. 21 terzo.
— 205 —
nei diversi e lontani rioni, che non doveva essere
quando le relazioni fra individui erano poche? quando
mancavano notiziarii e convegni pubblici? e quando
finalmente negli inacessibili palazzi del governo si
chiudeva il segreto d'ogni avvenimento?
Tutta la vita politica a quei tempi si esauriva
nella piazza. Chi s'impadroniva della piazza era si-
gnore della città. Là s' innalzavano le insegne del
potere, i roghi e le forche; là s'applaudivano in festa
i signori che da lontano pellegrinavano a qualche
nostro santuario, e i Legati pontifici mandati da
Roma. Dalle sue torri, quella dell' Arringo o del Po-
destà e quella del Comune, moveva il primo suono
delle campane, che avvisava i cittadini essere i nemici
in vista alle mura; in fine, nella piazza a sono de
trombette e a voxe de batididore erano narrate al
popolo quelle nuove che poteva imparare senza no-
cumento o pericolo di chi governava. E Pier di
Mattiolo abitando proprio nel centro di Bologna,
apprendeva così fra i primi i destini della patria!
Anzi talora vide frangersi le lotte contro la sacra
quiete della sua chiesuola. La sera del g Luglio 1404
appena finito il terzo suono della campana del Co-
mune, Pietro di Versuxe cambiatore trucidò Nicolò
Ariosti proprio sotto il portico di S. Michele « e tutta
quella notte e parte del dì seguente elio stette cussi
morto, in la ditta ghiexia. » (i) Due giorni dopo
(l) Cronaca , i6o.
— idi)
fra iU\rtolomco, vescovo dell'ordine dei l'inti Minori,
trasse a riconciliare il polluto luogo! (i)
IV.
Il giorno 12 di maL;ni() del 1411, un anno dopo
che Baldassare Cossa era stato eletto papa col nome
di Cjiovanni XXII, la plebe si sollevò e al grido di
« viva il popolo e le arti «> depose il cardinale di
Napoli che reggeva Bologna come Legato del fiero
pontefice. Ma scorsero appena quindici mesi che già
i nobili tornarono la città al loro potere e alle Sante
Chiavi.
Nei primi giorni del i4if>, durante l'agitazione
del concilio di Costanza, dove tre partiti discutevano
a favore di tre papi, Bologna si levò di nuovo a ru-
more contro il governo pontificio e le lotte durarono
sino a che la città fu nelle mani d'Antonio Bentivo-
glio. Martino V, uscito papa legittimo tra le minacele
del concilio e de' sismatici, mosse verso Bologna e da
Firenze (ove si era fermato con la corte ) ne chiamò
il vescovo. Questi partì il 6 di marzo del 1420 e tornò
ai 24 del detto mese per leggere dall'altare di S. Pietro
« una bolla papale in la quale lo ditto papa Martino
pronuntiava tutto lo puouolo de la citade de bologna
esser scomunigado, e tutte le ghiexie de quella esser
interdite ex comunicatione late sententie , se Infra lo
(i) Cronaca , l6i.
— 207 —
termene de Quindexe dì prosimi che seguisseno, la
ditta citade e '1 Regemento de quella non fosse sego
d' acordo, e non obedisseno ai soi comandamenti, zoè
de Receuerlo in bollogna e d'aceptarlo per so signore
corno vero papa e pastore de la sancta madre ghie-
xia. » (i) Quanto dolore dovè mai colpire il povero
parroco di S. Michele, quando dal presbiterio del
duomo udì la minaccia del vescovo! quanto desiderio
che Bologna tornasse tra le braccia della Chiesa !
Ma il popolo e il comune rifiutarono di sottoporsi
all'offerto accordo e Pier di Mattiolo, come tutti gli
altri preti, non potè più dir messa.
Ma questo fu ben piccolo danno a confronto di
ciò che seguì. Dapprima si riversò sul contado di
Bologna l'esercito del papa, condotto da Braccio di
Montone, da Carlo Malatesta, dal marchese di Fer-
rara e da vari capitani. La città fu chiusa; furono
rotti i canali che conducevano l'acqua ai mulini; fu-
rono saccheggiati e arse i sobborghi. A questi peri-
coli e a questi danni comuni, se ne aggiungevano
de' speciali pei sacerdoti. Scelti a reggere il comune
Lodovico Marescotti, Giovanni dal Calice, Giacomo
di Maso dalle Corregge, Pier Veneziano e Beccadello
degli Artinisi, questi « per vigore de l'arbitrio e
bailia t imposero a tutti i chierici della città e del
contado taglie e tasse veramente eccessive « eh' igli
— dice il nostro cronista — non posseano pagare. »
^l) Cronaca , ;oi.
— 21 iS —
Aj;i;iungc che chiusero e tennero i ribelli in prigione,
che « miindono hi fameglia a cliaxa de i>iù i"'crsi)ne
chirixi |K'r l'arali [MLìliare, E mandono de niulii proui-
sionadi ad alchuni monestieri et al vescouado, che
manzauano e beueano e strusiauano zo che gli era,
lini chi pagauano, E serono de fuora le cliaxe de Al-
chuni honestissimi monestieri de religiosi, el Ibimento
el vino e l'altre cose vandeano, e oltra de questo l'eno
fare comandamenti , che gli Mulinari non maxenas-
seno ad alchuna generai ione de chirixi né a fradi né
a suori ne preti né chirixi de neguna conditione,
E ch'i fornari no gii coxesseno del pane, E che del
sale non gli fosse vendudo, Oltra de questo procazono
d'auere gli liurt di consortii per rescodere gli aliti
suoi, E quigli de la fabricha de sam piedro, F. maiìi
dono bandi e choman damenti che neguno douesse
respondere ad alchuno chierego, de fruti alchuni de
soi loghi né soe possessioni, né de dinari né d' al-
chuno affitto, E chi auesse dinari, o bestiame o al-
chuna altra chosa de chierego alchuno, la douesse
denuntiare e dare in scrito a quigli officiarli, E simil-
mente, chi fosse debitore d' alchuno chierego, per
modo alchuno non gli douesse respondere né dare
alchuna coxa , ma quigli douesse dare e porgere in
scritto a loro, e finalmente pagare a loro, E per
queste cose e per altre assai, eh' i feno simile a queste,
multi chirixi e de diuerse coiiditioni se n'andono
fuora de bologna e del contado, Ai quali era puossa
mandado la fameglia a chaxa , per modo che loro o
— 2b9 —
altri per loro conuignia pagare, Et alcuni temando
de non esser priuadi per forza dal regemento con
saluacondotto retornauano, e anche pagauano jfcr ;??o.-
strare amixi del Regemento, e per pora de pie^o. » (i)
E il nostro buon parroco fu appunto fra quelli che
per pora de piejo pagarono. Pagò perchè ebbe paura,
poiché, se nuli' altro dalia cronaca si rileva intorno
la sua indole, questo risulta chiaramente e ripetuta-
mente, che fu timido sino all'eccesso. Del resto non
è molto da rimproverare. A quei tempi bastava una
parola per mettere la vita a repentaglio; ed egli avea
veduti pendere dalle forche di piazza più imprudenti
che assassini! Ma il suo spavento non l'abbandonava
mai, anche quand'egli era solo nella sua cella e nella
quiete della notte scriveva la bella cronaca. Forse
— doveva egli pensare — un qualche pettegolo un
giorno o l'altro potrebbe vederla e se avessi scritte
cose spiacenti a chi comanda, finirei murato in un
pilastro dell'arcivescovado o chiuso in una delle
gabbie che pendono dalla torre degli Asinelli o dal
Palazzo del Podestà! — Quindi non si permetteva
mai un apprezzamento sfavorevole né pure nel san-
tuario della casa, se non quando il pericolo di un
castigo era scomparso affatto. E ben vero che a certa
notizia dell'anno 1403 aggiunge in calce un fiero giu-
dizio sulla Signoria de' Visconti in Bologna, ma l' in-
chiostro di tinta diversa e molto più chiaro mostra
(i) Cronaca , 310 e seg.
ch'egli espresse quel giudizio quando i signori di
Milano aveano rinunziato a Bologna, e quando egli
non sognava neppure che potessero per vie strane
tornarvi come vi tornarono nel Ì43S.
Ma allora Pietro era già morto: altrimenti avrebbe
bruciata la sua cronaca, sempre per pora !
Le più feroci ingiustizie, gl'insulti più cattivi
fatti alla sua patria, al suo partito, sembra che non
r offendano per nulla, cosicché talora mal sapresti
definire se sìa guelfo o ghibellino, se la sua veste di
prete e le sue commozioni all'arrivo e alla partenza
dei Legati non ti facessero certo della sua opinione.
Solo gli abitanti di S. Giovanni in Persiceto lo tra-
scinano contro'sua voglia allo sdegno- soltanto contro
di loro prorompe in fiere accuse. Ma questo non altro
dimostra se non che il nostro prete era ben sicuro
che i Persicetani non avrebbero mai invasa Bo-
logna, (i)
Dunque, come dissi, don Pietro pagò e pagando
cadde nella scomunica. Per quanto si sa, questo fu
il magggior dolore che provò in vita, e per questo,
della sua assoluzione, ottenuta quando il governo
pontificio fu ristabilito in Bologna, fece lunga e scru-
polosa memoria nella sua cronaca. « De la parteci-
patione di scomunigadi e de la scomunicatione in la
quale Io dom piedro de Mathiolo, rectore de sam Mi-
chele de merchado de mezo , era incorso, per gli di-
(i) Cronaca, 2S8 , 2H9 , 505, 504 e 506.
nari ch'io sforzadamente avea pagadi al comune,
Messer lucha vicario predetto de la corte del ve-
scouado, si me assolse in la camera soa , Et si me
restituì in gli sacramenti e officii de la santa madre
ghiexia. Per Instrumento fatto per mane de Francesco
degli albergati nodaro, presente messer dom Augu-
stine Rectore de sam Marino, don franzesco Rectore
de santo ysaia, e Philippo formaglini publico nodaro
I MCCCCXX. Adi XX del mese de luglio, E chusì
è scritto. » (0 E in grazia di questa assoluzione potè
anche ritornare a celebrar messe sull'altare della
SS. Trinità nella chiesa di S. Leonardo di cui egli
avea la tenuta. (2) È ragionevole adunque che nella
cronaca pensasse ad assicurare i posteri del suo ri-
torno nella grazia di Dio.
V.
Il P^antuzzi sulla fede del Palmieri afferma che
Pier di Mattiolo morì nell'anno 1425. Preciseremo
anche di più il tempo della sua morte. L'ultima me-
moria che egli produce nella cronaca è del 23 no-
vembre 1424. Un rogito di Filippo Formaglini in
data del io Maggio dell'anno che seguì ci assicura
(i) Cronaca, 509.
{2) Neil' Archiv. Noi. di Bologna ( caps. Xlll — Piano VII , Gas. V )
fra i roditi di Filippo Formaglini ( Filza X, n. i ) si trova la copia del-
l' inventano delle cose di S. Leonardo scritta di mano del nostro Pietro
di Mattiolo. La pubblichiamo in fine a questo studio.
■1--1
cW era morto. « Die decimo maij. Vacante Rectoratii
Ecclesie sjiicti Michaelis de foro medij bnnoniac per
tiiiirtcni presbiteri Pe tri de foro incdij : Li circa ve-
ncrabilis vir d. Petrus condani Rodiilplii de Rampo-
nibiis suo proprio nomine Raymundi , Francisci et
Pliilippi .... de Ramponibus , qui oiìw.cs suiit patroìies
diete Ecclesie feccrunt electioncm de prestitero
Antonio ser Tomasini de Comitibus de Argenta
ad Rectoratum diete Ecclesie, (i) ctc. ctc » Dunque,
sulla fede, che in simil caso, devesi al Fantuzzi o
meglio al Palmieri, escludendo che Pier di Mattiolo
sia morto nel dicembre del 1424, avremo la certezza
che passò in uno dei primi quattro mesi del 1423.
VI.
Tornando alla sua cronaca, dirò che consiste in
un codice cartaceo, di ottantuna carte le quali dopo
l'inconsulto taglio del legatore (cui si deve la sop-
pressione di parte della numerazione originale), mi-
surano cm. 20 per cm. 19. (2) — Il frontispizio mo-
(i) Archiv. Notarile di Bologna Caps. XVHI, Pian. VII. Gas. V. Rogiti
di Filippo Formaglini. — Ann. 1425 , e. 42.
(2) Della cronaca di Pietro di Mattiolo esistono parecchie copie fatte
nel secolo passato. Una d' esse è nella Biblioteca Universitaria; 1' una
vidi presso 1' edit. Gaetano Romagnoli, una terza dichiara il Palmieri d' aver
tratto dall'originale. « 1779 in settembre. Desideroso io sempre mai di
raccogliere quanto si puole a profitto , et a decoro di questa mia Chiesa ,
ho volsuto anche arrichirla della Storia del sud. D. Pietro di Mattiolo Fabro
273
derno reca « Cronica / o sia / M\:\io\u ale / delle cose
di Bologna dall' anno / 137 1 al 1424 / scritto da
Pietro di Mattiolo Fabro / Bolognese / fu Rettore
di S. MicHKi.E del Mercato di me^^o. » Non lo ripro-
dussi a capo dell'edizione che ne feci perchè, senza
alcun dubbio, non risponde all'antico ed è in parte
sbagliato. Alcuni altri chiamano questa cronaca « Cro-
naca Fabra^ » (i) ed io rifiuto anche questo secondo
titolo perchè stimo che sia un errore credere, come
hanno creduto, con molti altri , il Fantuzzi e il Gui-
dicini (2) un cognome quel « fabro » aggiunto al
nome del padre del nostro Pietro. Nel documento
già indicato relativo all'altare di S. Leonardo, egli
si firma semplicemente « ego dompnus petrus condani
Mathioli )•> come semplicemente nella cronaca, agli
con farne di mio proprio carattere una copia, e di illustrarla con varie
note desunte da vari Storici Bolognesi, e Forestieri, sul riflesso, che mag-
giormente ne risulti la sincerità , e 1' esattezza del suo autore, E siccome
difficilissima cosa era il copiarla con accuratezza, qualora si avesse a ricorrere
ad alcune altre copie, che tuttora sono in qualche altro Archivio della Città,
cosi non mi è rincresciuto prenderla dal suo Originale, il quale, dopo la
morte del prelodalo Sig. Ubaldo Zanetti , è passato nella Biblioteca Cle-
mentina , detta comunemente dell' Instituto delle Scienze. »
(i) « Almanacco Statistico-Archeologico bolognese. » Bologna, presso
il Salvardi — Anno IV ( 1853) Vedi l'articolo su « Le belle Matuiane ; »
a pag. i)0-52. Anche in altri libri e cataloghi manoscritti è chiamata
Cronaca fabra.
(2) Giuseppe Guiuicini, Cose nolabili della città di Bologna. — Bologna,
tip. Monti 1869 — Tom. II , p. 334, 410 ecc. Talora chiama il cronista
don Fabro .'
18
— 274 —
anni ipi e i42(), scrive: " Io dovi PicJro y> e <t Io
ditììi Picdro di MiXtìnolo rcctore dì S. Michele. » — Se
qucU'addiettivo /jèro si trova in uno dei primi periodi
della cronaca, dove l'autore si nota « Io picdro fiirliuolo
de maestro Matliiolo fabro i> non dubito doversi in
esso ritener dellnito il mestiere paterno, tanto più che
ei suole mettere i cognomi costantemente al genitivo
plurale. Preferii quindi intitolarla soltanto « Cronaca
ho lo senese di Pietro di Matliolo, »
DOCUMENTO
Hec est copia inuentarij quod ego dompniis petrus
condam mathioli feci et scripsi de omnibus rebus quas
ego Inueni spectantibus et pertinentibus ad altare sancte
trinitatis, situm in ecclesia sancti leonardi, hedificatum
prò anima olini Gregorij de auoleo, quod ego habui
a Petro de auoleo tamenque procuratore omnium ilio-
rum de Auoleo., sicut prò publico Instromento scripto
manu lohannis virgilij notarij in Millesimo Trecen-
tesimo octuagesimo quarto die vigesimo quarto mensis
lulii in qua die ego accepi tenutam dicti Altaris.
In primis vnum Missale in magno volumine, non
tamen secundum curiam.
— 275 —
It. vnum calicem cum patena argenteiim et deau-
ratum , in cuius pede sunt duo smalti. In primo est
domniis yhesus crucifixus. In rcliquo vero est arma
illorum de auoleo.
It. vnum paramentum completum cum pianeta
panni serici virgati.
It duas tobaleas magnas cum vna tobaliola parua,
It. vnum palium pannj serici virgati et Rubcj
qiiod ponitur ante altare in diebus solempnitatis dicti
altaris ,
It. vnum frixe aureuni fulcitum fulicello circum-
quamque cum panicello lini cui est annexum ,
It. vnum candelabrum ferrj. Item vnum par cor-
por alium.
( It. vnam tobaleam longitudinis quatuor brachio-
rum nel parutn plus et latitudinis \ cancellaui quia
vnius brachi] uel parum plus la- non ha bui nec
boratam cum rosis rubeis per to- erat dicti altaris.
tum. Et cum quibusdam auiculis paruis nigris, quam
reliquit dieta altari dompnus Symon olim rector ec-
clesie sancti christophori de ballatorio).
It. Ego dompnus Petrus addidi huic Inventario
vnum scabellum super quod stai sacerdos dtim celle-
brat et duas banciolas, vnam a quolibet latere altaris
predicti , Et vnam campanellam pulsandam in missa
horis debitis et consuetis.
It. MCCCCVIII die VII mensis lanuarij addidi
huic Innentario vnum paramentum a missa comple-
tum, Cujus pianeta est panni baldachini in viridis, et
Clini ccrlis conipjssibiis cimi ìlio U'oiicino colorii^ viri-
dis in inedia^ et cinn ccrlis folcis sino Jloribus Jiiicr-
soriim colorum, C.iun vno frixc ante ci yosl l.ihora-
tiini auro in campo azurro , cimi vno caniisio nono
i^raniitato de diclo panno planete predictc cimi niani-
tiipulo et stola alteriiis coloris , et cimi ì'ito aniictu.
Qiiod parantcntum ego habui a domina fìartolomea
de Albirolis vxore olim ser Petri de Auoleo, presente
Napuolione de auoleo , Et Nicholao ejus fìlio.
Copiam huius inuentarij dedi marcito de forma-
glinis notarlo in MCCCCXXII die XXIII mensis
lunij quia tunc fiebant visitationcs ecclcsiarum per vi-
carium curie Episcopalis bononiensis.
In nomine domini Amen. Infrascripta sunt bona
in mobilia spectantia et pertinentia ad Altare sanate
trini tatis siti in Ecclesia sanati Leonardi s tra te san-
ati Vitalis de bononia.
In primis habet dictum altare vnam petiam terre
aratine, ridate et arborate duodecim tornaturarum
uel circha , positam in terra quarti superioris Jnxta
possessiones lohannis de angelis pellaahani , et luxta
stratain siue viam publicam strale sanate vitalis in
contrata cui dicitur Billiamo.
Jt. vnam aliani petiolam terre aratine septem tor-
naturarum positam in terre vetrane luxta Niaolaum
nepotem olim thure becharij, et luxta viam. publiaam
a tri bus lateribus.
It. vnam petiolam terre aratine Irium tornatura-
— 277 —
rum nel circha positam in dieta terra vetrane ^ Iiixta
possessiones lacobi de Misericordia.
It. vnam aliam petiolam terre aratine triiim tor-
naturarum nel circa, positam in dieta terra vetrane
in loco dicto, lo sellalo., luxta viam publicam a duobus
lateribus, luxta lacobum lippi, et luxta Ricium ambos
de dieta terra vetrane.
PRETI IN GABBIA
PRETI IN GABBIA
I.
Uno dei libri più dolorosamente curiosi riusci-
rebbe certamente quello in cui fossero raccolte, dalle
varie cronache municipali, tutte le torture più strane
e più terribili applicate nel medio-evo. S'avrebbe così
una immagine del tempo, un po' meno arcadica di
quella che s'ammira da tanto in carte e in tele!
La scuola romantica, tanto in arte che in lette-
ratura, ha cinto il medio-evo d'un'aureola luminosa,
come la testa di un santo, narrando solo delle fedi
indissolubili d'amore, dei cavalieri che girano il
mondo proteggendo la virtù e la debolezza , delle ca-
stellane bionde che si inteneriscono al suono delle
mandòle !
Del resto, non tutto s' imagina e s'inaugura a
un tratto e la scuola romantica ha le sue origini nei
novellieri ( che spesso traducevano in fatto il desi-
derio del popolo) e nel sistema falso delle storie bio-
grafiche.
Quando una città era duramente funestata dalle
discordie civili, nel popolo, che più direttamente ne
solTriva, nasceva una brama intensa ili pace e ne ri-
cercava con fede una causa che a ciò conducesse, e
questa era per lo più l'amore Kra le violenti passioni
d'allora solo una passione, violenta del pari, poteva
metter quiete. E nacquero le leggende dell'odio e del-
l'amore, onde iìnirono per credersi storiche le ligure
d' lìiiclJ.i , di Ginevra^ di Giulietta e di Romeo!
Quanto all'altra fonte del romanticismo, ossia
alle storie biografiche la spiegazione è ancora più fa-
cile. Per esse s' ignorò lungamente e s' ignora tuttora
r indole delle masse. La storia dapprima occupata
ad enumerare le virtù di pochi, trascurò di narrare
le malvagità di molti, e quando l'arte passò ad espri-
mere con tutti'i suoi mezzi le figure più belle, fece
loro un fondo convenzionale o, con altre parole, le
mise in un ambiente imaginario e falso, appunto per-
chè l'ignoranza di questo /o;2Ìo e di quest'ambiente,
la costringeva a lavorar di maniera!
II.
Io vorrei che tutti coloro i quali contrappongono
le virtù passate alle debolezze moderne, l'austerità
del medio-evo alla leggerezza d' oggi e invocano reto-
ricamente il ritorno del bel tempo di Dante e di Fa-
rinata, di Donatello e di Galeazzo Visconti, io vorrei,
dico, eh' essi potessero vivere un giorno solo della
vita d'allora. Scommetto che ne uscirebbero, dopo
- 283 -
ventiquattro ore, coi capelli bianchi e col sangue
guasto !
Ecco intanto quale nel solo aspetto della giustizia,
può parere Bologna, leggendo le sue cronache; anzi
quale fu senza dubbio. La campana dell' Arringo
svegliava di buon'ora i cittadini annunziando che
dalla cappella di Santa Giusta moveva alle forche di
piazza un qualche sciagurato. Allora per le stradic-
ciuole più remote e fangose, dagli angiporti oscuri
ed umidi, dalle androne saliva una folla avida d'as-
sistere a qualche nefando spettacolo di questo genere.
Pietro Sansinese « posto dentro una botte piena di
chiodi puntati » è rivoltato e martoriato per molte
strade principali; Taddeo di Biagio e Minozzo de' Fra-
calossi sono strascinati e decapitati perchè avevano
gridato: « Popolo, popolo. » Ma questi possono anche
sembrare piccoli martiri al confronto del seguente.
Giacomo d' Ugolino parricida « fo apichado vivo con
gli pie de sopra a uno paro de forche che erano fatte
suso uno charro, e fogli apicadi dui ebani vivi per
gli piedi, uno dinansi e uno de driedo a la persona
del ditto Jacomo, che nudo era cusì apichado; quisti
ebani abaiavano et alquanto l' inzuriavano. E così^
stando fo tenagliado, dagando due volte intorno la
piazza, puossa per li luoghi publeghi e consueti, e
cusì tenagliandolo lo condusseno fino al campo del
merchado, e li con un falzone ben tagliente gli fo
tagliade le mani, poscia cusì vivo, fo squartado in
quatro pezi e fono buttadi lì in uno grandissimo fogo,
— -i.S.! —
e tutte quante le osse e la carne briixono e arscno,
poscia butono la soa polvere al vento. »
Non cito altri abbondantissimi esempi. Da questi
soli si può arguire a che razza di carneficine biso-
gnava assistere a quei tempi II martirio non era in-
flitto sempre in un luogo speciale da cui i bennati
si potessero tener lontani, ma nella piazza e nelle vie
più frequentate. Prima un pacifico cittadino esce di
casa e allo svolto d'una via s'incontra in un carro
sul quale Vandino dei Papazoni è tanagliato con
tenaglie affogate « con una corona in testa de carta
dorata, a modo del Re, per più derisione » ; dopo,
traversando la piazza, vede pendere dai merli del
palazzo pubblico quattro o cinque impiccati; mentre
altrettanti penzolano dal cassero di una porta della
città, in preda^ come narra il Ghirardacci, degli uccelli
rapaci.
Né solo ai carnefici era lasciata cura di simili
esecuzioni; che, a certo punto, si gettavano le vittime
al popolo furioso e ai birichini Ma come si può ri-
leggere la notizia del supplizio di Nicolò di Bettino
e di Battista Caneiolo, senza inorridire? Il primo
« trascinato fin sotto le forche in piazza e cavatogli ■
il cuore, fu, tutto pieno di ferite, impiccato per li
piedi al palazzo de' Notari »; all'altro, « ritrovato in
una chiavica e crudelmente ucciso dal popolo, fu ca-
vato il cuore, quale con un chiodo fu conficcato avanti
la casa dei Bentivogli; et un tedesco, avendoli cavata
la coratella, se ne mangiò un pezzo. » E mentre gli
- 285 -
adulti feroci offrivano l'orrendo spettacolo, ai fan-
ciulli erano dati i pef^i dei cadaveri, perchè // tra-
scinassero per la città e finissero per concederli in
pasto ai cani e ai porci.
Ili
Più originali erano le pene inflitte ai sacerdoti,
qualunque fosse il delitto di cui erano incolpati. Qual-
che volta si muravano in un pilastro del palazzo Ar-
civescovile, ma più frequentemente, come si vedrà,
erano messi in gabbia. Nel 1406 don Giovanni da
S. Benedetto fu condannato nel pilastro con sei onde
d'acqua e tre di pane al giorno finché campava, (i)
Più esatta è la narrazione che di questa pena si trova
nelle cronache al 141 1, Chi fu messo nel pilastro in
quest'anno si chiamava don Antonio da Napoli ladro,
homicida et irregulare, che fra le tante infamie com-
messe aveva segata la gola a una guardia del Co-
mune. (2) Egli vi morì, ma don Francesco dalla Pieve
di Castello messovi pochi mesi dopo, essendosi molto
dimagrato, riuscì a fuggire. Ma perchè, invece di
allontanarsi assai da Bologna e darsi a buona vita,
ricominciò a scorrazzare e ad aggredire viandanti
per le prossime colline, fu infine arrestato e mandato
(i) Bartolomeo Dalle Pugliole. Hisioria Misceìla Bcnoniensis. V. Mu-
ratori. Rerum ital. scriptores. Voi. XXIII, col. 591.
(2) Cronaca bolognese ili Pietro di Mattiolo pubbl. da C. Ricci ( Bo-
logn.T. 18S5 ). V. a p. 26x.
— -Xi") —
a Bologna dal Capitano di Montagna. Rimesso nel pila-
stro, l'esecutore di Giustizia si volle assicurare che non
fuggisse di nuovo, fermandolo j Iraì'crso con un cer-
chio de ferro e in/eri^ndo f;U pici e le m.uii. (i)
Più tardi sembra che la pena del pilastro fosso
abbandonata dagli esecutori e si sostituisse del tutto
quella della gabbia. Però non meno duro dovette
essere il carcere destinato dal 1731 sempre ai Reli-
giosi, e che si trova tuttora nella torre (Joronata
presso l'arcivescovado di Bologna. (2) Largo poco più
di un metro, e lungo 68 centimetri, è suddiviso in
due gradini. Bisogna quindi dormirvi rannicchiati!
Io, che pochi anni addietro vi entrai, dopo cinque mi-
nuti credeva d',impazzire! Ma come si sono potuti
tenere degli uomini in quel pilastro? Eppure le pa-
reti conservano le traccie degl' infelici abitatori. Oltre
a figure grafite di case e di templi vi sono varie
iscrizioni.
.778
IO Mauko Muzzi
fui levato dai. letto
in nel convento di s .
Francesco e fu condotto
Ql PER AVIR fatto UN DO
VELLO DI coltello E RIMASI
FERITO, MA PIÙ IL RIVALLO
QUI STETE GIORNI 4O.
(i) Cronaca cit. p. 268.
(i) GoziAUiNi. Delle Torri veulili^ie di Bologna- Pag. 4; 5.
— 287 —
E pure, come si vede, questi quaranta giorni
non bastarono a mitigare l'orgoglio del mal frate, se
si vantava ancora che il rivale fosse rimaso, nella
lotta, più malconcio di lui!
Un Antonio Minelli sembra che vi stesse trenta-
quattro giorni. Malamente inciso si legge anche,
due mesi a pane ed acqua; ma chi scrisse queste pa-
role tacque il proprio nome e la propria colpa, a dif-
ferenza del religioso impudico e impudente che la-
sciò grafito:
Io Angelo Rizzoli fui
CALCERATO PER AUERE
INGRAUIDATE DUE SORELE !
IV.
La prima memoria che si ha di un prete messo
in gabbia è del 1276, e, poiché il cronista non fa ma-
raviglia e commento alcuno di quello stranissimo
modo di pena, c'è ragione a pensare che l'uso fosse
più antico. La gabbia era formata da robuste spranghe
di ferro, fermate a due tavole di legno di poco più
di un metro quadrato. Il rinchiuso poteva stendersi
solo trasversalmente e stare ritto in piedi. A due lati
della gabbia erano fisse le catene che servivano ad
appenderla, e trovo che a Bologna fu variamente nelle
facciate del Palazzo Pubblico e del Podestà , e nella
torre degli Asinelli, ad un'altezza ben 20 metri da
terra.
— .^SN —
(jiorno e notte i proti delinquenti erano così
esposti iif^li insulti di una elTerata plebe ed alle in-
temperie. I fanciulli scagliavano insulti e sassi, mentre
la pioggia batteva quei miseri corpi. È veramente una
cosa orribile e pietosa, né io so immaginare qual fosse
l'animo di coloro che erano costretti a sollrir per
qualche mese, sino a che il digiuno, l'angoscia ed i
danni fisici li avessero uccisi! D'altronde anche pei
buoni lo spettacolo doveva essere dolorosissimo. Non
si poteva allora passare sotto la torre o sotto il pa-
lazzo, senza vedere una negra figura muoversi lenta-
mente dietro le sbarre e talora soddisfare le necessità
del corpo, là, in pubblico, innanzi una folla che ur-
lava e fischiava.
Don Jacopo d'Andreolo Pelacane concorreva al
rettorato di S. Nicolò da Villola, nel 1276, e aveva
per competitore un don Pellegrino da Paderno. Un
giorno venendo costoro a lite sotto il portico di
casa Griffoni, il primo uccise l'altro con un coltello
da carne o da pane, onde fu posto in gabbia, dove
stette quarantanove giorni e lì finì soa vita! (i)
Nel 1312 i Bolognesi fecero una gabbia nuova la
quale fu inaugurata da un monaco di S. Stefano che
visse fin a la morte di henrigo imperadore. Fra Bar-
tolomeo dalle Pugliole, assai particolareggiato, scrive
che la gabbia fu rifatta da messer Giov. dei Broardi
da Sassoferrato podestà di Bologna; che fu posta
(1) Hislorta Miicellii Boiwiiiciifis cit. Col. 2S8.
- 289 -
in un angolo del Palazzo Pubblico; che il frate si
cjiiamava Ugolino di Riguzio, e, che giunta la nuova
della morte dell' imperatore, fu graziato e rilasciato. ( i )
Segue la notizia d'un terzo ingabbiato nel no-
vembre (si noti il mese) del 1360. Costui fu quel
don Francesco de' Rodaldi che volea dare una porta
di Bologna al Visconti. Per grazia speciale del car-
dinal Albornoz fu, dopo due giorni, levato dalla
gabbia e mandato a morire nella rocca di Cesena. (2)
L'esempio però a nulla valse se un altro religioso,
Ardizzone da Novara , poco dopo fu giustiziato per
aver dato Castelfranco a Messer Barnaba. E il cro-
nista narra così: « Zobia (giovedì) adì 27 aprile se
lesse la condenasone, et fu messo entro una ghabia
la quale è in su la piazza al muro della renghiera ,
et li stette insino al sabato seguente: e la mattina fu
messo in su uno charro, et fu atanaiado e menato
infino al merchato e 11 fu piantato con li piedi de
sotto infino alla gola. » Dopo di che, fu lasciato
libero arbitrio ai figli del popolo di compiere la giu-
stizia e di educare la propria indole. Infatti essi « si
li taglione la testa, et portono la testa per tutta la
terra. » (3)
II quinto ingabbiato , di cui trovo notizie nelle
cronache Dalle-Pugliole e Latuate, fu don Giacomo
(1) Historia Miscella cil. Col. 324. B.
(2) Historia Miscella cit. Col. 458.
(5) Hisl. Mise. Col. 468.
19
Milani, il quale, nel 13S4 insanguinò un'f)stia con-
saciata « dicendo che era del sani^ue di (ìesù (tri-
sto » e t^uaJagnò moltissimi danari. Scopcrl.i l.i fal-
siù, fu dal Reggimento privato ilei licndìzio e posto
in f^Abbii. Nel 1453, svelato un trattato per intro-
durre i fuorusciti in Bologna, tutti i colpevoli furono
impiccati tranne don Giovanni dalla Barisella, che,
essendo sacerdote, fu messo in gabbia. Undici anni
dopo ugual sorte toccò a don Giovanni da Vienna
cappellano alla pieve di Scaricalasino, per avere morto
e derubato un bergamasco. Questo disgraziato fu tanto
robusto da rimanere in gabbia dal 5 novembre al
6 di gennaio, quando più gelido regnava il verno e
le nevi coprivano la città. La sua resistenza gli valse
la vita, perchè il popolo (incredibile a dirsi!) si in-
tenerì sino ad obbligare il Governatore a levarlo di
gabbia. Quando ne fu tratto, s'accorsero che avea per-
dute le gambe et non se aidava dalle ^enocchie in
joso per la freddura che havea recevuta. Cacciato in
prigione, a poco a poco, riacquistò la spenta energia,
cosicché nel maggio del 1467 potè fuggire con altri
trentacinque carcerati persuaso ch'egli era eccessiva-
mente protetto dal cielo !
Molti altri saranno certamente stati i preti puniti
così duramente, ma io non sono riuscito a trovare se
non i citati. Nicolò Alidosi nella sua Istruttione delle
cose notabili della citta di Bologna, (1) parlando della
(1) Hhi. Mise. Col. 525.
torre degli Asinelli, dice: « Circa l'anno 1562 dulia
parte di strada Maggiore, al primo finestrone, si (ece
fare una gabbia grande di legno et dentro vi si pose
un prete vivo. » Credo che qui all'Alidosi sia sfuggito
un errore di data e che dallo scorcio del secolo XV
Li gabbia dei preti non fosse più usata. Infatti, del
1508 fra Raimondo da Viviano è bruciato in mezzo
alla piazza; del 1537 un prete di villa è impiccato per
la gola, come sedici anni dopo, don Giacomo Somon
per stregherie, e taccio d'altri molti, soggetti d'allora
in poi alle pene comuni. Oltre alle quali testimo-
nianze, è anche da notare che nessun istorico bolo-
gnese parla di un ingabbiato nel 1562.
Fuori adunque del secolo XV, secondo la mia
modesta opinione, non v' ha che il caso di prete Ago-
stino messo in gabbia a Venezia, fuori del campanile
di san iMarco nel 1528. Ma nello stesso anno pare
appunto essere stato deciso, anche dalla Serenissima,
che quell'atroce martirio fosse abolito. Colui vi fu
messo perchè nell'ardore del giuoco bestemmiava
come un postiglione romagnolo. E doveva essere un
curioso uccello se dalla gabbia pisciava addosso ai
fanciulli che l' ingiuriavano, per isfogare , come dice
il lamento allora pubblicato, alquanto il suo dolore!
NOTTI MALINCONICHE
— — ■■o-ct}'-
NOTTI MALINCONICHE
— •-oG^OOt^^&o—
I.
« Michele Ughi da Castel de' Britti e Ridolfo
Lippi tedesco, soldati furono condotti in Confortaria
per dovere essere appiccati per dilazione d'armi e
perchè il giorno avanti era andato il bando sotto
pena della vita di portare simili armi e stare alli
loro quartieri , et essendo all' hora arrivati questi fo-
rastieri e non sapendo del bando furono fatti pri-
gione e subito sentenziati a dovere morire. Il la-
mento di questi poverelli intenerì il cuore di tutti e
il signor conte Girolamo Grassi vic&priore , tanto si
adoprò per salvare questi pazienti, abbenchè fosse
sonato l'Arringho; e a bore 19 sonate con meraviglia
del popolo, che aspettava l'esecuzione delia giustizia,
si sentì con grande applauso la gratia e datone la
nuova con bel viodo alli pazienti. » (1)
Quando nel 1643 accadde questo fatto, narrato
nel Libro dei Giustipati in Bologna^ era consolatore
nella Arciconfraternita di santa Maria della Morte il
(i) Libro dei giustiziati nis. nella Biblioteca Universit.iria Boi. ii. 916,
III/ auii.
— 2<)() —
paiirc (ìiacinto M,in:ir:i JcUn (]i)in p;ii;ni:i ili (ìcsù , e
forse fu lui che dioiic Li tuiova con bel modo tilli
y.ijii'iili.'
Nessuno come il padre Manara si v;iiit;iva di co-
noscere a fondo il cuore umano in genere e special-
mente quello dei bricconi. Quanti t^iorni aveva mai
passati in carcere a consolare dei moril)ondi, a con-
vertire degli eretici, a frenare dei demoniaci ! — Quante
notti era rimasto in ConfortjrÌA a fare animo a co-
loro che dovevano lasciar la vita nelle fcjrche!
E rimasto lungamente in preghiera e promesso
il perdono di Dio al morituro, lo confortava ad alfron-
tare con fermezza e con rassegnazione il supplizio,
mentre dalla tórre dell'Arringo moveva il rintocco
funebre, e la Compagnia, tutta vestita a nero, cantava
le litanie nella prossima cappella di Santa Giusta.
Erano notti malinconiche, quelle, e il padre Ma-
nara scrivendo un volume d' istruzione a' Confessori ,
Confortatori et altri assistenti nelle Confortarle , vi
scrisse in fronte appunto Notti malinconiche, (i)
II.
Sorprende assai che questo libro sia stato dimen-
ticato dai criminalisti moderni. Se anche le questioni
(l) Notti malinconiche nelle quali con occasione di assistere a' comi annoi i a
morte, si propongono varie difficoltà spettanti a simile materia ecc. opera del
padre Giacinto Masara d. C. d. G. Bologna, 1658, in 4. — Furono ristam-
p.itc in Bologna, in i:. nel 166S. Moi citiamo sempre la prima edizione.
— 297 —
morali e religiose sono invecchiate e le citazioni
degli antichi filosofi notissime, pure qua e là nel-
l'opera del padre Giacinto emergono aneddoti curio-
sissimi, giudizi assennati, e osservazioni piene d'arguzia.
Del resto tutti comprendono che l'autore non po-
teva nel secolo XVII liberarsi a un tratto dalla rete
accademica che cingeva tutte le menti. Anch'agli di-
scute « se quando un marito trovasse la moglie in
adulterio potria ammazzare l'uno e l'altro, tosto, o
se doveria conceder loro il tempo di potersi confes-
sare » (i) cercando di risòlvere la cornuta questione
con qualche passo di Giulio Claro, del padre Tessio
o del Toleto; anch' egli piglia sul serio certe facezie
come questa: « Se un condannato alla morte debba
promettere di non peccare per l'avvenire » (2) e «se
ad uno travagliato dal vomito in Confortaria si habbia
da dare la sacra Comunione » (3)
Ma, in compenso, quante narrazioni piene d'in-
teresse e come evidenti certe pennellate date nel fondo
lugubre di quell'orribile quadro!
Quello che parla, è l'uomo che ha assistito per
anni ed anni alle tragedie e le riassume in cenni fu-
gaci. L'abitudine ha tolto alle sue parole tutta la
retorica e l'iperbole, proprie a chi assiste per la
prima volta ad una cosa straordinaria, ed ha, con la
naturalezza, data loro un'efficacia che spaventa.
(i) Pag. 296.
(2) Pag. J9.
(0 l'^'g- 62.
« Mi ricordo, egli dice, che essendo uscito dnlhi
bocca di un confortatore, che un cond;inn;ito liavevn
da essere sospeso, si mise t;ilmentc nei furori, che
supplicava ogni e qualunque che entrava in Confor-
tarla, perchè si trasferisse al principe per la pcrmu-
tatione della forca nella morte del taglio, e vi fu da
fare assai per quietarlo. « (i) E più avanti: « Kssendo
IO in Confortarla per assistere ad uno che la mattina
doveva essere impiccato, nel tem[)o della mezzanotte,
quando si suole pigliare un tantino di liposo, vedevo
che il reo, il quale stava sopra un stramazzo giacendo,
levava spesso il capo e guardava la porta della Con-
fortaria ; onde 1" interrogai perchè ciò facesse e così
spesso. Rispose sinceramente: Se potessi fuggire! » (2)
Molte persone, benché colte e di buon senso, si
meravigliano, leggendo le storie, che ne' secoli passali
le fiabe trovassero tanta e tanto facile credenza nel
popolino, e credono fermamente che oggi si sia molto
avanti anche in questo proposito.
Ahimè, si sbagliano o non frequentano o non
osservano il popolino! Esso è oggi quale era due-
cento o trecent'anni fa. Crede agli untori durante il
contagio; crede ai demoni ed agli spiriti durante l'or-
rore delle notti; non comincia nessun lavoro di ve-
nerdì; non mangia tranquillo se a tavola si è in tre-
dici! Sa che nel palazzo di Tizio si aggira un frate
(>) i'ag- 22.
(2) Pag. 98.
— 299 —
senza testa e che nel castello di Caio è sepolto un
tesoro guardato a vista da un diavolo rosso!
E pure oggi, come nei secoli scorsi, il governo
non s'incarica di tener vivo lo sgomento della folla,
facendo girare a notte per le vie i fantasmi e facendo
scuotere le catene nelle carceri. Francamente, se lo
facesse, e' è a pensare che le masse sarebbero peggiori
oggi d'allora!
Sorprendono quindi certe frasi del padre Manara
e più certe confessioni, che potevano essere conosciute
da tutti perchè diffuse con la stampa. Interrogato, se
uno dato alla confortarla si scoprisse invasato dal
demonio^ habbia da communicarsi , il buon padre ri-
sponde: « Primieramente si deve supporre esser verità
di fede che si trovano invasati dal demonio e se
i confortatori havessero un tale per le mani e lo ve-
dessero a fare atti sconci e strani e da lui cavassero
cose disperate, non devono subito stimarlo trava-
gliato dal Demonio , jjofónio venire, simili attioni ,
dalli humori predominanti nel corpo hiimano. »
Bisogna convenire che per un gesuita e per un
secentista queste osservazioni sono notevolissime.
Egli crede, o finge di credere nel demonio, come
è di tanti, ma non l'accusa di tutte le bizzarrie e di
tutte le cattiverie degli uomini anche perchè, sog-
giunge, « il demonio non può fare tutto quello che
vuole! »
Ma, straordinaria, più di quanto finora si è notato,
deve parere la disinvoltura di questa rivelazione :
Il \'o\ altri, conlìatcUi , già sapete essere occorso il
caso in questa conforlarici di uno sciagurato che non
voleva convertirsi a Dio e stava duro nella sua osti-
natione. Si fecero rumori sopra il soffitto del luo^o
dove era, e ciu ali improvviso , con strascinarsi di ca-
tene, urli, et altre simplicita. Il fare strepili con ca-
tene, od altro rumore, volendo dare ad intendere,, che
sia il demonio, che venga per portarselo via, è una
vanità,, che ha del semplice assai,, havendo dell'inna-
turale. » (i)
Che dispetto avranno provato certi confortatori
di S. Maria della Morte, leggendo la loro commedia
svelata da un compagno!
IH.
Ma il padre Manara va ancora più innanzi. Mentre
ai condannati a morte si bruciano le carni e si ta-
gliano le mani ed i piedi perchè confessino quel de-
litto che qualche volta non hanno commesso, egli
grida: « Gli spaventi e terrori che si possono fare a
simile razza di gente, consistono in proporgli, quello
che habbiamo nel Santo Evangelio, i castighi delle
pene eterne, che Dio riserva a' peccatori, il morire
nemico del Signore, che è compimento d'ogni bene.
E questo si deve fare con afletto e charità. Il venir
poi ad atti di abbruciarli le carni, per fargli esperi-
(l) Pag. 254.
— seg-
mentare le pene dell'inferno, nò lo farei né lo per-
metterei. Facciasi oratione che il Signore si degni
d'ammolire la loro durezza. »
Né questo è il solo caso in cui il buon gesuita
metta una nota pietosa. « Ho avuto questo uso sem-
pre, nel principio della confortarla, di proporre a' mi-
serelli, se avevano cognitione di qualche Religioso.
Uno mi disse che haveria havuto caro havere un tale
padre Capuccino che, chiamato, venne, e stessimo
quella notte insieme molto sollevati dalla fatica.» (i)
E più sensibile questa: « Il senso dei condannati é
di essere presto sbrigati, per vedersi fuori della con-
fusione, della vergogna, delli patimenti e delle mani
dei carnefici. Ed io ho sentito alcuni a dolersi che il
tempo fosse troppo longo, e pure non erano tormen-
tati; che sarìa poi stato ne' stessi tormenti? Con tutto
ciò stimarei, che fosse atto di buona charità il con-
fortare questi poveri afflitti, né questo si farla perchè
maggiormente sentissero li tormenti , che saria cru-
deltà grande, ma acciocché non fossero così oppressi
dalli vapori, che per causa delli tormenti vanno al
capo, e l'offendono assai, accrescendo il dolore. »
A differenza di tant' altri il padre Giacinto non
aveva nella lunga abitudine del duro ufficio resa in-
sensibile l'anima. Non meritava di essere un gesuita,
egli che non sapeva darsi pace d'avere veduto alcuni
condannati incanutire in una notte, o, prima d'esser
(') Pag- 27-
- yvi —
condotti ;ill;i morto, sudnrc un cscrcvwuto s,iiiì;iiÌì;ii<i,
o mutare sembianza in poche ore che non y.irewino
fiù quelli clw priin.i eiwio. (i)
Era in tal caso necessario « ristorarli con un
poco di vino generoso » ma guardarsi bene «dall' im-
briacarli perchè andassero alla morte allegri. » A lui
seccavano assai quelli che salivano il patibolo can-
tando e motteggiando e a ragione li giudicava o
pazzi o malvagi oltre misura. Cristo, quantunque
pronto alla Resurrezione, era morto dolorosamente.
« Imparino, esclama il Manara , li nostri condannati
a non fare il bell'humore! »
Non voleva che fossero lasciati digiuni, ma anche
che si riempissero sino alle fauci. « Io mi sono più
volte trovato per assistere a' condannati, e gli ho visti
mangiare, come se havessero da vivere grandissimo e
longhissimo tempo, comparativo alla loro sciagura.
Li meschini erano ridotti al nulla nelle carceri e
mangiavano con tutto che sapessero di dovere presto
morire. Altri poi era impossibile farli inghiottire cosa
alcuna, et alcuni Confortatori quasi li violentavano
a cibarsi. Quando si vede che non hanno alcuna di-
spositione, si devono lasciare quietare né far loro
forza. È troppo grande l'apprensione della morte, che
alle volte rifiuta ogni conforto! » (2)
(,) Pag. 65.
(2) Pag. 66.
— 303 -
IV.
Sparsi per tutto il volume sono curiosi aneddoti,
di cui il Manara fu testimone; ribellioni in carcere;
rumori popolari sorti contro il carnefice che non riu-
sciva ad uccidere il paziente; grazie giunte quando
il laccio era già al collo del reo; ebrei convertiti nel-
l'ultima ora; eretici e innocenti morti sorridendo!
Ma se questa parte dell'opera è quale può rinve-
nirsi in tante altre cronache del tempo, le altre che
riguardano alla morale della legge e anche, mi sia le-
cito dire, aW antropologia , sono indubbiamente ori-
ginalissime, curiose e importanti.
Sostenere oggi l'abolizione della pena di morte,
è una cosa che si permettono anche gì' ignoranti che
di quella pena fanno soltanto una questione di senti-
mento; e quelli che vogliono sfruttare gl'ignoranti,
mostrando nella retorica dei discorsoni, un cuore
grande come la loro ciarlataneria. Il duro argomento
è tutt'altro che esaurito e lo provano le nazioni piij
civili. Noi, come noi, possiamo essere contrari, ma
non possiamo dire che gli avversari non abbiano
argomenti forti e altamente morali in loro favore. Ad
ogni modo deve sorprendere il trovare che anche nel
seicento v'era una scuola vera e propria che combat-
teva la pena di morte e che aveva aderenti nelle stesse
conforterie. « Ho visto e sentito nelle conforterie
(sono parole del Manara) Confortatori, i quali non
— 304 —
npprovavnno molto l;i morte clic così spesso viene
per f^iustizia linta ni rei e si stupivano di vedere hiio-
mini allevati con tanto stento dalli padri , sollecitu-
dini et ansietà dalle madri, condotti con molti sudori
alla età civile, essere poi in un subito bora attaccati
con laccio alle forcbe, bora decollati, bora fatti in
pezzi, bora messi in ruota, bora abbrucciati; e sta-
vano in dubbio, se ciò fosse lecito, massime cbe li
Giudici ne fanno tanti morire, e così frequentemente,
potendosi quelli miserabili castigare (come essi dice-
vano) con modo penoso e durevole, senza levare loro
la vita. 11 (i)
Il padre Giacinto Manara eia invece favorevole
alla pena di m'orte e ciò non gli tornava certo a di-
sdoro allora, né gli tornerebbe oggi se vivesse. Egli
pensava che « sì come si può per salute del corpo
humano tagliare un membro infracidito, accioccbè
non infetti il resto; così la repubblica può separare
dal corpo morale li malfattori, che sono membra
fracide e che con il male esempio loro corrompono
i buoni. » (2)
Tutti sanno quale sviluppo prendono oggi gli
studi antropologici, riguardo alla criminalità, mas-
li) Pag. IO.
(2) pag. II.
— 305 —
sime in Italia, per opera del Lombroso, del Ferri e
di molti altri. La nuova scuola sarà, come affermano
i classici^ troppo ardente, troppo fiduciosa e troppo
audace nell' affermare incerte teorie, ma è sicuro
che una grande parte di vero le procura l'attenzione
e la simpatia degli studiosi.
Ma come il frutto non matura in un'ora, così
anche una teorica non nasce a un tratto, massime
armata come Minerva dal cervello di suo padre. Certe
considerazioni antropologiche sono popolari in alcuni
proverbi, fra i quali principalissimo quello dei colli-
torti, i quali, novanta volte su cento, sono veramente
canaglie.
Il nostro Padre Giacinto è anche in questo un
modesto precursore, e dopo aver narrato che spesso,
fra molti rei, era designato a morir prima quello che
aveva l'aspetto più horrido e crudele, accetta eviden-
temente le conclusioni di certi fisionomisti e scrive:
« Quelli che hanno gl'occhi piccoli e concavi, è
segno, che siano inclinati alla malvagità et al tradi-
mento, essendo indicativi di complessione colerica e
malinconica, attesa l'adustione degli umori la quale
è principio di pensieri poco retti. Gli occhi simili a
quelli delle capre sono inditio di persona indiscipli-
nabile, dimostrando la qualità degli occhi ^ la tempe-
ratura del cervello. Le capre e i caproni eccitano tra
di loro grande ferocità, hanno del sagace tal' hora et
tal' hora del mansueto e stolido, cosi per appunto
sono di tal conditione questi tali , feroci alle volte e
20
— 3o() —
mansueti che paiono havcrc del stolido, ma ognuno
si t;uardi dalle loro unfjhic. Discorrendo un giorno
con certa persona, mi disse d' haver fatta riflessione
che uno il quale haveva gli occhi simili, era homi-
cida e lil)idinoso, tirato a questi viti) dalle proprie
passioni, ma non già dalla forza delle stelle. Gli occhi
di colore mezzano tra il verde e l'azzurro sono segno
che la persona ha del crudele e dell' irragionevole.
Gl'occhi instabili, insolenti, vaghi sono argomenti di
animo indissiplinaio. » (i) E seguita ricordando che
S. Gregorio Nazianzeno metteva fra le cose rivelatrici
della perversità di Giuliano l'Apostata, la luce sinistra
degli occhi.
Quanto afferma il padre Manara parrà puerile e
sarà forse ritenuto falso dai moderni antropologi, cui
solo spetta giudicare, ma è certo che puerile e falsa
è anche la pittura di Cimabue, da cui uscì una nuova
e grande scuola. Come nelle tavole del maestro fioren-
tino appare la prima luce d'un colorito geniale, così
nelle parole del gesuita si muove il primo germe delle
idee che oggi fioriscono rigogliose. Appunto per questo
mi parve che fosse opera degna ridestare la memoria
del padre Manara e delle sue tiotti malinconiche!
(i) F'-ig. 265.
POVERA MARTIRE
POVERA MARTIRE
— «-«SiscriOEsi.
I.
Non è una novella quella che sono per raccon-
tarvi, ma una storia vera, vera quant' altre mai, alla
quale io non voglio e non debbo aggiungere una
sola parola. E se un giorno voi passerete per Bologna
e vorrete procurarvi il bene di visitar la Biblioteca
Universitaria dopo i codici dalle carte ridenti di mi-
niature e la berretta rossa del cardinal Mezzofanti,
vi mostrerò un manoscritto del secolo scorso, dove
un frate troppo credulo o un astuto giudice della san-
tissima Inquisizione scrisse su molti processi e sen-
tenze- e torture che colpirono dei poverini accusati
d'arti magiche e di prender parte a congressi di
lamie, (i)
Verso la metà del secolo XVIII, Girolamo Tar-
tarotti , in un'opera stupenda per la vasta erudizione
e un senso d*umanità allora insolito, cercò di porre
un freno all'orrendo macello che si faceva di pretesi
maghi e di streghe (2) Il marchese Scipione Maffei
(l) Bib. Univ. Boi. ms, VI, cart. 156 e seg.
{2) Dil congresso iicltunio delle Lainmie. Libri tre Rovereto 1749, in 4-
— 31'^ —
rispose al chiaro roveretano con un libro non meno
qrande per dimostrare ch'egli aveva fatto troppo
onoro a simili favole, tanto studio impiegando per
dileguarle, mentre la magia altro non era ormai che
una chimera, e perchè « i racconti del famoso noce
di Benevento e delle ragunanzo di gente che va per
aria a tripudiare in altri simili remoti luoghi la
notte, fanno ridere in oggi (almeno in Italia) anche
quel minuto popolo, che non è stolido e scimu-
nito. » (i)
Ma il popolo stolido e scimunito doveva esser pur
molto a quei giorni, se dopo quasi un secolo e mezzo
e nuir ostante la rivoluzione francese e le scoperte
maravigliose della scienza e l' istruzione estesa e la
vita libera, democratica, intelligente, serpeggiano tut-
tora nella plebe spaventi di streghe, leggende temute
che non solo nei castelli diruti e nelle giogaie dei
monti, ma negli stessi palazzi di città errino a notte
spiriti maligni.
Il Tartarotti riprese l'argomento trionfalmente,
e la sua Apologia (2) può dirsi un vero capolavoro :
« E certo una follia ridicola la stregoneria, e bizzarie
romanzesche contiene: ma non sono già ridicoli, né
romanzeschi gli effetti che produce! » Infatti, mentre
il Maffei scriveva la sua Arte magica annichilata, a
(1) Scipione Mafjei. Arie magica dileguala, Lettera. Verona 1750,
in 4. Pag. 5.
(2) Apologia Id congresso nolliirno delle Lammie. Venezia 1751, in 14,;
p.ig. 8.
— 3 1 1 —
Erbipoli era abbruciata Maria Renata monaca di
San Norberto, come strega. Alcuni anni da poi nella giu-
risdizione d'un conte germanico, ad una povera donna
veniva per la stessa accusa tagliata la testa e parve
colà gran clemenza il non condannar la sua Jìgliuo-
letta di sette anni al medesimo supplizio . bensì ad
esserle aperte le vene e morire svenata. A Landshut,
fortezza di Baviera , fu decapitata per lo stesso de-
litto una lavandaia, e una sua giovine serva trascinata
nelle ceri di Salisburgo, (i)
Scipione MafFei avvertiva che questi brutti fatti
non avvenivano in Italia, al che il Tartarotti : « Po-
niamo che sia così. Chi scrive libri, gli scrive egli
alla sua sola nazione o a tutte le altre? Son eglino
nostri confratelli qua' soli che parlano il nostro lin-
guaggio, ovvero tutti i composti di mente, e di corpo?
Io per me non avrei minor piacere, che il mio libro
salvasse la vita a un Tedesco, o ad un Arabo, che
ad un Italiano, ad un mio concittadino, essendo egual-
mente uomini quelli, che questi. » Parole sante, che
oggi anche i vagabondi sanno ripetere, ma che pochi
nel 1750 osavano dire e stampare!
II.
Il marchese s' ingannava anche in questo. L' Italia,
del pari che la Germania , gettava sempre nuove vit-
(i) Apologia cit. , pag. 10.
— 312 —
lime alla superstizione feroce del popf)l(). Iroviamo
in un opuscolo, edito in Bologna nel i7fi,c()l titoli)
]'(>tj decisiva, scii r.ìtioncs dccideiidi Joannis Sebastiani
de Vespisi^nanis J. U. R. Imolensis alma' Rota; fìoiw-
m\v aitditoris, un voto a proposito di due streghe,
madre e lìglia. La prima fu condannata a morte,
l'altra a finir la vita in carcere. Poco lungi, sempre
in Romagna, era avvenuto il fatto, non meno compas-
sionevole eh' io traggo dal manoscritto ricordato. Ec-
cone le prime linee: « Sono cinque anni, che ritro-
vandosi oppresse le monache di Marradi (in quel di
Forlì) da mali stranissimi e specialmente le più gio-
vani e robuste, furono ordinati più consulti da periti
professori acciò' prescrivendo gl'opportuni medica-
menti, rimettessero quelle religiose nella perduta sa-
nità. » I medici, per buona parte non meno supersti-
ziosi ed ignoranti del popolo, andarono, studiarono e
conclusero che qualche cosa di sopranaturale si ritro-
vava nei loro corpi.
Sembra che la risposta non piacesse troppo al
vescovo se, corso subito al convento sotto aspetto di
benedire le monache, con fiere minacele disse loro
che le avrebbe accusate d'innanzi al Papa, qualora
non si dessero pace. Ma le poverette erano dei loro
mali tanto innocenti che quel provvedimento non
servì proprio a nulla! — « Quando, — così nel ma-
noscritto, — per Divina Misericordia, intimata al
paese la Santa Missione da farsi da' Padri delle Mis-
sioni di Forlì, furono quelli incamminati dall'Emi-
— 313 —
nentissimo Vescovo acciò si portassero al Monastero
e facessero con piena autorità tutto ciò che avessero
stim.ito per bene delle monache,- ed infatti colla natia
loro propria carità non mancarono d' impiegar tutte
le loro forfè per scoprire la cagion di tanti disor-
dini. » Anche quei padri solerti se ne andarono senza
aver fatto nulla di buono. Però, essendo rimasto alla
custodia del Monastero, come confessore straordinario
e con la piena permissione dell' ingresso in Monastero,
uno di loro , scoperse a lode di Dio , la cagione di
tutti i mali in una monaca, solennissima strega che
aveva fatto malìe a tutte l'altre, a riserva di due!
III.
Era questa una povera giovine di Borgo San Lo-
renzo, in Toscana, cui spiacendo evidentemente la
vita licenziosa del convento, menava continue lamen-
tanze. Si rileva da molti passi dell'anonimo cronista,
il quale afferma com' ella conducesse una vita mona-
stica così esemplare ch'era creduta una santa e che
anzi spronava sempre alla virtù tutte le altre!
Or bene, le sorelle deposero che aveva giurato
d'essersi sposata al demonio di nove anni e che da
lui era stata dichiarata seconda regina degli abissi
col nome d' Asmodea. « E ciò successe per insegna-
mento d'una serva, che era strega, e cominciò a con-
durla in visione di belle cose , facendole comparire
un giovanetto di straordinaria bellezza, et avvenenza.
- 3'4 —
ilcll.i >tanira e siinilitudiiir dilla lanciulla cht- rr\i
pure di r.n\i bclli'jj,.! così iiuiiloniUisi .sino j/ frc-
senio iii'U'clj di yj .vini , clw lei ha. » Così il cro-
nista, il quale segue raccontando dallo deposizioni
risultare che giunta in età di matrimonio, il diavolo
la consigliò a vestirsi monaca in Marradi, ch'ci di
là l'avrebbe condotta dove meglio voleva, onde spesso
irovavasi in Napoli, ed ora in Francia ed ora a Co-
stantinopoli « vedendo tutto ciò che di grande e di
bello era nelle Corti, consapevole de' trattati nei ga-
binetti, ponendo gravi discordie fra molti potentati,
e si rese cara al Gran Signore trattenutasi nel serra-
glio per essere admessa fra le dilette del medesimo,
sfogando seco 1^ sue insaziabili e libidinose voglie, e
per contrassegno asserì d" esser stata regalata d'un su-
perbo arazzo che in fatti si è ritrovato nella sua
cassa. » E più si va innanzi nella lettura del codice,
pili se ne trovan di belle. Quando si accostava alla
comunione, non ingoiava la particola ma la riserbava
per calpestarla, memore delle battiture terribili che
il Demonio le aveva date una volta ch'ella osò in-
ghiottirla. Spesso le monache dalla sua cella, ove
l'avean veduta, passando in coro, ve la trovavano in
preghiera. A notte profonda poi lungo i corridoi e i
chiostri, illuminati dalla luna, si vedevano errar stri-
sele di fuoco, che precedevano e seguivano la com-
parsa di un vago giovine ben vestito con bij^arra
perucca, il quale entrava nella cella di Asmodea. E si
sentiva che lei parlava « in camera, ed essendo in
- 315 -
letto proferiva parole d'affetto come tra marito e
moglie » tutte cose che dapprima erano stimate illu-
sioni ed effetti ipocondriaci delle stesse monache.
Altre volte, quando il primo bagliore dell'alba
vestiva di porpora l'Apennino, ella si sentiva rientrare
nella cella, reduce dal Noce di Benevento, ove eser-
citava la sua real grandezza in un'adunanza di ven-
timila streghe e cinquemila stregoni!
Dietro tali deposizioni , autenticate e fors' anche
suggerite dalla vigliaccheria del Missionario, quell' in-
felice fu spogliata dell' abito religioso « ed avvolta
fra dure catene — così l'anonimo cronista — facen-
dola dileggiare dall'altre monache e specialmente
dalle due, che non aveva maliato. »
IV.
Intanto il Sant' Uffizio allestiva il processo, pel
quale essa fu portata nelle carceri di Faenza, dove
venne torturata in modo infame , bollandola a fuoco
in più parti del corpo e percotendola sino a farla
divenir nera. E di tutte queste iniquità fu incolpato
(immaginate un po'!) il Demonio!
La leggenda aumentava vieppiù lo spavento del
popolo. Come narrar tutti gli eccessi, de' quali fu rite-
nuta capace? Si diceva che avesse ucciso novemila crea-
turine, fatto morir il padre Martini e il padre Falcani,
con altri Serviti, e che per suo malefizio il maestro Ca-
stani si fosse rotto una gamba. Insomma , può dirsi
— SKi —
cho plt buon lasso di tempo non acculile più ili-
syra/.ia , Ji cui la colpa non ricadesse su lei. Iiiultre,
doveva essersi trovata alle liattaqlic ili Icmisvar e di
Ik'lgrado, e in Francfort all'incarcerazione dell' im-
peratore (cui già aveva avvelenato il figlio) in ligura
d'una cagna avida di mordere un cavaliere.
Per tutte queste stolte, fantastiche e maligne ac-
cuse, si torturò quella povera martire la quale, mentre
sulla pubblica piazza la gente inf)rridiva vedendo liam-
meggiare ciò che le era appartenuto, veniva condotta
e gettata in prigione perpetua nelle squallide carceri
dell'Inquisizione a Roma!
I ZAPPATA
1 ZA PPATA
»o<3) s ga a sa(t>oo
Quanti sanno in Italia che nel secolo passato visse
un Gian Battista Zappata celebre poeta? Credo pochi ;
anzi, se dovessi giudicare dalle risposte dei molti let-
terati ed eruditi che interrogai in proposito, dovrei
dire nessuno.
Forse a Gomacchio, dov' egli nacque nel gennaio
del 1694, passerà tuttavia per una gloria cittadina;
ma in tal caso la sua fama giace, come quella mo-
desta città di pescatori, là fra le valli silenziose, in-
terminate. — Sic transit gloria mundi.
E pure un giorno il suo nome volò lodatissimo
per tutta la penisola e, come vedremo, i letterati più
famosi non isdegnarono di unire il loro all'applauso
popolare. Non è quindi da maravigliare s'egli mostrò
più d'una volta di sperar nell'immortalità.
S' egli avverrà che dalle man del volgo
Vadan d' intorno i miei versi securi ,
E generosi qiiai dal cor gli sciolgo
Varcliin di Lete i gorghi aspri ed oscuri;
- 3 "20 —
ti\icst.i, clic in pctlo «rJcinc ri.inima iiccolgo
Vcilril le vie dei secoli futuri;
E forse «Ilo splctuior , clic altrui ilivolgo,
Ancor vcrr.l clic qualche altra s'oscuri.
Allor ilitassi : O fortunata etaile,
O fortunato, che di suo cor tempio
Far seppe a tanta e si nctitil heli.iJe.
E lei beata, che dal duro scempio
Tolta degli anni , le celesti strade
Varca, donna sublime e s^nza esempio! (i)
Nel settecento ogni più piccola città di Romagna
vantava nel suo seno un nucleo di poeti che s'acco-
glievano e fornvivano un'Accademia. La maggior parte
d'essi (bisogna pur confessarlo) se pei concetti non
superava di molto i moderni, mostrava però d'avere
di gran lunga maggior conoscenza della nostra lingua
e dei nostri classici, e quasi sempre verseggiava con
grazia, cosicché fra quell'Arcadia e la moderna è
certo preferibile la prima che almeno vestiva decen-
temente le Glori, le Filli e le Corinne.
La severa Romagna seguiva la moda e sotto il
nome à' informi^ dì filergiti , di rinvigoriti, fìlopotii ,
incitati, silenziosi, ecc., anche le sue città formarono
colonie. Anzi è notevole come alcuni dei pastori non
siano del tutto dimenticati. — Ravenna, ad esempio,
«
(l) Poesie di GiAMBATiSTA ZAPPATA palrìj^io comacchiese. Venezia, Co-
leti, 1770. Pag, 178.
— 3'^' —
aveva allora Ruggero Calbi; il Baruffaldi, il Valeriani
e il Martelli erano a Ferrara; Faenza, Forlì e Cesena
erano rappresentate dal Villiani, dal Bondi, dal Ma-
gnani e dal Roberti.
Per Comacchio riprodurremo le parole del con-
temporaneo Francesco Bonaveri : « La poesia vi fio-
risce. Monsignor Pandolfo che vi fu vescovo prima
della metà dello scorso secolo, uomo veramente dot-
tissimo e leggiadro poeta, vi piantò l'Accademia dei
Fluttuanti, nella quale fiorirono molti chiari ingegni,
verseggiando assai bene per quello portò la sgraziata
condizione del loro tempo. » (i) E veramente gli acca-
demici di là erano molto numerosi. In una raccolta
di liriche. per la Madonna figurano dieci poeti e forse
non sono tutti! Giambattista Zappata, come si ha per
altre parole del Bonaveri, volava sugli altri. Del resto
il Muratori aveva scritto che il suo sonetto in morte
della santa regina d' Inghilterra poteva andare « colla
testa alta dappertutto » e che « specialmente i due ter-
zetti erano bellissimi. » (2) — 11 Quadrio e il Crescim-
beni lo chiamavano poeta di grido; il marchese Orsi,
dolce delicato pieno di leggiadre immagini-^ G. B. Pas-
seri, degno compagno al Guidi; i giornalisti d' Italia
lo battezzavano nobile talento e di molto gusto. (3)
(1) Descrizione Horiai, civile e naturah (ielle Ldguiie , Pesche, e città di
Cornàcchia. Part. I . 44.
(2) Lettera del 14 mìr/.a 1755 .il dottor Dionigi Andrea Saiicassani.
Poesie cit. XVII.
(5) Toni. XVIII, p. 462.
2t
II.
Tutti questi encomi parranno soverclii : però è
certo che nel raro volumetto delle sue poesie, edite
dal Coleti in Venezia nel 1770, diciassette anni dopo
la sua morte, si trovano molte belle cose le quali me-
ritano d'esser considerate. Ecco alcuni versi dove de-
scrive il traboccare d'un fiume:
Sovente ancor su le camp.-igiic .ipriche
Ei tr.iboccò sdegnando argine e sponda.
A l'impeto dell'onda
Spesso 1' aratro e il solco
At^bandonò il bifolco.
E mirar potò appena
Col suono a tergo del flagel tremendo
Tutta perir la speme sua, fuggendo, (i)
Aretusa stanca di seguir le belve alla foresta, de-
posto l'arco a terra, si spoglia e cala nelle acque lim-
pide d'un ruscello. Alfeo la vede e innamorato le
muove contro:
Già le braccia stendea ,
Già movea la favella,
Già chiedea, già volea
Da lei mercè : ma quella
Volò tremante e schiva
Balzando sulla riva,
(1) Poesie , p. 86.
— 323 —
Anch' ei sul lito alUjr.i
Ratto ver lei vibrossc ,
E il pii senza dimora,
Lei pur seguendo, mosse,
E come onda onda incalza
San van di valle in balza.
A quello amor dà 1' ale
E il preme, e forte il caccia
Vie più d'alato strale;
Questa di lui la traccia
Teme, e si ratta passa
Ch'orma sul suol non lassa.
Ma alfin mancar si sente
Nel corso ella il vigore ,
E già vede imminente
11 fervido amatore...
Ah , quali al cielo affisse
Gli occhi allor mesta e disse:
Dell , perchè non son io
O belva o selce dura;
, Questa che me tradio
Io perda omai figura,
Tu dall'oltraggio serva,
Diana, la tua serva! (i)
E Diana la trasforma in fonte. — Fra i suoi
quattrocento sonetti se ne trovano alcuni d'argomento
(l) Pociic, p. i68.
- r-\ —
sacro d'una dolcezza incllabilc. Negli amorosi è più
arcade; però sempre graziato.
Siccome qu.iiulo il cici iivibo n>iii uve ,
Rallegrano la icrr;i i primi .liberi,
H susiirr.tiido un venticel soave
Guida 1.1 luce a spargere i colori;
I.' augelli» vago raccoiitar non pavé
All'alba i sogni de' suoi lieti amori,
Dai verdi rami invitando soave-
mente a parlar d' amore i fiori ai fiori ;
Così qualor di que' begli occhi alteri
Non turba il bel scren nube importuna ,
Ma queto amor v'alberga e vi riposa;
Tirtii parlan d' amore i miei pensieri ,
lì r ore della mia vita amorosa
Lieto io rammento e non ne lascio alcuna, (i)
Quella si alta luminosa stella,
Che in mezzo il cicl di si bei rai s' accende
Io certo credo , anzi pur so, eh' è quella
Dove lo spirto di mia donna splende ;
Che sovra ogn' altra scintillante e beli i ,
Qualor la miro, agli occhi miei risplcnde ,
Anzi par che mi dica in sua favella
Un non so che , che piace e non s' intende.
E tale era anco un tempo qui tra noi,
Che si leggiadra cosa in terra allora
Non si vedea, né mai si vide poi ;
(l) Poesie, p. 199.
— 325 —
E mi rammento , eh' ella piovca fuora
Una dolcezza dai begli occhi svioi ,
Ch'io non capia , ma il cor mi pasce ancora, (i)
III.
In quale anno nascesse e in quale morisse il no-
stro Giambattista, abbiam veduto. Raccogliamo ora
le poche altre notizie che di lui ci fu dato trovare.
Ebbe a genitori Cristoforo, laureato in legge, e Bianca
Buonafede, sorella del P. Appiano letterato di buona
fama. Perduto il padre in giovanissima età, passò
sotto la protezione dello zio paterno, monsignor Gio-
vanni.
Intorno a' suoi studi ed a' suoi uffizi egli stesso
lasciò manoscritta questa breve nota: « Studi di scienze
in Comacchio, e Ravenna; di Leggi in Ferrara; ad-
dottorato in Cesena; ritornato allo studio di Leggi
in Ferrara; passato a Comacchio l'anno 1716 fu Po-
destà. Ha letto Leggi Civili , e Canoniche nella sua
patria. Dopo è stato dall'eccelsa Cesarea Deputazione
di Milano eletto per uno de' consiglieri di giustizia
in Comacchio, quale giudica in civile e criminale. «
Tante occupazioni però non lo distolsero dallo scri-
vere un considerevolissimo numero di poesie sacre e
per Elisabetta Cavalieri, che poi sposò nel 1726 e dalla
quale ebbe quattro figli , e dal dettare una Lezione
(1) Poeiit, />. 255.
— ;v^i' —
..iccadfiìiicj si>y)\ì un sonetto di Litici 'I\insillo e imo
stranissimo opuscolo col titolo Comcntario dell' imi-
tjp'one servile. Ai Giovjnb.itisla Zappata, l'un;) e
l'altro contro un tal \'accnri che avea malamente
sconciaio e pubblicato per suo un sonetto del Tansillo.
I-ii anche uno dei Hunniviri , che siedevano sta-
bilmente nel Consiglio generale, e dopo la restituzione
della città latta nel 1725 dall'imperatore a I>cne-
detto XllI, fu eletto Vicegovernatore e finalmente
Capo del Maestrato, prima dignità del luogo. Sostenne
inoltre varie ambascerie.
Tralasciando alcune altre notizie pressoché inutili,
diremo che la sua famiglia era nobile ed antica. Pre-
tendeva un'origine spagnuola. Il fratello del nostro
poeta scriveva :
L'origine lio spai^iiuola, il nome ebreo
E fui lietto al battcsmo Gianmattco.
È notissimo un altro Gianbattista Zappata medico e
scrittore vissuto nel XVI secolo, nello scorcio del quale
sembra che quella famiglia si piantasse in Comacchio.
Fra i sottoscrittori di un atto pubblico del 1577 è
notato Raynaldus de Zavattis Ducalis Potestas.
Nel 1672 morì in Firenze un altro dei Zappata
celebre ancora, di nome Francesco. Fatto cavaliere
di Santo Spirito dall' eminentissima casa Colonna pre-
dicò al conspetto del papa e a Vienna, chiamatovi
dall'imperatrice Eleonora. Caro al granduca b'erdi-
— 3'^7 —
nando II, ricevette un canonicato in San Lorenzo.
« Tutto questo, in merito d'una inusitata o vera-
mente rara eloquenza, cui non mancò l'occasione, lo
studio, la natura, l'esercizio e il tempo di poter giun-
gere al colmo. » (i). È ben vero che gli furono rim-
proverate certe marachelle mondane, per cui fu una
volta costretto a deporre l'abito di Sant' Ignazio e tor-
nare al secolo cui lo chiamava il suo energico e vitale
temperamento. Ma il buon frate non si turbò per
questo, e seppe far in modo da rivestire la cocolla
conservando le vecchie .abitudini. « Gran disavven-
ventura, — predicava, cominciando il quaresimale, —
gran disavventura dell'uomo che ben dovendo in
breve morire impara così poco a ben vivere! »
Al postutto e' deve la sua fama alle equivoche virtù.
Infatti pochissimi sanno di lui letterato e oratore,
mentre tutti conoscono padre Zappata che predicava
bene e ra^^folava male! (2)
(1) Biografia univenaU nntkii e moderna. Vene/ia 1851: Voi. L.W, 60.
{2) GiusKPPa Giusti. Raccolta di proverbi toscani. Firenze 1855,
P-\K. 75-
IL CONTE VIZZANI
IL CONTE VIZZANI
I.
Era il pomeriggio del penultimo giorno di car-
nevale — 3 marzo 171 5 — quando nel corso di Ra-
venna, affollato di gente allegra e spensierata, si sparse
rapidamente la voce che quasi di fronte alla chiesa
di S. Apollinare nuovo erasi consumato un orribile
delitto. Tutto fu spavento e rumore.
Il card, legato Gozzadini che ritrovavasi in Corso
con le guardie svizzere , andò a ricoverarsi nel cor-
tile delle monache di Santa Chiara; le carrozze dei
ricchi e il popolo fuggirono urtandosi confusamente.
Dopo pochi minuti il luogo era deserto.
Come accade quasi sempre, in sulle prime vaga-
rono per la città voci incerte se non false. Solo più
tardi il fatto fu a notizia di tutti nei veri termini ,
nei quali credo di raccontarlo, avendolo tratto dalla
cronaca manoscritta del Fiandrini e da altri docu-
menti del tempo esistenti nella biblioteca di Classe.
Sulle quattro e mezzo di quel giorno eran giunti
nel corso sopra uno stereo il conte Vincenzo Vizzani,
Alessandro Rata, Girolamo Guaccimanni e Lodovico
Ginanni patrizi ravennati. Essendo loro passato dap-
•> •» o
.ci-
presso (jiiilio e r<)iii;is() Raspolli — lii;li ili /Vsciniio,
c.ipitano della ròcca — i compagni del N'izzani, no-
tarono che lo avevano guardato di mal occhio e gli
dissero:
— « Conte Vizzani, questi due Rasponi vi guar-
dano molto di sbieco; aveto che fare con loro? »
— « Io non ho che fare né con loro, né con
altri. Il — rispose. Ma rivedendo quelli poco di poi
che i due Rasponi si erano coperti ili mantello,
che prima non avevano, e che non desistevano dai
loro sguardi provocanti, soggiunsero:
— « Voi non volete dire come sta il fatto, per-
chè questi Rasponi hanno mutato figura e vi riguar-
dano di brutt'crcchio. Se avete che fare con loro, di-
telo a noi, che vedremo di provvederci; e non ponete
in impegno voi e noi. »
E il conte Vizzani: « Vi ho già detto che non
ho che fare con loro, né con altri ; anzi ieri sera avendo
fatto in mia casa un festino da ballo con quantità di
dame e cavalieri, questi signori fratelli Rasponi furono
ad onorare la mia casa; dove ballarono ed io feci
loro dar da bere, e li regalai io colle mie mani di
certe bagatelle e di un poco di rinfresco, che avevo
fatto fare. Come vogliono adunque lor signori, che
questi l'abbiano con me? » — A queste parole (eh' io
riproduco testuali dalla cronaca) gli altri si tacquero.
Dopo non molto, il Vizzani riprendeva:
— « Questa mattina sono andato a pranzo dal
conte Ascanio Ginanni ed ho mangiato molte cose
— 333 —
dolci, però mi sento a movere il corpo, onde con
buona licenza di lor signori voglio andar a sgravarmi
a casa » — Così dicendo scese dallo stereo e s' incam-
minò verso la propria palazzina, donde uscì armato
di due pistole, in compagnia d'un suo famigliare.
Il conte Vincenzo Osio , ritrovato in questo frat-
tempo sul Corso l'abate Gaetano Rasponi, zio di
Giulio e di Tomaso, gli disse: « Signor abate, per
quanto m'abbia potuto fare, non posso vietare che
non accada qualche impegno tra i vostri nipoti ed il
conte Vizzani; non potendo io ovviare a questi, ve li
consegno qui tutti e due, tenendo per certo di non
li poter consegnare in mani più sicure. »
Allor l'abate quasi ridendo: « Eh! non faranno
male ad alcuno questi miei nipoti. Vedete però se mi
potete favorire di porli in una carrozza con qualche
dama che così starò più quieto io, e loro più sicuri
e lontani dagli impegni. »
Non essendo riuscito il conte Osio a ritrovar la
carrozza, l'abate condusse i due nipoti verso S. Gio-
vanni Evangelista, e dopo aver tenuto un breve di-
scorso, licenziatosi dal conte, li condusse in casa sua.
Ci si trattennero poco, poi ritornarono tutti e tre, più
un servitore, nel Corso.
L'abate erasi tolto il mantello nero e ne aveva
indossato uno paonazzo, mentre al servitore che li
accompagnava faceva prender su due pistole, di-
cendogli:
— (' Assisti i miei nipoti! »
— S3I -
— « Sipnoie, son venuto ai suoi comandi come
servitore e non come bravo. >
— <i Va e fa quanto io ti comando pel tuo
meglio! »
Sappia il lettore che questo dialogo fu raccontato
dallo stesso servo, dopo consumato il delitto.
1 due fratelli Rasponi si posero nella piazzetta di
S. Apollinare, mentre il loro zio entrava nella chiesa.
Giunto sul corso il conte Vizzani a piedi, accom-
pagnato dal suo famiglio, e passato avanti ai Rasponi,
uno di questi, Tomaso, gli spara la pistola nella schiena
e lo ferisce sotto una spalla. Rivoltosi rapidamente il
Vizzani colpisce l'assassino nel braccio destro, che
si rompe vicine all'omero.
1/ altro Rasponi tira un colpo, che va fallito, al
servo. Allora questi spara su Giulio, ma l'arma non
prende fuoco, come pure la seconda pistola del Viz-
zani, che avvoltosi nel mantello cade sventuratamente
a terra. Giulio Rasponi gli fu subito addosso e lo ferì
al capo con più colpi mortali di spada.
A quest' orrendo spettacolo sopraggiunge il conte
Giovanni Baccinetti che fa del suo meglio per allon-
tanare il Rasponi dal Vizzani. Vi riesce, ma mentre
consegna il morente a (ìiacomo Baldrati, dottore in
legge, Giulio gli ritorna sopra e gli spara una pistola
nel fianco, esclamando:
— « Mori, baron f .....: !
Il conte altro non risponde che
— " Oh. le belle parole da cavaliere! »
O •> 1
L'abate, benché la gente fuggisse a rompicollo,
non si mosse di sotto il portico di S. Apollinare
che per andare incontro ai due nipoti.
— Ebbene, figliuoli, com' è andata la cosa? »
— « Se pigliavano fuoco le armi dell'inimico,
rispose Tomaso, eravamo perduti tutti. Così voi stesso,
o zio, ci avreste mandati alla morte! »
Queste parole furono udite e riferite dal conte An-
tonio Lovatelli.
Mentre che il Vizzani era trasportato nella casa
dei nobili Girolamo e Giovanni Paradisi, di fronte
alle chiesa di Santa Barbara , i fratelli Rasponi si ri-
fugiavano nel convento, dove due giorni dopo doveva
portarsi anche l'abate.
E la cagione di questa tragedia?
Il Fiandrini dice che in allora credevasi ordinata
dall'abate Gaetano Rasponi per un discorso pronun-
ciato dal povero ucciso nel palazzo del magistrato
dei Savi, due anni avanti, nel quale aveva lodato il
conte di Montelabate, alla presenza del Rasponi cui
quegli aveva ucciso un fratello.
Il conte Vizzani moriva poche ore di poi . dopo
confessalo di non aver data occasione alcuna di odio
ed aggiunto che se parlò una volta in favore del Mon-
telabate, lo fece per giustizia al merito di quel cava-
liero e non per disgustare l'abate Rasponi ignorando
anzi l'omicidio seguito venti anni prima nella persona
di Francesco Rasponi.
Tomaso e il servo guarirono perfettamente delle
ferito toccate. Ai;li ultimi del dicembre 1713 i tre as-
sassini erano banditi da Ravenna con pena delia ga-
lera perpetua e colia confisca de' beni, porcile chie-
rici; a difTeronza del servo che por la sua condizione
fu bandito in pena della vita!
I tre l^asponi si portarono a Villanova nel terri-
torio di Bagnacavallo, indi a I.ugo, dove dal cardi-
nal Gian Antonio lìavia legato di Romagna, ottennero
un salvacondotto per potere abitare nelle ville di
Santerno e di Durazzano nel ravennate. Favoriti dopo
non molto da un secondo salvacondotto, abitarono in
Ravenna colla proibizione soltanto di non recarsi in
piazza. Nel primo giorno di luglio del 1721 infine,
sotto la legazione del card. Cornelio Bentivoglio, re-
starono interamente liberi!
Dimenticava di narrare che mentre il conte Viz-
zani era recato semivivo in casa Paradisi, alcuni cit-
tadini trasportarono un arlecchino ferito nella mischia
in S. Apollinare nuovo.
Toltagli la maschera dal volto fu riconosciuto
per un frate di quel convento! (i)
(1) FiANDRiNi. Annali di Ravenna mas. nella Biblioteca di Classe. Voi. HI
ad ami.
CLAUDIO MONTEVERDI
E LA CORTE DI MANTOVA
r=>o-<>'
CLAUDIO MONTEVERDI
E LA CORTE DI MANTOVA
— •-o3s=a(K^32»-.—
I.
Per verità l'ingegno italiano è sempre stato così
universale o versatile, che non v' ha ramo dello scibile
in cui, nel passato e massime nel periodo del Rinasci-
mento, non abbia lasciato una traccia. L'arte è stata
da lui trattata sotto ogni rapporto, onde non si scri-
vono sintesi storiche della pittura, della scultura, della
musica, ecc., ecc.^ senza che una gran parte di cia-
scuna non riguardi all' Italia. Tutto ciò sembrano
spesso dimenticare coloro che rimproverano sempre
agli Italiani di lasciar sfruttare gli argomenti più
importanti o piacevoli della loro trascorsa sapienza
dagli stranieri. Infatti tutta Europa s'occupa della
nostra nazione, e appunto per questo è ovvio argo-
mentare che, nella febbre di studio e di ricerche
oggi diffusa per ogni dove, i soli Italiani non sareb-
bero sufficienti a soddisfare a tutte le esigenze della
moderna cultura.
Quegli però che deve trovarsi nel maggiore im-
barazzo, è certo il Ministro della Pubblica Istruzione.
D'ogni parte s'alzano proteste e dimande: « Perchè
non s' istituiscono cattedre universitarie di storia mu-
— :vi" —
sleale, o pittoric;! o artistica in genere? Perche le
scuole lii bibliologia e di paleografia sono limitate
a tre sole città? Perchè non si creano uffici speciali
incaricati a niisii>\7rc e a disc intuire i nostri monu-
menti? Perchè non si fa quello; perchè non si fii
quest'altro? i»
11 libro del perchè è pieno di dubbi e d'oscurità,
ma a tal proposito na la risposta esplicita: e Perchè
mancano i quattrini! » vSuccedc per gli studi in ge-
nere quanto succede pei ristauri dei monumenti. La
Germania, 1' Inghilterra, la Francia e le altre nazioni,
oltre essere più ricche della nostra, possono conser-
vare meglio i loro cimelii e i loro edifizi storici,
perchè il numero di questi è infinitamente minore.
Non intendo certo di far credere che questa sia la
sola causa per la quale i nostri monumenti rovinano,
ma stimo ad ogni modo ch'.essa sia fra le cause una
delle precipue!
In Italia mancano scuole di storia musicale, onde
tutto un passato glorioso giace quasi dimenticato
negli archivi polverosi e nelle biblioteche deserte.
I professori dei nostri licei musicali generalmente
sono tecnici che della vecchia cultura sdegnano occu-
parsi e che dell'armonia accettano soltanto le ultime
e più astruse combinazioni. Il lavoro di due secoli,
che pure deliziò tanto mondo, è recisamente rifiutato
dai musici moderni, salvo poche eccezioni che si
contano sulle dita d'una sola mano.
Che cosa era il melodramma nel 1600? Le sco-
- 34' —
p^rte del Peri in che consistono precisamente? e
quelle del Monteverdi? Quanta parte d'esse s' insinuò
nei lavori del Gluck? Quali sono i punti di contatto
fra questi e quelli dello Spontini? È vero che dell'in-
novazione wagneriana si scorge il germe nelle opere
degli stessi Gluck e Spontini?
A tutte queste domande e a molte altre si danno
in Italia risposte generiche, mozze, indefinite e per
lo più da letterati, da notari e magari da droghieri
fche nelle ore di ozio hanno fatto qualche ricerca per
soddisfare alle loro curiosità o anche per passatempo;
da musici o maestri di musica, quasi mai! Essi della
storia, che pur riguarda l'arte che coltivano e di cui
vivono, non sanno nulla, assolutamente nulla!
II.
•
Del resto lo studio dei documenti storici non basta.
E indispensabile anche quello dei documenti artistici.
Per conoscere Raffaello non basta aver letta la sua
biografia scritta dal Passavant o dal Muntz. Bisogna
anche considerarne con amore e con pazienza le opere.
Dunque la storia dell'arte musicale dev'essere
bensì aneddotica e tecnica; ma tecnica specialmente,
perchè nulla esiste di più vago e indefinito della filo-
sofia e della critica di musica. Le stesse osservazioni,
a seconda dei tempi e dei gusti, si fanno spesso alle
opere più disparate, cosicché è solo lo studio esatto
del contrappuntista in accordo con le ricerche dello
— ;q2 —
storico, che può in line determinale le dill'eren/e più
sostiìn/iali.
Nel iGoo il Peri, parlando dei criteri da lui seguiti
nel musicare la Dafne e V Euridice d\ Ottavio Rinuc-
cini, riassume tuita una teorica talmente logica che
non ha nulla da invidiare alla wagneriana. Sette anni
più tardi frate Cherubino Ferrari scriveva al duca Vin-
cenzo Gonzaga: « Il Monteverdi m'ha fatto vedere i
versi et sentire la musica della comedia che V. A. fece
fare, et certo che // Poeta et il Musico hanno sì ben
rappresentati gli affetti dell' animo che nulla più..
La musica altresì stando nel suo decoro serve sì bene
alla Poesia che non si può sentir meglio, n (i)
Nel \~(y}, il padre Alfonso di Maniago scriveva:
la musica di Gluck esser ritenuta /"er/e/fm/m^r e af/iic-
catissima ai precetti dell'arte e affermava: in essa
•
u noìi esser nota per cui non vi sia il perchè. » (2)
E per l'appunto lo stesso Gluck esponendo i propri
principii, come avea già fatto il Peri, e come fece
più tardi il Wagner, dichiarava: « Quando ho comin-
ciato a mettere in musica V Alceste., mi sono proposto
d'evitare tutti gli abusi che la malintesa vanità dei
cantanti e l'eccessiva compiacenza dei compositori
{1) Notizie biografiche del distinto mnestro di musica Claudio Monteverdi
desunto da documenti dell'Archivio Gonzaga. Memorie di Stefano Davari.
V. gli Alti e Memorie della R. Accademia Virgiliana di Mantova, Mantova,
tip. Mondovì, 18S5.
{2) Lettere famigliari del P. Alfonso di Maniaco ( 1760-1770) edite
per le nozze Fanzago-Venturi. Bologna, Zanichelli, 1874, pag. 18.
— 343 -
avevano introdotti nell'opera italiana. Ho cercato di
ricondurre la musica alla sua vera funzione, quella
cioè di secondare la poesia per accentuare l'espres-
sione dei sentimenti e l' interesse delle situazioni. » (i)
Alle quali cose molte altre, ragionevoli del pari, ne
aggiungeva e nella medesima prefazione a\V Alceste
e nella dedica dell'opera Paris ed Elena.
Così, giudicando solo dalle parole dei contempo-
ranei e degli stessi compositori, si verrebbe all'assurda
conclusione, che la musica del Peri è uguale a quella
del Gluck. I gusti in un secolo e mezzo erano mutati
d'assai, ma il contrappunto aveva fatte nuove con-
quiste nel vasto campo dell'armonia e gli istrumenti
erano cresciuti, cosicché tutto era aumentato, a poco
a poco, concordemente, e le esigenze degli amanti
della musica erano soddisfatte del pari, mentre in
sostanza si trattava di arti assai differenti. Bisogna
quindi studiare sulle opere stesse e notare la varietà
ed il graduale sviluppo dell'armonia. L'opera del
Peri e del Monteverdi apparirà allora, senza dubbio,
assai diversa di quella del Gluck. Se si stesse alle
sole testimonianze dei contemporanei, la pittura di
Giotto parrebbe uguale a quella di Masaccio, e questa
a quella di Raffaello. Tutti nella critica dei loro
tempi parvero esatti e mirabili riproduttori del vero,
ed è solo mercè lo stud'o immediato delle opere che
(l) Letteci dedicatoria dcW AUcsIc. Vedila riprodotta dal Fiiris. Bii
grtifhk uiiivjrsetle des Musicit'iii. To'" '^ . 5'-
— 3U —
si avvertono le disparità dell'esecuzione e del conce-
pimento.
Chi sa mai tra cento o duecento anni quale sarà
la musica ritenuta veramente logica, e quale parrà
quella di Riccardo Wagner!
111.
Hanno fatto intanto cosa molto buona e lodevole
Stefano Davari ed Emilio Vogel a pubblicare, intorno
a Claudio Monteverdi, varie notizie desunte special-
mente daW Archivio storico Gonzaga, (i) Forse qualche
maestro di musica sarà spinto ad esaminarne le opere.
Il Monteverdi è cremonese, ma la sua vita arti-
stica s' è svolta^ specialmente a Mantova dove andò
di ventun'anni nel 1 5S9. La Corte di Mantova era
allora diventata, come ha provato il Canal, lapin
musicale d' Italia , (2) per opera del duca Vincenzo,
e non vi era quindi campo più indicato a un giovine
per esercitare quella nobile arte. Chi lo raccoman-
dasse al duca non è noto; si sa però che un Dome-
nico Monteverdi, zio forse a Claudio, lavorò poco
prima in Cremona e per la Corte di Mantova, certe
trombette di legno.
(i) Ho gì.A citato lo scritto liul Davari. d' Emilio Vogel è uscito lo
studio « Claudio Mouteverdi. Lebcii, Wirken ini Liclite dcr zcitgendssischen
Kritik uno Verzeicliniss seiiier im Druck erscliienencii Wcrkc ( Leipzig —
Vierldjahrsschrift fur Musikwisseiischufl. 1S87, Heft. IH, pp. 315-450).
(2) 'Della musica in Manlova notizie tratte principalmente dall' Archi-
vio Gonzaga ed esposte dal M. E. .^b. Pietro Canal, nelle Memorie del
R. Isìiliito Vendo. Voi. XXI, p. IH ( iSSz ), p. 65; e seg.
— 343 —
Claudio discendeva dunque, molto probabilmente,
da una famiglia di artisti, la quale, scoprendo in lui
buona disposizione e buona voce, l'educò cantore.
Né egli volle venire meno alla tradizione domestica
se appena in Mantova s' innamorò d'una Claudia Cat-
taneo, giovine virtuosa, eh' eì potè sposare col bene-
placito del duca, e dalla quale ebbe due figli, Fran-
ceschino e Massimiliano.
Si crede generalmente che il maestro di Monte-
verdi fosse Marcantonio Ingegneri, e che questi fosse
maestro di cappella in Mantova; ma di tutto ciò non
si trova indizio alcuno negli archivi, e se il Monte-
verdi ebbe un maestro in quella città, costui fu certo
o il fiammingo Giacomo Wert, o il mantovano Ales-
sandro Striggi.
Del 1595 il duca Vincenzo, recandosi in Ungheria
per la guerra al turco, fra gli altri cortigiani volle
seco il nostro Claudio, già venuto in fama scrivendo
messe, mottetti e madrigali, e del 1601, seguita appena
la morte di Benedetto Pallavicino, gli concesse il
posto di maestro et della camera et della chiesa sopra
la musica.
Il primo melodramma rappresentato a Mantova
fu V Orfeo , scritto da Alessandro Striggi e musicato
dal Monteverdi. Ando in scena nel carnevale del i6o7,
e non del 1602, come mostrò di credere Pietro Canal,
nelle notizie pubblicate daW Istituto Veneto, o del ifioS,
come vogliono i signori Cléme'nt e Larousse (i)
(i) 'DUllonnaire des operai. ;o3.
— ;^p. —
11 melodramma l)cnclic nato ila iioco, si ripeteva :;i;i
in vario città, accettato con entusiasmo subito dopo i
trionfi deW Euridice a Firenze nell'anno 1600,0 forse
a Bologna nel iTtoi. In Mantova il melodramma non
ebbe minor fortuna e il duca volle che, dall'Accade-
mia, si portasse a Corte tutto lo spettacolo, e contem-
poraneamente, essendo concluso il matrimonio del
suo primogenito Francesco con l'infante Margherita
di Savoia, commise al Rinuccini le parole, al Mon-
teverdi la musica d'una nuova opera che fu V Arianna.
Nel frattempo si presentò la Dafne di Marco di Za-
nobi da Gagliano.
Se però il nostro Claudio contribuiva con le sue
opere alla gloricf del duca di Mantova, questi invece
non contribuiva troppo a migliorare le condizioni
del povero maestro, il quale spesso procurava di ri-
dursi presso il padre in Cremona per vivere con più
agio, estenuato dalle fatiche sostenute a Corte. Il duca
ben presto lo richiamò, ma Claudio rispose: « Se per
venire a faticarmi di bel novo così comanda, io dico
che se non riposo intorno al faticarmi nelle musiche
teatrali al sicuro sarà breve la mia vita, » E continua
enumerando i danni fisici e morali sofferti in Mantova
in una lunga e bellissima lettera che il Davari pub-
blica per intero! Intanto la sua celebrità cresceva ed
il Rinuccini così scriveva al cardinal Gonzaga: « Quelle
poche cose che sono comparse del Monteverdi, come
il duo e altre- arie sono ammirate da tutti universal-
mente e dal Zajjerino fuor di modo; gusto che io
— 347 —
non mi sono ingannato ». E del giudizio del Za^^e-
rino c'era a quei tempi da inorgoglire, perchè il Za^-
ferino non era altri che Jacopo Peri, cosi chiamato
per la sua magnifica capigliatura fulva.
IV.
Nel 1610, tutto inteso a procurare uno stalo ad
uno dei suoi figliuoli, prepara alcuni componimenti
da presentare al Papa perchè lo metta nel dominio ro-
mano con un beneficio ecclesiastico che basti a pagar
la dozzina. Bassano Casola, cantore, scrive che quei
componimenti erano: « una messa a sei voci, di studio
et fatica grande, essendosi obligato maneggiar sempre
in ogni nota per tutte le vie, sempre più rinforzando
le otto fughe che sono nel mottetto in ilio tempore,
del Gomberti 5 e il vespro della Madonna, con varie
et diverse maniere d' invcntioni et armonia, et tutte
sopra il canto fermo. » Il viaggio non ebbe esito
lieto né altro egli ritrasse se non la conoscenza di
varie celebri virtuose: la signora Ippolita, la figlici
di Giulio Caccini e l'Adriana « che canta, suona e
parla benissimo, e quando tace e accorda, ha parti
da essere mirate e lodate degnamente. » Ed era ap-
punto costei il più bell'ornamento dei famosi venerdì
della corte mantovana nei quali si tenevano concerti,
pel tempo maravigliosi.
Il duca Vincenzo morì sull'esordio del 1612 e gli
successe il figlio Francesco, come lui amante della
- :v+N -
musica, come lui bizzarro e sregolato. Non si com-
prende quindi perciiè Ira i primi suoi atti, fosse
quello di licenziare il Monteverdi, con grave danno
della sua Corte, e buona fortuna del maestro, il quale
andò alla nativa Cremona e quindi a Milano.
Certo r invidia dei cortigiani dovette esser la causa
precipua del licenziamento, poiché appena Claudio
fu a Milano, al duca fu narrato che « una mattina
dirigendo egli la musica del Duomo, ne nacque tal
disordine che non fu capace di ristabilirlo, onde che
con poco suo onore gli convenne di ritirarsi a Cre-
mona )) — Francesco, allora, chiese notizie di questo
fiasco al suo ambasciatore, il quale invece gli rispose:
« Tanto è lontano dal vero che il Monteverdi siasi
partito con poca riputazione da questa città, che anzi
è stato honoratissimo da' cavalieri, e dai virtuosi ben
veduto et accarezzato al possibile, e le sue opere si
cantano qui con gran lode ne' più notabili ridotti.
Né è vero che gli sia occorso esercitar mai il carico
di maestro di capella in questo Duomo, il qual ufficio
non ha il Monteverdi voluto pretendere per non far
torto a chi l'ha, non essendo il luogo vacante. »
Tutti questi pettegolezzi non dovevano ormai più
importare al Monteverdi, poiché, come é noto, nel 1613
fu chiamato a dirigere la musica della cappella di
S. Marco in Venezia, dove stette sino alla morte,
avvenuta trent'anni dopo. E in questi trent'anni fece
opere così insigni e s'affaticò tanto, che Venezia, città
già assai colta in musica , pervenne a tale eccellenza
— 34U —
da esserle concesso, senza discussione, quel primato
che tenne onorevolmente sino alla morte di Benedetto
Marcello. E la divina città del mare così vide morire
il Monteverdi e Riccardo Wagner, l'alfa e l'omega
degli operisti !
V.
Non si conosce un ben se non si perde è il pro-
verbio che forse ritornò in mente a Francesco quando
Claudio s' era definitivamente allontanato da Mantova.
V'era un altro , in Italia, d'uguale celebrità, Jacopo
Peri; ma non si sarebbe mai mosso da Firenze, dove
il Granduca lo favoriva!
Mantova del resto non poteva restar senza musico,
e poiché vi si trovava temporaneamente Sante Orlandi,
il duca richiese il proprio fratello cardinale perchè
glielo cedesse. Il cardinale lasciò 1' Orlandi alla Corte
di Francesco per poco, poi l' invitò a tornare in Roma,
cosa ch'ei fece a malincuore, perchè nel nuovo stato
si riteneva // più contento giovane che fosse mai stato
sotto la cappa del sole. Il duca rimandando il musico
al fratello, lo pregò di cercargliene un altro, il quale
sapesse comporre bene e presto, balli, mottetti e madri-
gali in stile recitativo e cantativo. Intanto, alla notizia
della partenza del Monteverdi, alcuni avevano chiesto
d'entrare nel suo posto Fra questi si trovò Pietro
Maria Marsolo, maestro di cappella del duomo di
Ferrara e autore di due libri di mottetti a cinque voci
— 3.M' —
decaiìtandj in lolius iintii solcnìniorihiis diebus. « Si è
inteso, scriveva il 2 settemlirc lói^, si è inteso, per
cosa certissima, che il signor Monteverdi si è absen-
t;ito dal servizio dell' A. V. S.""', il che essendo vero,
io me li olVero a tal servizio... tanto in Camera come
in S. Barbara e nella scena. » Le offerte del Marsolo
non furono rifiutate, ma si richiesero saggi della sua
abilità a comporre musica sacra e profana. Egli allora
mandò un madrigale musicato in due modi, per con-
certarlo con istrumenti e per cantarlo a cinque voci ;
una canzonetta napoletana a tre voci (due soprani e
un basso) ed un'altra canzonetta ordinaria a quat-
tro voci, raccomandando tutto ciò con lettere che il
Davari pubblica- in parte e il Vogel riproduce.
.Altri però avevano concorso come lui, fra i quali
un Giov. Francesco Arecio, proposto dal cardinale Gon-
zaga , per le richieste surriferite; ma mentre si stava
pensando alla scelta, il duca morì, e lo stesso cardi-
nale, corso a Mantova, ad assumere le redini del
Governo, condusse seco Sante Orlandi.
VI.
Una fra le prime cose che pensò il duca Ferdi-
nando, fu quella di riprendere le vecchie relazioni
con Claudio Monteverdi, e nel fabbraio del 1615
l'invitò a mettere in musica una sua favola e a re-
carsi a Mantova. Al secondo invito non potè tenere,
perchè il lavoro della chiesa di S. Marco nella setti-
— 35' —
mana santa gì' impediva d'allontanarsi, fosse pur per
un giorno, da Venezia. Promise invece di musicare
la favola (che si doveva rappresentare per le nozze
del duca con Camilla Faa, da lui turpemente abban-
donata per accettare la mano di Caterina de' Medici
imposta da Corti straniere) e intanto compose un ballo
di sei mutande.
Nel 1616 Ferdinando, riconosciuto e proclamato
sesto duca di Mantova, pensò di rendere splendidis-
sime le feste, invitando anche il Peri e il Rinuccini
ad andare a Mantova per mettere in scena qualche
melodramma nel teatro di Corte. Essi, che si trova-
vano a Bologna per la riproduzione dell' Euridice in
casa Marescotti, risposero accettando. Il Peri scrisse
al duca: « Non mi poteva arrivar gratia maggiore, né
più da me desiderata che occasione di servire V. A. S. e
però la ringrazio per mille volte dell'onore fattomi
di chiamarmi a Mantova, dove verrò prontissimo a
ricevere i suoi comandamenti.» E Ottavio Rinuccini:
« Venerdì s'aspetta gl'Illustrissimi Leni, Bevilacqua
e Rivarola, in quattro giorni forniranno i regali appa-
recchiati, una giostra a rincontro, V Euridice in privato
e un palio. Io subito verrò a ricevere l'onore dei suoi
comandamenti. » E a questo proposito è graziosissima
una lettera da Bologna, del cav. Andrea Barbazza,
nella quale si dice: « Questa sera si recitare V Euridice,
maneggiata però dal Zazzarino et signor Ottavio Re-
nuzzini, i quali sono in disparere tra di loro, perchè
il Zazzarino non vorrebbe che si facesse, lamentandosi
iÌl'1 tempo e delle voci, et il sif;nor Ottavio sta perti-
nace talmente perchè si facci, clic il /azzerino dice
che il sif;nor Ottavio fa più da musicho che da poeta,
onde è cosa ridicolosa, et io in quanto me credo che
faciano alle spalleggiate insieme. »
Intanto s'appressava il tempo delle nozze di Fer-
dinando Gonzaga con Caterina de' Medici, ed era
necessario pensare agli spettacoli. Il conte Scipione
Agnelli compose tosto i versi d'una favola dal titolo
Teti e Peleo ; Francesco Rasi ne scrisse un'altra, Ati
e Cibele. A queste due opere se ne doveva aggiungere
un'altra, Endimione , il libretto della quale era dello
stesso duca,
Claudio Monteverdi invitato a scrivere la musica
della prima, Teti e Peleo^ si rifiutò per molte ragioni
esposte in una lettera che, riguardo al tempo, è un
capolavoro. Ne riproduco alcuni passi: « Li concerti
descritti in tal favola son tutti bassi et vicini alla
terra, mancamento grandissimo alle belle armonie,
poiché le armonie saranno poste ne' fiati più grossi
dell'aria della terra, faticosi da essere da tutti uditi
et dentro alla scena da essere concertate, et di questo
ne lascio la sentenza al suo finissimo gusto, che per
tal diffetto in loco d'un chitarone ce ne vorà tre, in
loco d'un arpa ce ne vorrebbe tre, et va discorendo,
et in loco d'una voce delicata del cantore ce ne vo-
rebbe una sforzata; oltre di ciò la imitatione propria
del parlare dovrebbe a mio giuditio essere appoggiata
sopra ad instrumenti da fiato piutosto che sopra ad
— 353 —
instrimenti da corde et delicati, poiché le armonie dei
tritoni et altri Dei marini crederò che siano sopra a
tromboni et cornette et non sopra a cettere o clavi-
cenbani et arpe.... Oltre di che ho visto li interlocu-
tori essere Venti, Amoretti, Zeffiretti et Sirene, et per
conseguenza molti soprani faranno di bisogna; et
s'aggiunge di più che li Venti hanno a cantare, cioè
li Zeffiri et li Boreali; come caro signore potrò io
imitare il parlar de' Venti se non parlano? Et come
potrò io con il mezzo loro movere gli affetti? Mosse
l'Arianna per essere donna, et mosse parimente Orfeo
per esser homo, et non vento. Le armonie imittano
loro medesime (et non con l'oratione) et li strepiti
de' venti, et il bellar delle pecore, il nitrir de' cavalli
et va discorrendo, ma non imitano il parlar de' venti
che non si trova. Li balli poi che per entro a tal
favola sono sparsi, non hanno piedi da ballo; la fa-
vola tutta poi , quanto alla mia non poco ignoranza ,
non sento che ponto mi mova, et con difficoltà anco
la intendo, né sento che lei mi porta con ordine na-
turale ad un fine che mi mova. L'Arianna mi porta
ad un giusto lamento et 1' Orfeo ad una giusta pre-
ghiera, ma questa non so a qual fine; siche, che
vole V. S. che la musica possa in questa? » — Questo
è un programma tecnico e filosofico della più alta
importanza storica, che rileva a un tratto come fosse
profonda la mente del Monteverdi. Quanti oggi si
mettono a scrivere melodrammi senza pur una delie
savie laggi che s'imponeva quel grande precursore!
25
— 3.S4 -
.\l>i che sarìi hi sua musica, quantunque sviluppata
ncir imperfezione de' mc/zi istrumentali? 1'- perchè
nei licei musicali non si ridesta la voce del passato
e non s'aumenta per tal modo la cultura nazionale?
VII.
Il conte Agnelli si diede allora a scrivere un altro
libretto: La conf^iiinta d' Alceste e d' Anieto , che il
Monteverdi decise di musicare quantunque fosse assai
indispettito della ristrettezza del tempo, la quale gli
tolse anche dal potersi recare a Firenze cui lo chia-
mava il Rinuccini promettendogli « che sarebbe stato
impiegato in qualche fatica musicale e che sarebbe
stato ben visto da tutta quella nobiltèi e dallo stesso
Granduca. »
Ma questo rifiuto e le fatiche durate intorno
all'esame di quei melodrammi, non ebbero ricom-
pensa alcuna, perchè tutto a un tratto apprese che
s'era abbandonata l'idea di rappresentare una sua
opera, e che poteva sospendere l'andata a Mantova.
Ciò lo seccò moltissimo; e lo disse in una lettera
allo Striggi , anche prima che la rappresentazione
della Calateci del Chiabrera, musicata dall'Orlandi,
facesse capire che quell' improvvisa sospensione si do-
veva alle pratiche e agli imbrogli di costui!
L'Orlandi morì nel 1619 e la Corte mantovana
tornò fiduciosa al Monteverdi, anima schietta e gen-
tilissima cui non aderivano i torti più meschini e le
— 355 —
guerricciuole più disoneste. Allora Alessandro Striggi
gli offrì l'egloga Commento d' Apollo, ed Ercole Mar-
liani il dramma Andromeda.
Fu dopo la lìtessa da morto pel Granduca Co-
simo II, che istituendosi in Bologna V Accademia dei
Filomusi da Girolamo Giacobbi maestro di cappella
in San Petronio, fra i primi aggregati si lesse: Claudio
Monteverdi mastro di capella della Republica Ve-
neta, (i)
Il Davari ed il Vogel pubblicano in appendice ai
loro studi una quarantina di lettere del nostro Claudio,
nelle quali si parla di molti cantori e sonatori, ch'e' prov-
vedeva alla corte di Mantova, lettere che contengono
un vero tesoro per la storia della musica. Con esse
teneva anche informato il duca dei lavori che andava
man mano completando e specialmente della Licori
finta pa^^a « inamoraia d' Aminta, la qual doppo fatto
mille inventioni ridiculose, si riduce al sposalitio con
bell'arte d' inganno. » Nell'ultima lettera scritta da
Parma, nel febbraio del 1628, mentre provava certi
suoi intermezzi apparenti ad una commedia, e la
musica d'un torneo, avverte: « Le parole d'esso torneo
le ha fatte il signor Aquilini, et sono più di mille versi,
belli sì per il torneo, ma per musica assai lontani;
mi hanno dato estremo da fare. Hora si provano le
dette musiche di esso torneo, et dove non ho potuto
(i) Antonio Francesco Giuselli. Memorie Antiche di Bolvgiia, niss. nella
Kcgia Biblioteca U'iivcrbitaria Bolognese, Toni. X.XIV, 599.
— s_^(l —
Irowir i\in\iti()iii iwlli jfl'clti , ho riceiwilo di wirurt'
nel Diodo di conccrljrli\ e spero che piaceranno. »
Nella seconda appendice di documenti, nello
studio del Dovari, si trovano quattro lettere di i-ian-
cesco Cini e cinque di Jacopo i*eri dirette a l'erdi-
nando Gonzaga, il quale morì nel 1626 a soli quaran-
t'anni, lasciando erede della corona il fratello Vin-
cenzo che gli sopravvisse appena un'anno,
Carlo di Nevers, il nuovo duca, favorì il Monre-
verdi, convertendo la sua pensione in un bene stabile,
ma questo atto fu certo uno dei tanti coi quali pro-
curò render gradito l' incerto suo governo. Egli era
troppo occupato ad assicurarsi sul trono, cosicché
le relazioni fra, la Corte di Mantova e (>laudio cessa-
rono intorno al 1628.
r^^^rj^^^)
CAVALLERIA BAROCCA
CAVALLERIA BAROCCA
I.
Prima di chiudere l'ultima miscellanea dei mano-
scritti Spreti, conservati nella Classense di Ravenna,
piglio alcuni appunti sopra due stranissime questioni
cavalleresche sorte del secolo scorso, le quali ritrag-
gono pienamente la vita insulsa di quei vecchi no-
bili, che accovacciati sotto il vessillo delle sante chiavi
non vedevano sorgere su dalla Francia un nembo si-
nistramente rumoreggiante. Vernon Lee nel suo libro
// settecento in Italia, pubblicato fra noi di recente,
non penetra gran fatto nell'intima società d'allora,
benché sulle prime si possa giudicare diversamente,
essendo facilissimo confondere le induzioni che la
scrittrice inglese ricava dal prodotto letterario di quel
tempo, col frutto di più minute e più difficili ricer-
che negli archivi e nelle biblioteche. Il Masi, nel
suo libro suir Albergati , quantunque s'aggiri in un
campo assai più ristretto, riesce a riprodurre certi
tratti caratteristici con molta più efficacia. Né la cosa
manca d' interesse, poiché ci spieghiamo appunto l' im-
menso e rapido dilatarsi dei moti francesi, studiando
la società pettegola del secolo XVIII.
■■t,iìO —
11 j-irinio Jc' hitti e questo, lìn cavaliere ravennate
— lii cui manca il nome nel manoscritto — si ritro-
vava in chiesa, seduto sopra una banca e attento alla
predica. Una dama, giunta poco dopo, non potendo
scorgere un luogo ove sedersi, mosse senz'altro verso
il cavaliere e e li face motto, acciò si levasse; questo
o fingesse o non volesse intendere tal motto; avicina-
tasi la Dama gli disse che si levasse: l'altro nò meno
a questo si mosse. Vedendo questo, la Dama li diede
con un guanto su la faccia e lo rimproverò di mal
creato. » L'offesa, benché mossa da una donna, era
grave e il cavaliere certo non poteva più fare lo
gnorri. Come crede il lettore eh' e' si vendicasse? Se-
guiamo con le parole dell'indiscreto cronista: « Figli
levatosi in piedi subbilo l'abbracciò e le diede un
bacio. Seguito questo, immediatamente la Dama partì,
come fece il cavaliero. Sopra tal disordine^ il marito
desiderando le dovute soddisfazioni ricercò quali fos-
sero per aggiustar tal pendenza. »
II.
Si ricorse al dottore Orsi, il quale scrisse una
lunga lettera dove con una erudizione veramente ec-
cezionale e con un sussiego incredibile, cita un eser-
cito d'autori per determinare fino a che grado sia
riprensibile offesa di donna. Dopo di che passa a di-
scutere sulla gravità dell'insulto operato dal cavaliere
contro di lei a titolo insussistente di risentimento. E lo
— 3'*' —
trova eccessivo di fronte all' insulto e allo schiaffo
coi guanti, perchè — chi lo crederebbe? — il Gessi
nella SpjJa d'onore chiama il bacio « ignominioso
insulto nella nostra Italia. » La qual cosa (sia detto
fra parentesi) lascia pensare che il Gessi fosse molto
brutto o fosse molto geloso!
Infatti quando siamo alla pena, l'Orsi si mostra
mitissimo. Dice che il cavaliere si deve presentare in
luogo pubblico a chieder scusa alla Dama e al marito
di lei, dichiarando che « stimandosi aspramente agra-
vato dalla percossa col guanto, fu acceso da tal ca-
lore, che non discernendo allora ciò che operasse, e
apigliandosi a una inconsiderata via di risentimento,
proruppe in quell'atto temerario del quale ora si
chiama estremamente pentito e dolente. ;>
Il cavaliere, ridendo forse di così tenue pena e
ricordando che un bacio dato non è mai perduto, ào-
mandò perdono in un luogo pubblico, ma non in
chiesa, non in piazza o in simili altri siti, perchè ci
dice l'Orsi: il Birago aver affermato che per luogo
pubblico si prende cavalerescamente ogni luogo ove
sieno persone nobili.
Nulla toglie però che il marito della dama non
fosse pili feroce di Pisistrato, tiranno d'Atene, per
colpa del dottore arbitro, il quale dimenticò o non
volle ricordare i maravigliosi versi danteschi:
Indi m' apparve un' altra con quell' acque
Giù per le gote che il dolor distilla.
Quando da gran dispetto in altrui nacque .
- :^()-2 —
E Jir : Se tu so' sire ile l.i vilU ,
Del cui nome Ir.i' ilei In t.iiin lite ,
l£l Ulule ogni scicii/.ia disfavilla,
Vendica te di k]iielle braccia ardite ,
Clic abbracciar nostra figlia, o Pisistrito.
E il signor mi parca lienigno e mite
Risponder lei con viso temperato:
Cile tareni noi a chi mal ne desira ,
Se quei che ci ama i per noi condannato?
III.
Pochi anni dopo, circa alla metà del secolo, per
un fatto anche di minore importanza, le parti alter-
canti non si limitarono al giudizio erudito di un dot-
tore, ma chiesero e vollero i voti cavallereschi di Mi-
lano, Roma, Parma, Firenze e Bologna. E furono
stampati a Mantova nel 1757 in una bella edizione
in quarto, di pili che cinquanta pagine, col titolo:
Lettera ed osservazioni d'un cavaliere sopra il fatto
accaduto in Ravenna li 28 luglio iJS^ tra il coc-
chiere di queir Illustrissimo Maestrato ed il cocchiere
degli signori Conti Lovatelli.
Riassumiamo il fatto in poche parole. Cantandosi
nella basilica Ursiana una messa solenne, il Magistrato
intervenne in corpo, o come allora soleva dirsi, in
fiocchi. Entrata la prima carrozza sotto il portico di
— '"03 —
mezzogiorno, il cocchiere invece d' inoltrarsi nel cor-
tile attiguo e là attendere che la funzione volgesse
al suo fine, si fermò senz'altro avanti la porta della
chiesa impedendo così l'accesso ad ogni altra car-
rozza. Infatti pochi minuti dopo ne sopravveniva
un'altra con entro la contessa Teresa Lovatelli, si-
gnora vecchia di oltri settantacinque anni. Quando
il cocchiere di lei vide il luogo impedito, fa' cenno
colla mano al cocchiere del Maestrato che desse
luogo: questi invece crollò la testa ricusando di muo-
versi. L'altro allora finì per dire eh' era un asino e che
non sapeva le conveniente e la maniera di trattar
colle Dame.
Il cocchiere offeso, in aria minacciosa scese di
cassetta; all'atto, la contessa Lovatelli smontò dalla
carrozza fuori del portico, e movendo verso la porta
della chiesa gli disse che rimontasse in cassetta, ba-
dasse a' suoi cavalli , e la finisse lì. Entrata la Dama
nella basilica, i due cocchieri si azzuffarono « e la
cosa andava a finire in tragedia, se gente non occor-
reva che li divise, e rimandò ciascheduno alle loro
carrozze. »
IV.
Dopo questo fatto, i cavalieri ravennati si divi-
sero in due schiere; e si scrissero opuscoli, lettere,
orazioni, ecc. per sostenere o l'uno o l'altro degli
— ;^(,i —
altercami. La città prose parto alla lotta e i.|iii.'l p^'t-
tegolczzo che oggi morirebbe senza alcun interesso
fra le amenità d'una Pretura urbana, fu allora causa
di yrandi rumori. Non solo le carte, in proposito,
della famiglia Spreti, sono numerosissime, ma ancor
quelle dell'Archivio comunale. Del resto, non dove
far maraviglia che si riscaldasse tanto in quella ridi-
cola questione anche il Magistrato, quando si sappia
ch'oi proprio in quegli anni lasciava fare i burattini
nella sala del Palazzo Pubblico, (i)
Parrà che io rinvangando simili ciancie, faccia
una cosa inutile. Il lettore che così pensasse, mostre-
rebbe d' ignorare come solo questa storia aneddotica
serve a spiegare fa successiva e rapida diffusione della
filosofia francese, massime in quelle città soggette sino
allora al pessimo governo dei pontefici.
Due cavalieri dapprima sostennero il cocchiere
del Maestrato : mentre un terzo prendeva le difese
dell'altro, citando il Birago, Euripide, il Gessi, V Urrea,
l'Attendolo, l'Albergati, il Raynaldo, Seneca, Paolo,
il Grozio, Cicerone, S. Gregorio Magno, Aristotile,
Demostene, Plinio, Plutarco e ne lascio altri cento
disposti nell'ordine medesimo dei citati.
La questione, com' è naturale, non si risolvendo.
fu richiesto il voto cavalleresco di F^oma, dato dai
(i) V. Arch. Com. Rav. T. LX (tur.) Cart. 5 vena. — L.i cosa parrà
troppo strana perchè io poss.T esimermi d.il citare il docilmente autentico
da cui la tolsi.
— 3*^S —
marchesi Patrizi e Teodoli; poi i voti di Parma, Fi-
renze, Milano e Bologna, nell'ultimo de' quali trovansi
delle osservazioni singolarmente bizzarre. Ripetuto
infatti quanto ci narra Quinto Curzio sulla famosa
risposta che diede Diogene ad Alessandro Magno,
il quale gli aveva chiesto qual cosa desiderasse da
lui, il bolognese Marescalchi soggiunge: « Non può
negarsi, che non intervenga una certa relazione fra
il sole reclamato dal filosofo, e la Chiesa della Dama,
sopra i quali non avendo diritto né il Re, né il Ma-
gistrato per impedirgli a chi si sia , parerebbe che il
Cocchiere del Magistrato avesse dovuto praticare con
il Cocchiere della Dama quello, che Alessandro pra-
ticò con il filosofo, poiché non é admissibile, che si
usurpi il diritto di nessuno, sia mediatamente o im-
mediatamente; sia o nel meno, o nel più! » Come
la cosa finisse, dalle carte che ho fra le mani, non si
ricava. Sembra però che a soddisfazione dei padroni,
pigliassero di mezzo ambedue i cocchieri, come quelli
che — almeno così la pensarono gli arbitri romani —
erano persone plebee.
Ma mentre per simili miserie si menava uno scal-
pore insolito per la città intera, pei fatti gravi invece,
ove pigliassero parte o sacerdoti o nobili, tutto si po-
neva in tacere con una piccola formalità di scusa
fatta per lo più dal meno nobile. L'abate Giuseppe
Pompili alterca in piazza con Fabio Guiccioli. Dalle
parole passano ai fatti, e il primo accoltella l'altro.
Basta che il feritore scriva in un foglio di carta:
— ;-;u() —
.■ (3on dolore, pentito lo domando un generoso per-
dono » perchè la giustizia volga altrove gli sguardi,
molto ben disposta verso quei due che non crjiio ycr-
snnc plebee. K appunto questa inuguaglianza di fronte
alla legge, più di ogni altra cosa, spinse sulla fine
del secolo XVIII, tutto il popolo alla rivendicazione
dei propri diritti!
AGGIUNTE E CORREZIONI
AGGIUNTE E CORREZIONI
( I primordi dello studio di Bologna )
Nella raccolta dei documenti, sia degli inediti,
come degli editi, sono incorsi errori che ci è dato
finalmente verificare e correggere.
Le correzioni indicate col segno {a) rispondono
agli errori di lettura delle pergamene; le correzioni con-
traddistinte col (b) agli errori incorsi nella prima edi-
zione di questa memoria fatta nel 1887 {Aììiiiiario del-
l' Università di Bologna 1886-87)-^ e quelle col (e) agli
errori incorsi in questo stesso volume. Con questa ta-
vola è dato quindi di dare ai documenti la lezione
originale.
Pag. linea leggi
loi 14 ommia omnia (e)
102 13 potestatem postestatem (sic) {e)
» 28 In duplo In duplo, (e)
103 19 caoca cauco (b)
104 13 Salvatoris Salvatoris. (e)
105 I ege le gè (e)
I IO 9 allis aliis {e)
» \'f) si ve sine (e)
III G tempore maneat tempore in sua ma-
neat (b)
» 21 gandulfo figlio gandul/o filius
« 24 pensioque pensio {a)
115 3 vigesimo viesimo (sic) (e)
116 3,4 possidendum possidedendum
(sic) (e)
.">/
()
'a.;.
Il ni; A
LEGGI
iK')
5
vostra
vestras (a)
ncque tu Jonii'iic ^b)
»
II
ncque domino
»
22
transacionis
t>\lllS,lCCÌ()lìÌS [li)
»
23
lirmitatem
firmitatc (b)
tcstibtts (e)
"7
etesii bus
u
4
transactionis
ttwìs.ìcciunis (il)
»
21
relieta do
relieta relieta de
(sic)_ (e)
ii8
21, 22
inte.... [te ultra]
1 in teff ri ter In in te-
ff rum (a)
119
7
cuius iura.
cuius tura est. (a)
121
4
primo
prima (sic) (e)
»
>7
arardo lorardo
arardo leremia
[bade
[bade {b)
»
ult.
de
de mansi.... {a)
122
20
Massaropro
Massaro prò (e)
123
20
intefui
in ter fui (e)
B
3 uh.
Vt
Ut (i)
126
17
, lunias
lunias. (e)
S
19
atque, delegatus
atque delegatus (e)
130
1
omitisse
comitisse (e)
>3'
9< 10
tran-sferrimus
trans-ferriwus (e)
>
14
integram
integran (e)
«
15
ecclesie
ecclesiae (e)
132
26
remedio eorum
remedio anime (b)
"33
'4
de beio,
de beio, et albertus
filius rustici io-
hannes bonus cai
sidicus, (b)
'37
. 7
dare tibi
dare re tibi (sic) {e)
i3<)
(. ult.
Petrii
Petrì (e)
•43
4
tabeliio
tabeliio (e)
'45
9,
icarnacione
incarnacione (e)
«
penul.
episcopus
episcopus. (e)
146
I
Genricus
Henricus (e)
147
8
Varvirius
Tarvisius {e)
148
IO
suorum
suorum. (e)
»
1 1
fa stoni
fustem (e)
14Q
6
ingredienti
ingrediente (e)
'5'
6 ult.
et intrat
et intrat in Petro-
sa tn, et intrat (e)
134
22
esunt
erunt (b)
— 371 —
•AG.
MNEA
I.KGGI
155
6
afTui. et.
ciffiii. et (sic) (e)
libello (a)
161
6,7
libellum
»
8
ptedicti
predicti (e)
»
16
publica
plubica (b)
163
2
et
ac (a)
»
6
atque
aque (e)
*
IO
(cuiu)
(cui) (e)
164
3
spondeo actum
spondeo, actum (e)
))
1 1
petrus de
petrus tursapullus.
et petrus de (e)
167
j
predicto
predictus {a)
168
7
X
X^ (b)
171
'7
monastetii
monasterii {e)
172
6
Butallus
Butellus (e)
»
7
iudices et cogni-
■ iudices et cognito-
tores litis cogni-
■ res litis et (e)
tores litis et
il
26
■>ar tis
par tis (e)
173
16
Barbetti
Barbetti. (e)
•74
8
dum, meis
du}7i^ Idest nomina-
tivam medietatem
de mobilibus nel
Inmobilibus meis
(e)
»
9
michi
mjchi fsic) (e)
»
13
Incultum uel
Incultum diuisum et
Indiuisum donni-
catum uel (e)
»
20
tra-dat
tradat {e)
'75
2,3
supradictis
suprascrjptis {sìc){b)
»
penul.
centesimo,
centesimo trigesi-
mo, (e)
»
ult.
octava
octava. (e)
177
I
diacono
diacono, (e)
J78
2
sicu
sicut (e)
»
2
metropolitane
matropolitane (sic)
(e)
»
IO
ihe xpi
ihc xpi (sic) {e)
178
6 ult
In aliis tam
In aliis scripturis (e)
179
I
stiiglatico
stiiglatico (e)
»
7
ordina
ordina- (e)
.t/
Pai..
I.INKA
I.F.GGt
f
20
miindum
vìuf^diim ('sic) (e)
fi
alt.
doctrinam
doctriìijDi (e)
i8o
1
Vnde et noi
bis
\'iuic a iiubis {l7)
u
22
mauibus
niJiiibus (e)
is;,
iT)
ustre
twstre (e)
u
20
usqu
itsque (e)
1S2
IO
proiectione
protcclionc (e")
a
'3
mnrchiocomes
Durcliin. cnnics (e
Oltre a ciò dovremmo registrare nel testo a p. 84,
lin. 13 un Passjueri invece di Possaveri e a p. 90,
lin. 19 si usano in vece di non si usano ecc. ma gli
errori tipografici del testo sono di poco momento,
onde li lasciamo correggere al lettore intelligente. Pre-
ferimmo invece correggere gli errori più minuti che
riguardano ai documenti perchè della esatta lezione
d'essi dipende iL valore di simili pubblicazioni
(Preti in Gabbia)
Nella Cronaca di Fileno dalle Tuate, conservata
nella Biblioteca Univ. di Bologna n. 1439 voi. I,
e. 191 v. si legge: « Adì 22 dito (aprile i38G)sescho-
perse uno tratato che fece M. Tadeo figliolo di M.
Iacopo di Pepoli. De che funo dechapitati, Ferante,
sarto di Miralsole, M. Mateo suo figliolo, dotore de
legge, Geronimo, bidello de Miralsole, e certi altri.
Per la quale chaxone el Ghapitanio del populo fé'
pigliare el Priori di Fra de li Anzoli, el quale confesò
chome lui e altri citadini de Bologna fevano tratato
per dare la tera a M. Tadeo di Pepuli, e fu decha-
pitati anchora quisti : Lazarino da le Arme, Benvi-
gnudo de Polo, trombeta, Antonio ui Sbardeladi. Fu
— 373 —
dito che questo tratato non fu vero e che li mal-
traversi r aveano fato per disfare in tuto li Pepuli,
overo la parte Schachexe. Ma pure li sopraschriti
sono justiciati. Adì 21 de majo fu messo el dito Priore
in gabia con li feri a piedi incatenato. E lì stette
dì 96, e lì morì che non era se non la pelle e l'osso. »
V. anche la Hist. Misceli.! cit. col 527.
DG
1888
Ricci , Corrado
I primordi dello Studio
di Bologna 2. ed.
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